LO STATO DELL'ARTE - ADHD e Attaccamento
Definire lo stato dell'arte significa individuare a che punto sono arrivate le ricerche in una determinata disciplina, confrontando i dati acquisiti e stabilizzati dalle ricerche più accreditate, infatti il legame inerente tra dati argomenti è spesso sintomo di consequenzialità e di comorbilità.
LO STATO DELL'ARTE: ADHD
ADHD: INDIVIDUATO BATTERIO INTESTINALE COINVOLTO NEL DISTURBO
Durante uno studio del 2018 condotto da Hai-yin Jiang e da colleghi della Zhejiang University, Hangzhou (Cina), di recente pubblicazione su Behavioural Brain Research, è stato individuato una certa correlazione tra microbiota intestinale (flora intestinale) e deficit di attenzione. Analizzando la flora intestinale si è evidenziato che cervello e intestino si influenzano a vicenda. Per dimensioni e funzioni, l’apparato digerente, viene spesso definito il “secondo cervello” [Gershon M.D., Il secondo cervello, UTET, 2013]. Nell’intestino troviamo infatti una rete composta da milioni di neuroni che gestisce le attività intestinali e si collega al cervello tramite il sistema nervoso vegetativo. Per comunicare, cervello e intestino, usano la serotonina. In presenza di un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), il Faecalibacterium potrebbe essere un valido marcatore da monitorare considerando l’associazione dimostrata con il grado di severità del disturbo.
Da quanto è messo in evidenza dalla studio, si nota che esiste una comunicazione bidirezionale tra intestino e cervello e come tale comunicazione coinvolga l’eziologia e il decorso di numerosi quadri clinici incluso gli stati d’ansia o depressivi. Purtroppo ad oggi è ancora poco chiaro come questa interazione si sviluppi all’interno dei “disordini da iperattività e deficit dell’attenzione” o ADHD.
A tal proposito, i ricercatori cinesi hanno voluto approfondire il profilo batterico intestinale di bambini con ADHD (n=51) non precedentemente trattati e perciò detti “naive”, confrontandolo poi con quello che al controllo sono risultati sani (n=32) e in associazione alla sintomatologia presentata dai primi.
Per avere un quadro generale delle caratteristiche individuali dei soggetti inclusi, sono stati raccolti dati relativi all’età, genere, BMI, tipologia di nutrizione nei primi mesi, modalità di parto, durata della gravidanza e peso alla nascita.
Inoltre, attraverso la scala CPRS (Conners Parent Rating Scale) è stata valutata la sintomatologia specifica di ADHD includendo indicatori di iperattività, ansia, problemi di apprendimento e attenzione o comportamentali. Per l’analisi del microbiota, sono stati infine collezionati campioni fecali, opportunamente esaminati. Infatti si è analizzata l’associazione tra microbiota fecale e deficit di attenzione applicando la correzione FDR (false discovery rate) per i test multipli. Firmicutes, Bacteroidetes, Proteobacteria e Actinobacteria vanno a rappresentare i quattro phyla dominanti in tutti i campioni, senza nessuna differenza notevole in base alla presenza o meno della patologia.
A livello di famiglia, invece, il gruppo ADHD ha mostrato minor espressione di Alcaligenaceae, ma maggior livelli di Peptostreptococcaceae rispetto ai bambini sani. Scendendo invece a livello di genere, Faecalibacterium, Lachnoclostridium e Dialister sono risultati ridotti nei soggetti con la patologia.
Al fine di confermare quanto ottenuto, i ricercatori hanno condotto le analisi sul gruppo con deficit di attenzione in base alla modalità di parto (vaginale o cesareo) e il tipo di nutrizione (allattamento o in formula).
Tuttavia, né la modalità di parto, né quella di alimentazione sembrerebbero influenzare fattori quali alpha e beta diversity oltre che l’abbondanza relativa dei taxa associati a ADHD. Al contrario, differenze sono state riscontrate in termini di ricchezza batterica. A livello di genere invece, Faecalibacterium, Dialister e Sutterella oltre che a essere prevalenti nei controlli sono risultati anche fattori chiave nel discriminare il profilo batterico dei due gruppi.
Da ultimo, è stata studiata la correlazione tra microbiota e severità della patologia. Dalle analisi condotte è emersa come l’abbondanza di Faecalibaterium sia negativamente correlata al punteggio CPRS totale e all’indice di iperattività.
In conclusione in base ai risultati emersi si può dunque affermare come ci siano alcune differenze tra la componente batterica di bambini con ADHD e soggetti sani e di come, fra tutti, Faecalibacterium sia la specie più coinvolta e associata negativamente alla severità della patologia.
Ulteriori studi saranno quindi necessari al fine di confermare le evidenze qui dimostrate e di approfondire le relazioni causa-effetto dei cambiamenti microbiotici in presenza di ADHD.
LE RADICI GENETICHE DELL'ADHD
In uno studio pubblicato nel 2018 in cui si considerava l'associazione sull'intero genoma condotto effettuato su vastissima scala fra pazienti affetti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) ha permesso di identificare 12 segmenti del genoma le cui varianti sono fortemente correlate al rischio di sviluppare il disturbo.
Le dodici sequenze di DNA, buona parte delle quali corrispondenti a specifici geni, sono fortemente correlate al rischio di sviluppare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
La ricerca è il frutto del lavoro di oltre 80 scienziati e della collaborazione di tre grandi consorzi internazionali di ricerca Psychiatric Genomics Consortium; Early Genetics and Lifecourse Epidemiology, EAGLE e Roadmap Epigenomics Mapping Consortium; inoltre è stato pubblicata su "Nature Genetics".
Questo studio è basato sull'analisi di coppie di gemelli, i quali avevano dimostrato che lo sviluppo dell'ADHD è legato a fattori genetici. A questi va infatti attribuito il 75 % del rischio di incorrere nel disturbo, prodotto dalla sfortunata compresenza di numerose varianti genetiche piuttosto comuni. Tuttavia, non era ancora stato stabilito quali di queste varianti fossero più determinanti nell'insorgenza del disturbo.
Grazie all'analisi condotta sull'intero genoma di oltre 25.000 pazienti di varie parti del mondo, i ricercatori sono riusciti a isolare 12 frammenti di DNA le cui varianti genetiche comuni rappresentano ben il 21 per cento del rischio di ADHD. Alcuni di questi frammenti coincidono con specifici geni, fra cui i geni FOXP2, DUSP6 e SEMA6D.
FOXP2, uno dei geni più studiati a causa del suo coinvolgimento nello sviluppo del linguaggio e già sospettato di contribuire all'ADHD, codifica per una proteina con un ruolo centrale nella formazione delle sinapsi fra neuroni e nell'apprendimento.
DUSP6 è invece coinvolto nel controllo della comunicazione fra i neuroni dopaminergici (ossia che usano come principale messaggero la dopamina): il sistema dopaminergico è proprio il bersaglio delle più comuni terapie farmacologiche dell'ADHD. Infine, il gene SEMA6D, espresso nel cervello nel corso dello sviluppo embrionale, potrebbe avere un ruolo di primo piano nella creazione delle connessioni neurali.
Le conclusioni affermano che l'ADHD è un disturbo con una solida base biologica, in cui la genetica ha un'ampia parte.
LO STATO DELL'ARTE:ATTACCAMENTO
Come è stato già detto in precedenza nel capitolo 2, importante è stata la svolta nell'ambito delle teoria dell'attaccamento apportate dagli studi condotti da Mary Ainsworth, che elaborò una situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra caregiver e figlio, valutando e descrivendo i vari tipi di comportamento.
Studi recenti hanno ripreso la teoria sull'attaccamento di Mary Ainsworth, rivisitando le origine africane della ricerca dell'attaccamento. Importante per la teoria dell'attaccamento è la cultura, che condiziona i soggetti studiati, in particolare in l'Africa che è la patria di più culture, con distinte organizzazioni di relazioni di cura, che è alla base dello sviluppo dell'attaccamento. Nove studi condotti da Mary Ainsworth sull'attaccamento infantile africano già nel 1967, hanno valutato lo stile di attaccamento del bambino con metodi di auto-relazione o di osservazione, estesi solo a cinque paesi. La procedura di strange situation è stata utilizzata più frequentemente. La maggior parte degli studi descrivono diadi che vivevano in aree peri-urbane o cittadine. Sono stati identificati molteplici fattori tra cui quelli socioeconomici che influenzano le condizioni di vita, come disoccupazione, difficoltà finanziarie, istruzione limitata, alloggi poveri, genitorialità individuale, mancanza di sostegno dai partner, abuso di sostanze e depressione. Nonostante le condizioni avverse, l'attaccamento sicuro era relativamente diffuso e alcune popolazioni avevano bassi tassi di attaccamento evitante. Tassi relativamente alti di attaccamento disorganizzato sono stati trovati quando la categoria è stata inclusa. L'Africa rimane un continente sottovalutato per quanto riguarda l'attaccamento infantile. La diversità culturale del continente può contenere importanti verità necessarie per comprendere la complessa relazione tra bambino e figura di attaccamento.
PADRE-FIGLIO GIOCO, BAMBINO DISREGOLAZIONE EMOZIONALE, ED I SINTOMI DI INTERNALIZZAZIONE ADOLESCENTI
La letteratura emergente suggerisce che i padri possono contribuire in modo univoco allo sviluppo del bambino e alla salute emotiva attraverso il gioco. Nel presente studio, si evince un modello di mediazione multipla, dove è stato analizzato un gruppo di 476 famiglie che hanno partecipato alla NICHD Studio of Early Child, Cura e Sviluppo per i Giovani. Dopo aver tenuto conto dell'attaccamento tra madre e bambino, del temperamento infantile e del reddito e della stabilità della famiglia, è stato riscontrato un significativo effetto indiretto dalla qualità del gioco padre-figlio ai sintomi di interiorizzazione dell'adolescente attraverso il figlio segnalato dal padre come disregolazione emotiva. In particolare, in prima elementare, le diadi in cui i padri sono stati valutati in base alla sensibilità e alla stimolazione durante il gioco e i bambini, questi hanno dimostrato elevata sicurezza e reciprocità affettiva durante il gioco, si sono avuti bambini con meno problemi di disregolazione emotiva riferiti dal padre in terza elementare. I bambini con un minor numero di problemi di disregolazione emotiva presentavano sintomi di interiorizzazione auto-riportati più bassi all'età di 15 anni. Le valutazioni delle madri sulla disregolazione emotiva dei bambini non erano un elemento significativo. Vengono discussi i risultati sull'importanza del gioco padre-figlio per i bambini, l'adeguamento e l'utilità dell'inclusione dei padri nella ricerca sullo sviluppo infantile.
DISGREGOLAZIONE EMOTIVA ED ATTACCAMENTO
La definizione dei disturbi della relazione affettiva e dell'attaccamento, richiede comprensione delle principali aree del funzionamento del bambino che hanno inizio fin dall'inizio della sua vita. Siccome fin dall'inizio della vita, il bambino entra in un mondo di relazioni affettive significative all'interno delle quali si sviluppa la sua personalità, struttura le sue difese e consolida le sue capacità di regolare le emozioni. Le relazioni affettive che il bambino sviluppa da quando è piccolo, servono per consolidare quelle che in futuro saranno le sue relazioni di attaccamento, oltre alle rappresentazioni del sé e dell'altro. La prima relazione che si crea nel bambino è con la madre, in quanto è un persona importante ed ha la funzione di proteggere il bambino da molteplici pericoli e a garantire la sua sopravvivenza. Con il consolidarsi delle relazioni di attaccamento, il bambino apprende specifici stili di regolazione emotiva, facendo riferimento alla disponibilità emotiva del genitore: mediante le diverse esperienze il bambino può vivere emozioni negative e positive. La regolazione delle emozioni a livello intrapsichico e interpsichico, costituisce un elemento fondamentale che all'inizio della sua vita è mediata dal caregiver, il quale permette al bambino di maturare e di crescere attraverso l'esperienza. Creando questa diade che porta a competenze cognitive e linguistiche, il bambino sviluppa attraverso il gioco simbolico e la narrazione, che contribuiscono all'autoregolazione emozionale. Infatti bisogna considerare i modelli di attaccamento come specifici indicatori delle competenze regolatorie che il bambino sta formando nell'ambito delle sue relazioni diadiche.
INDIVUARE STRATEGIE DÌ REGOLAZIONE EMOTIVA SUI MODELLI DI ATTACCAMENTO
Il bambino con attaccamento sicuro sviluppa la capacità di mantenere un equilibrio tra il comportamento esplorativo e quello di attaccamento, in virtù della fiducia della madre che rivolge verso il bambino, ponendo così una base sicura che facilita l'utilizzo del gioco di finzione e la comunicazione simbolica per esprimere desideri e sentimenti. La strategie di regolazione emotiva si basa sulle capacità di poter esprimere un'ampia gamma di affetti, tra cui anche emozioni negative come paura e rabbia. Il bambino verso la fine del secondo anno di vita, modula la regolazione emotiva e comincia a gestire la tensione emotiva per fronteggiare le emozioni.
Il bambino con un attaccamento evitante sembra non avere fiducia in un'adeguata risposta materna, per questo mostra uno spiccato distacco ed evitamento della vicinanza e del contatto con lei. Molto spesso il bambino sembra più interessato al rapporto con il gioco che all'interazione con la madre, infatti questo spostamento d'attenzione porta a di minimizzare l'espressione dei sentimenti dolorosi e di permettere al tempo stesso il mantenimento. La strategia di minimizzare si associa a comportamenti di isolamento e di sfiducia che possono esprimersi con una maggiore aggressività . Il mantenimento del senso di sicurezza viene ricercato attraverso strategie basate sulla modifica dell'espressione di emozioni e dei comportamenti di attaccamento in maniera da ridurre all'indispensabile il caregiver. Le espressioni di angoscia e rabbia vengono interrotte, represse o falsificate attraverso una strategia di evitamento e possono portare all'esclusione della consapevolezza conscia di emozioni come paura, dolore, tristezza. Il distanziamento affettivo, la negazione dell'importanza delle relazioni o l'idealizzazione del Sé e dei genitori, come anche la negazione dei bisogni e degli affetti negativi possono caratterizzare l'esperienza affettiva con un attaccamento insicuro-evitante. La difficoltà nella regolazione affettiva può comportare, aggressività, disturbo della condotta che prevalentemente si riscontra sia in età scolare che in adolescenza ed in età adulta.
Il bambino con un attaccamento ambivalente/resistente non riesce ad utilizzare la madre come base sicura e mostra una scarsa inclinazione nel fare nuove esperienze che lo aiutano a sviluppare la capacità di sperimentare il mondo esterno. L'amplificazione di sentimenti di rabbia o di impotenza sembrano caratterizzati da una strategia condizionale per mantenere il controllo dell'interazione attraverso l'uso di emozioni negative esterne che attirano l'attenzione di un genitore responsivo in maniera inconsistente. I bambini nei confronti di genitori si manifestano con espressioni di irritazione e nervosismo, mostrando esagerata intimità e dipendenza, oppure esprimendo ambivalenza ed ostilità. I bambini controllano molto spesso i genitori e perciò interrompono continuamente il gioco rispetto ai bambini sicuri e mostrano una maggiore paura e inibizione nell'interpretazione dei pari nell'esplorazione dei giocattoli. La strategie di regolazione emotiva nella relazione con il caregiver si basa sull'amplificazione delle espressioni emozionali (pianto, lamentele, ansia, etc.) nel tentativo di ottenere una risposta. Queste strategie rendono il bambino meno competente e meno in grado di trovare una soluzione appropriate nei momenti di difficoltà e ansia, quindi molto spesso hanno la predisposizione ad avere disturbi internalizzanti come depressione, ansia, ritiro.
Il bambino con attaccamento disorganizzato si presenta come una rottura di una strategia organizzata nei confronti della relazione con il caregiver, quando viene attivato l'attaccamento, infatti i bambini sono privi di una strategia coerente o di uno scopo e possono manifestare comportamenti contradditori o atipici. I comportamenti disorganizzanti come freezing sono tipici della prima infanzia, mentre dopo i 3-4 anni si osservano comportamenti di inversione di ruolo che possono manifestarsi attraverso un comportamento controllante-punitivo o controllante-accudente. I bambini disorganizzanti sperimentano spesso una disregolazione emotiva prolungata che ha conseguenze negative sia su piano interpersonale, che su quello intrapsichico. Emozioni intense e violente, come paura, tristezza, rabbia, travolgono la capacità del bambino di organizzare una strategia funzionale e un comportamento coerente, perché il bambino viene lasciato solo con questi stati affettivi senza possibilità di una regolazione reciproca.
La disregolazione può essere osservata a livello affettivo, somatico, comportamentale, cognitivo e relazionale.
In conclusione possiamo affermare che i modelli di attaccamento sono frameworks concettuali, attraverso cui poter leggere le competenze o le vulnerabilità delle strategie di regolazione emozionale dei bambini, dove possiamo ritenere che le alterazioni significative della qualità delle relazioni primarie che comportano un elevato rischio per i disturbi relazionale e di attaccamento.
La psicopatologia dello sviluppo concepisce queste alterazioni lungo un continum che va dalle relazioni ben adattate che favoriscono lo sviluppo emozionale del bambino, fin ad alterazioni in cui l'assenza di una relazione di attaccamento può mirare in maniera profonda allo sviluppo e alle capacità regolatorie del bambino.
CONNESSIONE TRA ADHD E REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI: PROSPETTIVE TEORICHE E UTILITÀ NELLA PRATICA CLINICA
Non è ancora chiaro quale sia il legame tra disregolazione emotiva e ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), ma tale deficit è stato riscontrato in oltre il 40% di soggetti con ADHD. Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia il legame tra la regolazione emotiva e gli altri sintomi del disturbo. Infatti, è stato possibile osservare come la disregolazione non sia sempre presente nel campione clinico, nonostante la percentuale superi il 40% della popolazione patologica.
Diversi studi condotti fino ad oggi hanno prodotto dati apparentemente discordanti. Infatti sembrerebbe che la disregolazione emotiva possa essere un sintomo (Forslund, 2016; Sjoewall, 2013, Martel, 2009), precedentemente ignorato tra i criteri della diagnosi categoriale, poiché definibile in termini di dimensione temperamentale (Martel, 2009) o come una conseguenza di un deficit nelle funzioni esecutive (Barkley, 1997; Maedgen, 2000) e quindi una disfunzione nell’inibizione del controllo comportamentale, di stati fisiologici e di rifocalizzazzione dell’attenzione (Barkley, 1997; Spencer, 2011; Surman, 2013).
Secondo la prima ipotesi, che spiega la disregolazione emotiva in termini di dimensione temperamentale, la regolazione emotiva è un processo dissociabile dall’esperienza emotiva di per sé (Martel, 2009). Inoltre, in base al sottotipo di ADHD, se inattento, iperattivo/impulsivo o combinato, l’espressione della regolazione emotiva avviene in modi diversi, classificabili secondo un modello che prende in considerazione dimensioni del temperamento. Secondo questo modello il sottotipo inattento è caratterizzato da un basso controllo dell’emozione, indipendentemente dall’intensità. Mentre il sottotipo impulsivo/iperattivo è caratterizzato invece da una forte esperienza ed espressione delle emozioni positive e negative (Martel, 2009). Inoltre, se si tiene conto delle dimensioni temperamentali i due sottotipi si distinguono ulteriormente in bassa coscienziosità per il sottotipo inattento, e sgradevolezza, apertura ed estroversione per il sottotipo impulsivo/iperattivo. Infatti, esistono ricerche che evidenziano come i due sottotipi sono dissociabili. Tali ricerche suggeriscono che la regolazione delle emozioni, l’emotività negativa e quella positiva siano dimensioni indipendenti da componenti di controllo cognitivo, come le funzioni esecutive (Sjoewall, 2013; Forslund, 2016).
In questi ultimi lavori il controllo delle emozioni è stato misurato attraverso il questionario delle emozioni di Rydell (valutazione compilata dai genitori), mentre le funzioni esecutive sono state misurate attraverso compiti cognitivi (ad esempio test di Stroop e compiti di go/no-go). Entrambi i lavori hanno riportato come i dati misurati al test di Rydell e ai compiti per le funzioni esecutive non siano in relazione tra loro, ma di come invece contribuiscono in modo indipendente al disturbo.
Analizzando lo studio di Sjoewall e collaboratori (2013), il 16% di bambini con ADHD presenta deficit nella regolazione emotiva, ma non nel riconoscimento delle stesse. In particolare, gli stessi bambini con deficit nella regolazione delle emozioni, non risultano deficitari nelle funzioni esecutive. Un ulteriore 5% di bambini che hanno partecipato nello studio di Sjoewall e collaboratori (2013) sono risultati deficitari nella regolazione emotiva e nel riconoscimento delle emozioni ma non nelle funzioni esecutive.
La seconda ipotesi, che vede la disregolazione emotiva come una conseguenza del deficit nelle funzioni esecutive, è un’estensione del modello di Barkley (1997). Tale teoria non tiene conto di elementi temperamentali e ipotizza che il controllo dell’espressione emotiva è soggetto al controllo cognitivo.
Barkley (1997) mette in relazione la difficoltà di inibizione di un comportamento con altre funzioni esecutive (come la memoria di lavoro, il livello motivazionale in relazione al compito, quello di attivazione necessario per lo svolgimento delle consegne, il linguaggio interiore, la capacità di avvalersi dell’errore, processi generalmente indicati all’interno delle funzioni esecutive). L’ipotesi che l’ADHD sia legato ad un deficit delle funzioni esecutive è sostenuta da ricercatori che hanno notato una certa somiglianza tra comportamenti di bambini DDAI e disordini comportamentali e/o attentivi, evidenziati da pazienti con lesioni prefrontali (Pennington & Ozonoff, 1996; Shallice, Marzocchi e altri, 2002).
Barkley (1997) ha indagato il ruolo delle funzioni esecutive nell’ADHD, proponendo un modello di spiegazione. Parte del modello prende in considerazione l’auto-regolazione degli affetti-motivazione-arousal (Self-Regulation of Affect-Motivation-Arousal). Il modello fa delle previsioni su quali siano le mancanze nell’inibizione che possono spiegare le difficoltà degli individui con ADHD: (a) una maggiore reattività, emotivà, eventi emotivamente pregnanti; (b) una minore reattività, emotiva anticipatoria in previsione di eventi emotivamente pregnanti (in prospettiva di una diminuzione della capacità di previsione); (c) una minore abilità di agire sulle proprie emozioni rivolte agli altri; (d) una minore capacità di indurre e regolare stati emotivi, motivazionali e di arousal che sono al servizio del comportamento diretto ad uno scopo (all’aumentare del tempo che passa verso lo obiettivo aumenta l’incapacità di sostenere arousal e motivazione verso quell’obiettivo); (e) una maggiore dipendenza dalle fonti esterne che guidano l’affetto, la motivazione e l’arousal che fanno parte di un contesto che determina il grado dello sforzo dell’azione diretta all’obiettivo (Barkley, 1997).
A partire dal modello di Barkley (1997) sono seguite ricerche che hanno ipotizzato che la disregolazione emotiva nell’ADHD possa essere concettualizzata come “deficient emotional self regulation” (DESR) riferendosi a: 1) defict nell’autoregolazione dell’arousal causato da emozioni forti, 2) difficoltà nell’inibire il comportamento inappropriato in risposta a emozioni negative, 3) problemi nel rifocalizzare l’attenzione in seguito a emozioni forti sia positive che negative e 4) disorganizzazione del comportamento conseguente all’attivazione emotiva (Spencer, 2011; Surman, 2013). Quest’ultima è una definizione molto simile a quella utilizzata da Martel (2009). Tuttavia, questi autori si sono concentrati in primo luogo nel distinguere la disregolazione emotiva in altri disturbi, come ad esempio la depressione, l’ansia e il disturbo bipolare (Spencer, 2011). Inoltre, tali autori hanno voluto indagare come la disregolazione emotiva influenzi negativamente il funzionamento sociale in pazienti con ADHD (Surman, 2013).
I due modelli esplicativi presentati nel presente articolo non si escludono l’uno con l’altro, ma possono invece essere visti come complementari. Infatti, in un lavoro di Steinberg e Drabick del 2015 viene introdotto il concetto di effortfull control (controllo volontario impegnato), secondo cui temperamento e regolazione emotiva influenzano i meccanismi che regolano e inibiscono la risposta automatica dominante a uno stimolo, modificando volontariamente attenzione e comportamento. L’inibizione appare in tale ottica una sfaccettatura dell’effortful control, e cioè quanto un bambino è abile nel sopprimere un comportamento inadeguato in un determinato contesto, che non è correlata solo con il controllo comportamentale, ma appare invece correlata soprattutto con il controllo emotivo. Secondo le autrici l’inibizione e di conseguenza il controllo del proprio temperamento sono delle componenti delle funzioni esecutive (Steinberg & Drabick, 2015). Tale abilità sarebbe appresa attraverso l’osservazione e la regolazione del comportamento da parte dei genitori (Steinberg & Drabick, 2015). Infatti, un’ipotesi all’origine del disturbo potrebbe essere un mancato apprendimento della mediazione verbale nello sviluppo dell’autoregolazione. Ovvero, non viene prestata l’opportuna attenzione alle istruzioni dei genitori e pertanto tali comandi non vengono interiorizzati e fatti propri dal bambino, non imparando quindi la necessaria autoregolazione del proprio comportamento (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
ADHD E STILE DI ATTACCAMENTO
Un’ulteriore causa delle difficoltà di individui con ADHD può essere individuata nella relazione genitoriale, ovvero nello stile di attaccamento che si instaura tra bambino e caregiver. Le diverse configurazioni di attaccamento che si strutturano a partire dalla prima infanzia e poi si articolano e si differenziano in età prescolare e scolare, possono essere viste sia come pattern comportamentali interattivi osservabili, ma anche soprattutto come modalità di regolazione emotiva: all’interno dei legami d’attaccamento si imparano a riconoscere, articolare, dare un nome e regolare gli stati emozionali e le relative disposizioni comportamentali; specifici contesti di sviluppo caratterizzati da particolari forme di insicurezza che portano a specifiche disregolazioni emotive (Lambruschi, 2014).
Esperienze diadiche (resistenti), come connotate da discontinuità della risposta materna, portano all’opposto ad uno stile di regolazione emotiva iperattivante, come forte attivazione neurofisiologica e segnalazione emotiva e comportamentale, talora anche drammatica e teatrale. Altre (disorganizzate), in cui il contesto di accudimento e cure, è connotato da elevati livelli di pericolo e minaccia al Sé, possono portare invece a caoticità, contraddittorietà e forte instabilità nell’espressività emotiva (Lambruschi, 2014).
Clarke, Ungerer e altri (2002) hanno confrontato due gruppi di bambini (con e senza ADHD) testando i modelli operativi interni relativi all’attaccamento attraverso il SAT (Separation Anxiety Test), la Self Interview e il Family Drawning, trovando una forte correlazione tra ADHD e uno stile di attaccamento insicuro. Anche Pinto, Turton e altri (2006) hanno rintracciato una correlazione significativa tra sintomi dell’ADHD rilevati dagli insegnanti e significativi livelli di attaccamento disorganizzato. Green, Stanley e Peters (2007) hanno investigato il rapporto tra attaccamento e ADHD e hanno osservato che la diagnosi è significativamente associata a più elevati livelli di disorganizzazione dell’attaccamento.
Da questi studi è possibile ipotizzare che quando il deficit autoregolativo di base va a incontrarsi con quote di sensibilità e responsività sufficientemente ampie, le mancanze o gli eccessi di segnalazione del bambino avranno più probabilità di essere compensati o contenuti dal genitore, con una possibile attenuazione del quadro comportamentale e attentivo del bambino.
Si può immaginare un’amplificazione del disturbo e una maggiore resistenza al trattamento, laddove il comportamento scarsamente regolato del bambino vada ad incontrarsi con sponde relazionali insicure (Lambruschi, 2014).
Se un bambino è immerso in un funzionamento diadico ambivalente, l’iperattività e la distraibilità possono facilmente assumere una funzione coercitiva e di controllo nei confronti della figura di attaccamento. Mentre, in uno sviluppo evitante è più probabile che i sintomi si esprimano come un’esasperazione dell’utilizzo dell’esplorazione compulsiva e come “distrattore”, caratteristica forma di regolazione emotiva di questi pattern (Lambruschi, 2014).
LO STILE GENITORIALE COME FATTORE DI PROTEZIONE O DI RISCHIO
Grazie alle osservazioni riportate è possibile constatare quanto la regolazione emotiva sia influenzata quindi dalle funzioni esecutive, dal temperamento e dai modelli genitoriali. Infatti, secondo la prospettiva di Steinberg e Drabick, derivante dalla psicologia dello sviluppo, al di là di quale siano i fattori psicologici alla base di una disregolazione emotiva, quest’ultima è influenzata da fattori relazionali appresi nel nucleo familiare.
Lo stile genitoriale può essere sia un fattore di resilienza, supportando il bambino nell’esternalizzazione delle emozioni, oppure un fattore di rischio. Infatti, appurato che il bambino abbia un disturbo ADHD e anche una disregolazione emotiva, il supporto dei genitori nel regolare le proprie emozioni fa sì che il bambino non sviluppi disturbi in comorbilità come il disturbo della condotta o il disturbo oppositivo provocatorio (Steinberg & Drabick, 2015). Ad esempio, a livello terapeutico, una delle proposte del parent training per genitori di bambini con ADHD si basa su interventi di coping emotivo: ovvero l’apprendimento per imitazione di un modello che di fronte a situazioni complesse non nasconde la propria emotività, ma si sforza di trovare la soluzione al problema, esplicitando le strategie che vorrebbe attuare (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
Diversamente uno stile genitoriale autoritario con modalità aggressive, è uno dei fattori che aumenta la disregolazione e il rischio di incorrere in altri disturbi. A volte i genitori di bambini con ADHD hanno agiti aggressivi nel momento in cui cercano di far rispettare delle regole. Tale espressione emotiva esacerba il comportamento disfunzionale (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
In particolare, bambini e adolescenti con un basso controllo inibitorio (coerente con le caratteristiche comportamentali del disturbo ADHD) potrebbero mostrare sia problemi internalizzati che esternalizzati. Ad esempio, tali bambini potrebbero avere difficoltà a attenuare pensieri negativi (come la ruminazione), ed esibire un eccessivo ritiro negativo, aumentando il rischio di depressione (Steinberg & Drabick, 2015). Se lo stesso bambino ha dei genitori che rispondono a questo comportamento con rabbia, o comunque con un feedback negativo, appare ovvio come il rischio depressivo possa aumentare, o in alternativa come possa emergere un disturbo della condotta o degli agiti impulsivi (Steinberg & Drabick, 2015).
TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE
In tale prospettiva le relazioni familiari influenzano la regolazione emotiva del bambino con ADHD. Alcuni studi hanno cercato di verificare se la disregolazione emotiva possa essere non solo influenzata ma addirittura trasmessa. A questo scopo è stato condotto uno studio da Surman e collaboratori (2011) per testare questa ipotesi. Attraverso quello che è stato uno studio familiare, si è voluto verificare se in genitori con ADHD, fosse presente lo stesso disturbo nei figli. In particolare, i ricercatori hanno verificato se l’ADHD e la disregolazione emotiva presenti nei genitori fossero presenti anche nei figli.
I risultati ottenuti mostrano come la disregolazione emotiva appartenga solo a un sottotipo di disturbo ADHD perciò è possibile affermare che il disturbo ADHD sembra essere trasmesso indipendentemente dalla presenza o meno di un deficit nella regolazione emotiva, mentre quest’ultima era presente solo in figli di genitori con ADHD e disregolazione (Surman, 2011).
Gli autori hanno, di conseguenza, ipotizzato che la disregolazione sia un effetto secondario nell’ADHD. Inoltre, considerano la disregolazione secondaria all’ADHD nella condizione in cui sia manifestata nel contesto familiare: l’apprendimento attraverso le regole sociali disfunzionali potrebbe influenzare la normale curva di sviluppo della regolazione emotiva e questo effetto potrebbe essere ancora maggiore per bambini con ADHD avendo genitori con ADHD e disregolazione emotiva (Surman, 2011).
ADHD, DISREGOLAZIONE EMOTIVA E DISTURBI DELL’UMORE
I lavori fino a ora presentati riguardano la regolazione emotiva dal punto di vista cognitivo, temperamentale e familiare. Ciò che accomuna i lavori sopra descritti è l’influenza di questi tre fattori nella mediazione della regolazione emotiva nello sviluppo di quadri complessi del disturbo in comorbilità con il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo provocatorio e i disturbi dell’umore.
Infatti, potrebbero essere presenti differenti manifestazioni emotive a seconda del sottotipo di ADHD. Nel sottotipo disattento sono più frequenti disturbi dell’umore, appaiono più ansiosi, timidi e ritirati socialmente. Diversamente nel sottotipo iperattivo-impulsivo e combinato, vi è la presenza di comportamenti aggressivi. Quest’ultimi si oppongono più frequentemente alle richieste, ricevendo addirittura una seconda diagnosi di disturbo della condotta e di disturbo oppositivo-provocatorio (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
In particolare, è stato proposto come distinguendo tra ADHD sottotipo inattento e sottotipo impulsivo-iperattivo, e distinguendo tra controllo dell’emozione e l’esperienza di forti emozioni positive o negative, vi siano manifestazioni di comorbilità diverse (Martel, 2009). Secondo tale prospettiva il controllo dell’emozione sarebbe maggiormente associato al sottotipo inattento e al disturbo della condotta. Le forti esperienze emotive sarebbero invece associate al sottotipo impulsivo-iperattivo e al disturbo oppositivo-provocatorio (Martel, 2009).
Tuttavia, sono state proposte ulteriori distinzioni. Ad esempio, è stato possibile osservare una diversa disregolazione delle emozioni positive e di quelle negative. È stato possibile osservare come la prima è un fattore di rischio specifico del disturbo ADHD, mentre la seconda è maggiormente associata al disturbo della condotta (Forslund, 2016). Il fatto che bambini con ADHD manifestano anche una forte componente di emotività negativa potrebbe essere dovuta a una concomitante presenza del disturbo della condotta (Forslund, 2016).
Inoltre, in un campione di pazienti adulti ADHD, è stato osservato come la disregolazione emotiva estrema fosse sia parte del disturbo ADHD, come anche in pazienti con una storia di concomitante disturbo oppositivo-provocatorio (Surman, 2013). Il fatto che la disregolazione fosse presente sia in pazienti con solo ADHD che in quelli con ADHD e disturbo oppositivo-provocatorio, ha portato gli autori a proporre come la disregolazione sia un fattore che possa presupporre un concomitante disturbo oppositivo-provocatorio ma non il contrario, in quanto esistono quadri diagnostici di disturbo ADHD con disregolazione senza disturbo oppositivo-provocatorio (Surman, 2013).
Per di più, come già indicato sopra, individui con ADHD possono anche presentare disturbi dell’umore secondari.
DIFFICOLTÀ NELLA REGOLAZIONE EMOTIVA IN BAMBINI CON ADHD: CONSEGUENZE SUL FUNZIONAMENTO SOCIALE
L’ultimo lavoro citato ha mostrato come la disregolazione emotiva influenzi negativamente il funzionamento sociale dei bambini con ADHD. Nello studio proposto da Spencer e collaboratori (2011), oltre alla regolazione emotiva sono state misurate anche la regolazione sociale del comportamento, il funzionamento scolastico e la gravità dei conflitti familiari. Dallo studio è emerso come la disregolazione emotiva possa spiegare una porzione significativa di difficoltà in questi domini.
Infatti, tra i sintomi secondari dell’ ADHD si possono riscontrare difficoltà relazionali, in quanto i bambini iperattivi diventano maggiormente contestatori e incapaci di comunicare in modo efficace con i pari (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
In particolare, l’ipotesi che alla base del malfunzionamento sociale vi sia una difficoltà nella gestione delle emozioni, è stata testata in un lavoro precedente di Maegden e collaboratori (2000) in cui è stato esaminato come la reattività emotiva influenzi le abilità sociali nel sottotipo inattento di bambini con ADHD, comparando i risultati con un gruppo di bambini con sottotipo ADHD combinato e normali. Nell’esperimento la regolazione emotiva venne misurata secondo il paradigma di Ekman e Friesen delle display rules: regole non scritte che descrivono come dovrebbe essere espressa un’emozione in un certo contesto sociale. Al termine di questa prova veniva dato ai partecipanti un premio deludente a seguito di una performance buona (Maegden, 2000).
I risultati mostrarono che bambini con ADHD sottotipo combinato, manifestavano reazioni emotive più intense (sia positive che negative) rispetto agli altri due gruppi. Questo risultato è in linea con i lavori riportati precedentemente (Forslund, 2016; Martel, 2009, Vio, Marzocchi & Offredi, 2015; Spencer, 2011). In particolare, nel momento in cui fosse ragguardevole non mostrare disappunto alla presentazione di un premio deludente, i bambini con ADHD (per entrambi i sottotipi) tentarono di regolare l’espressività emotiva, pur essendo meno efficaci dei controlli, come dimostrato da un trend (comunque non significativo) nei dati. Quindi sembrerebbe che i bambini ADHD conoscano quella che sia la regola sociale più adatta, pur faticando nell’applicarla (Maegden, 2000).
Dato che la disregolazione influenza fortemente e direttamente, il funzionamento sociale dei bambini, è necessario tenerne conto durante il trattamento del disturbo ADHD. Soprattutto poiché vi sono evidenze come il malfunzionamento sociale non si limiti all’infanzia e all’adolescenza, ma si protragga anche nell’età adulta. Infatti, si è visto come in adulti ADHD con deficit nella regolazione emotiva vi sia una più bassa qualità della vita e un peggiore adattamento sociale (maggior numero di incidenti stradali e arresti) (Spencer, 2013).