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Imitazione e Neuroni Specchio

Imitazione (dalla parola latina imitatio –onis, che discende a sua volta dal verbo imitāri - imitare). Con questo termine s'intende un'attività di produzione o un comportamento non originale, basati su un modello preesistente che si ritiene valido e che si cerca di eguagliare intenzionalmente o casualmente.

La parola può avere sia valenza positiva, se il modello è preso solo come punto di partenza e stimolo, che negativa, quando la riproduzione è solo una sterile e pedissequa copia dell'esempio esistente.

Dell'imitazione si è occupata anche la pedagogia in quanto questo comportamento, prima istintivo poi riflesso, costituisce una modalità fondamentale dell'apprendimento infantile e in genere di quello degli animali.

Sin dalla nascita il bambino ha capacità imitative ed è proprio con l'imitazione che acquista l'uso del linguaggio e si introduce nella cultura a cui appartiene, per un adulto è, invece, la suggestione e l'identificazione che lo spinge ad imitare.

La psicologia dell'età evolutiva ha descritto la socializzazione infantile e la formazione della personalità come un processo durante il quale il bambino si rivolge a modelli privilegiati che egli trova nell'ambiente sociale in cui vive. Questa "socializzazione secondaria", com'è stata chiamata, è soprattutto un fenomeno di identificazione.

Jean Piaget si è interessato dell'imitazione collegandola allo sviluppo mentale del bambino quando, intorno al secondo anno d'età, con la fine dello stadio senso- motorio, passa ad un livello rappresentativo mentale (gioco simbolico, disegno fino ad arrivare al linguaggio) dove raggiunge la padronanza dell'imitazione anche senza più il modello da imitare ("imitazione differita").

Il concetto di imitazione infatti costituisce il nucleo della psicologia sociale di Gabriel Tarde (1843–1904) che ha considerato questo fenomeno psicologico fondamentale nella costituzione dei rapporti sociali.

Vygotskij diede un contributo importate alla psicologia sotto questo punto si vista. Mostra, in effetti, con la sua opera The Development of Higher Psychological Processes un’estrema attualità, in quanto ha sempre cercato di guardare alla mente umana attraverso una visione d’insieme, facendo sì che potesse emergere una descrizione e una spiegazione delle “funzioni psichiche superiori” in termini accettabili alle scienze naturali. Per Vygotskij, infatti, risulta determinante identificare i meccanismi del cervello responsabili di specifiche funzioni. Partendo da quello che è la storia evolutiva, egli ha cercato di vedere la linea di congiunzione che ponesse una certa relazione tra le forme semplici e quelle complesse di un certo comportamento, dando estrema importanza alla comprensione del contesto sociale in cui il comportamento ha avuto modo di realizzarsi (Cole & Scribner, 1978). Lo psicologo russo, inoltre, è uno dei primi sostenitori a favore del concetto di unione tra psicologia cognitiva, neurologia e fisiologia. Ciò, indubbiamente si collega a quanto sostiene Goswami (2004, 2004), che l’insegnamento agisce direttamente sulle funzioni cerebrali e neuronali cambiandone la connettività, e questo indubbiamente è dimostrato dalle tecniche di neuroimaging che dovrebbero essere di aiuto alla psicologia dell’educazione per creare strategie più consone e far avanzare l’apprendimento con ricadute sui processi cerebrali.

Vygotskij (1931), tra le ricerche e le riflessioni che ha svolto in campo infantile, affronta il discorso dell’imitazione all’interno della relazione dinamica che sussiste tra apprendimento e sviluppo. L’imitazione, così, viene affrontata in primis non come processo meccanico e ripetitivo ma come processo creativo.

Egli spiega il suo punto di vista, soffermandosi sulla relazione dinamica, come lui stesso la definisce, tra apprendimento e sviluppo. Per Vygotskij l’apprendimento del bambino precede quello che poi sarà l’apprendimento di tipo scolastico, e l’insegnate non si troverà mai di fronte ad un individuo vuoto, privo di saperi e competenze. Allora, tutti gli apprendimenti che il egli affronta a scuola non sono del tutto nuovi, ma hanno, di certo, una storia pregressa. Un esempio di ciò è quando i bambini iniziano all’interno della scuola ad approcciare la matematica, attività che, però, già negli anni precedenti hanno avuto modo di affrontare anche con esperienze di gioco, usando addirittura le quattro operazioni matematiche. Questo sta appunto a significare che essi, già precedentemente hanno avuto modo di avere una loro aritmetica, che naturalmente è diversa da quella che verrà svolta all’interno della scuola con l’insegnamento di tipo formale. La stessa cosa avviene per quanto riguarda il linguaggio, quando il bambino formula le prime domande, imparando il nome degli oggetti che appartengono al suo specifico ambiente: in questo modo vi sono una serie di acquisizioni linguistiche che si basano sulle risposte fornite dagli adulti. Questi, infatti, gli offrono importanti opportunità per l’acquisizione di innumerevoli cose che il bambino prima non conosceva. È qui che Vygotskij inserisce, per la prima volta, il concetto di imitazione: egli afferma che l’adulto che viene imitato o che fornisce istruzioni (e anche questo potrebbero essere inteso come una forma di imitazione), su come comportarsi e agire, fa sì che il bambino possa raggiungere e sviluppare molte abilità. In particolar modo, è da tale comportamento imitativo che si andranno a instaurare due processi interdipendenti, non scomponibili e attivi fin dal primo giorno di vita: apprendimento e sviluppo.

L’imitazione del linguaggio e del comportamento, intesi anche come azioni motorie diventano allora fondamentali per l’apprendimento e lo sviluppo: questi sono aspetti che gli scienziati che studiano le funzioni dei neuroni specchio, hanno a lungo indagato. Si ritiene a tale proposito che le abilità motorie e il linguaggio sono strettamente connessi in quanto la loro localizzazione cerebrale si trova in zone adiacenti. Forse è proprio per questo che si ritiene che il linguaggio umano si sia evoluto da un tipo di comunicazione mimico-gestuale basata sull’imitazione (Rizzolatti & Arbib, 1998).

Un tempo si considerava l’imitazione una forma meccanica, ripetitiva e sterile di apprendimento. A tale proposito Vygotskij (1931), prendendo in considerazione alcuni studi condotti dalla Gestal, fa una differenza tra l’imitazione degli animali e quella del bambino. L’animale è vero sì che compie azioni imitative ma queste risultano essere sempre limitate, in quanto sono azioni che gli sono già accessibili. Köhler, infatti, con i suoi esperimenti, ha dimostrato che gli animali non eccedono mai i limiti dell’azione, che è già potenzialmente possibile in assoluto. Per Vygotskij, l’imitazione intellettuale, è caratteristica dell’uomo, in quanto legata alla comprensione che permette di estendere le azioni imitative ad azioni analoghe. All’animale, sostiene Vygotskij (1931), non si può insegnare (nel senso umano del termine) attraverso l’imitazione in quanto, questo non possiede la zona di sviluppo prossimale: in altre parole, l’animale non riuscirà mai a imparare a risolvere problemi difficili in forma autonoma anche se si cerca di insegnarglielo. Invece, il bambino riesce a imitare moltissime azioni che vanno ben oltre i limiti delle sue capacità, grazie a una serie di imitazioni di tipo sociale che si attuano nell’interazione con gli adulti e gli altri bambini.

 

La scoperta dei Neuroni Specchio

Dal punto di vista neuroscientifico, i processi imitativi, sembra che si sviluppino grazie a una classe particolare di cellule neuronali chiamate neuroni specchio.

I neuroni specchio sono un particolare tipo di neuroni che sono stati scoperti nei primi anni novanta da un gruppo di neurofisiologi dell’Università di Parma guidati da Giacomo Rizzolatti.

I neuroni specchio sono una categoria di neuroni visuo-motori individuati per la prima volta nel cervello del macaco, nella regione cerebrale denominata corteccia premotoria ventrale (area F5) (di Pellegrino et al., 1992). La scoperta è avvenuta in quanto il gruppo guidato da Rizzolatti stava conducendo uno studio sul funzionamento dei neuroni motori che verteva nell’impianto di un elettrodo in un neurone specchio nel cervello della scimmia.

Più di recente, sono stati scoperti neuroni con proprietà simili anche nella corteccia cerebrale del lobo parietale posteriore, nell’area 7B (o PF) e nell’area PFG (Rizzolatti, Craighero, 2004) dove sembra che vi siano connessioni con l’area F5 (Fogassi et al., 2005).

Fin dai primi esperimenti si è visto che nella scimmia i neuroni specchio vengono attivati quando l’animale esegue un atto motorio finalizzato, come può essere l’afferrare con la mano un oggetto o afferrare del cibo con la bocca. Questi neuroni della corteccia premotoria, vengono attivati automaticamente anche quando il macaco osserva compiere gli stessi atti motori, sia da altri macachi sia dall’uomo: da ciò si è giunti alla conclusione che il sistema dei neuroni specchio sono determinanti per comprendere il comportamento altrui (di Pellegrino et.al., 1992; Gallese et al., 1996; Gallese, 2000, 2001; Gallese et al., 2002; Rizzolatti et al., 1996, Rizzolatti, Fogassi & Gallese 2000, 2001).

Negli studi sulle scimmie si è anche dimostrato che i neuroni specchio si attivano solo se la mano e la bocca svolgono un’azione per una finalità concreta: osservare un atto motorio dove non vi sono oggetti (per esempio se gli atti vengono solo mimati), non porta all’attivazione dei neuroni specchio, come pure la sola presentazione di oggetti non può attivare i neuroni specchio (Gallese, et al., 1996). Un’altra caratteristica è che non necessariamente la scimmia deve osservare un’azione per far attivare i suoi neuroni specchio. Infatti, un’azione anche se non vista, ma soltanto udita nel suo rumore caratteristico, fa attivare ugualmente nell’area F5 una classe di neuroni specchio chiamati “audio-visivi”. Questi infatti scaricano anche quando la scimmia sente rompere una nocciolina o strappare un foglio di carta, come se fosse lei stessa a svolgere azioni che producono un rumore specifico. Alcuni esperimenti dimostrato che una notevole percentuale di neuroni mirror scaricano sia quando la scimmia svolge l’azione, sia quando la scimmia sente il rumore prodotto dall’azione o osserva la stessa azione priva di rumore caratteristico (Keysers et al., 2003; Kohler et al., 2001, 2002). Questi neuroni specchio “audio-visivi”, non rispondono solamente al suono prodotto da una particolare azione, ma addirittura sono in grado di discriminare suoni diversi caratteristici di azioni diverse. Dagli esperimenti risulta anche che le azioni il cui suono evoca la più forte risposta acustica sono anche quelle che producono la risposta più forte, quando vengono osservate od eseguite, in quanto, per questi neuroni è indifferente se una data azione è udita, osservata, o svolta. Alla scimmia basta sentire il rumore per avere un’immagine mentale di quello che sta succedendo o che è da poco successo.

I neuroni specchio fanno sì che l’azione che viene osservata possa innescare il medesimo circuito nervoso che serve per controllare l’esecuzione di quella stessa azione, ossia è come se si attivasse una simulazione automatica di quella specifica azione. Tutto ciò permette implicitamente di comprendere le azioni altrui (Gallese et al., 2004).

 

I Neuroni Specchio nell’uomo

Verso la metà degli anni Novanta si è potuto accertare, grazie alle tecniche di brainimaging, che anche il cervello umano possiede un sistema di neuroni specchio estremamente attivo, molto simile a quello della scimmia (Buccino et al., 2004; Fadiga et al., 1995; Iacoboni et al., 1999; Rizzolatti et al., 1996b). Tale scoperta permette di concepire il cervello umano come avente potenzialità olistiche straordinarie: grazie al sistema di neuroni specchio si può, infatti, riuscire a compiere molte azioni nello stesso tempo, come agire, percepire, partecipare e mettersi in relazione con gli altri, al loro sentire emotivo, e a imitare, attività fondamentale per ogni tipo di apprendimento.

Le neuroimaging impiegate per individuare l’attività dei neuroni specchio nell’uomo sono la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI), che rileva quali aree cerebrali vengono attivate quando si svolge una specifica azione, la Tomografia a Emissione di Positroni (PET), e la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), con la quale si può inibire o stimolare le aree cerebrali per verificare se svolgono realmente tale funzione (si veda Arbib et al., 2000; Maeda et al., 2002).

Fadiga (1995), è stato il primo che attraverso la TMS è riuscito a dimostrare che anche l’uomo è dotato di un sistema di neuroni specchio simile a quello della scimmia: infatti, i neuroni specchio delle regioni motorie dell’uomo si attivavano maggiormente quando egli vede compiere un’azione soprattutto di afferrare un oggetto, mentre non si attivano se egli semplicemente vede lo stesso oggetto senza che su di esso sia compiuta un’azione.

Interessante è sottolineare che a differenza di quello che accade nella scimmia, nell’uomo l’osservazione di azioni anche senza oggetti, come le mimiche, produce comunque l’attivazione dei neuroni specchio (Buccino et al., 2001).

Queste ricerche hanno individuato quali sono le aree cerebrali in cui i neuroni specchio sono maggiormente attivi: in particolare l’osservazione di azioni di afferrare con la mano produce l’attivazione delle aree di Broadman, del lobulo parietale inferiore, e del giro frontale inferiore (Rizzolatti & Craighero, 2004; Rizzolatti & Sinigaglia, 2006). Nell’uomo, inoltre, le aree cerebrali coinvolte, oltre alle aree motorie e pre-motorie, sono quelle in cui i neuroni specchio occupano anche l’area di Broca e la corteccia parietale inferiore.

l’area di Broca e la corteccia parietale inferiore.

Una delle scoperte più interessanti è il fatto che i neuroni specchio dell’area del lobo frontale dell’emisfero sinistro possa corrispondere all’area di Broca: quest’area come sappiamo è l’area coinvolta nelle funzioni principali del linguaggio, tra cui la comprensione di questo (Iacoboni, 2008). Il nesso tra motricità e linguaggio è data proprio da queste aree adiacenti che vengono coinvolte nella motricità e nel linguaggio in cui anche in questo ultimo, è coinvolta tutta una serie di altri processi facenti parte della motricità (Rizzolatti et al., 1998; Buccino et al., 2001; Binkofskij et al., 2004).

Vi è, quindi, un forte legame tra movimenti manuali e quelli oro-buccali, oppure esprimere le emozioni con il viso e lo sviluppo del linguaggio. Si è ipotizzato, allora, che il rapporto tra percezione, azione e produzione del linguaggio sia processo che si è evoluto da un tipo di comunicazione mimico-gestuale basata sull’imitazione (Rizzolatti et al., 1998). Tale dato è anche confermato dal fatto e cioè che sono proprio i neuroni specchio che fanno sì che si riescano a comprendere i gesti che vengono osservati negli altri rendendo efficace anche la comunicazione di tipo gestuale (Iacoboni, 2008).

Il comprendere le azioni altrui e capire a quale scopo sono dirette sono una forma di imitazione mentale molto complessa che sta alla base dell’imitazione motoria.

 

Neuroni Specchio e imitazione: interdisciplinarieta’ e aspetti comuni

I neuroni specchio, quindi, sono coinvolti in molte funzioni complesse come la comprensione delle azioni e delle emozioni altrui, nell’empatia, nel linguaggio, e nell’imitazione. Queste funzioni della mente sono indispensabili agli uomini per instaurare rapporti di interazione sociale con altri individui: esse invece, sembrano mancare in certe patologie come la sindrome autistica (Dapretto et al., 2006; Escalona et al., 2002; Field et al., 2001; Ingersol et al., 2001, 2003, 2006, 2007; Williams et al., 2001).

Alcuni decenni fa due psicologi dell’età evolutiva, Meltzoff e Moore (1977, 1983, 1997), hanno iniziato a studiare l’imitazione in neonati di pochi giorni e settimane, (e addirittura in un neonato di quarantadue minuti di vita!), giungendo a conclusioni sorprendenti. Hanno osservato che anche il piccolo nato soltanto da quarantadue minuti era in grado di imitare alcuni gesti del volto e delle mani, come aprire la bocca o usare la protrusione della lingua. Inoltre, hanno ipotizzato fin dai loro primi esperimenti che il neonato già alla nascita è predisposto a imitare perché possiede un meccanismo innato comune a tutta la specie umana.

L’imitazione precoce, è un fenomeno che alcuni neurofisiologi spiegano ipotizzando che alla nascita si possiede un sistema di neuroni specchio non completamente maturo ma che comunque permette forme di imitazione semplice. Il sistema specchio, però, possiede anche capacità potenziali di sviluppo grazie a tutta una serie di stimolazioni provenienti dall’interazione socio-ambientale. Tale assunto, è secondo il nostro punto di vista, il punto di intersezione che lega la teoria imitativa formulata da Vygotskij, quando parla di potenzialità presenti in ogni individuo, che però svilupperà solo in interazione con i propri simili nel proprio contesto storico- culturale, con le scoperte sui neuroni specchio. A tale proposito, si ritiene fondamentale riportare quanto scrive Iacoboni (2008):

“Sebbene sia verosimile che alcune di queste cellule siano attive già in una fase precocissima della vita e facilitino le prime interazioni, credo che la gran parte del nostro sistema dei neuroni specchio in realtà si formi nel corso dei mesi e degli anni di queste interazioni. È probabile, in particolare, che la formazione dei neuroni specchio nel cervello del bambino abbia luogo durante l’interazione reciproca, come abbiamo visto per quanto attiene al sorriso” (pp. 135,136)(Iacoboni)

Iacoboni (2001, 2008) sottolinea come l’esperienza svolta in interazione con i nostri simili porti a far sì che i neuroni specchio vengano potenziati dall’esperienza diventando necessari per lo sviluppo di forme di apprendimento imitative come forme potenziali:

“…uno scenario molto verosimile del modo in cui l’esperienza modella e rafforza i neuroni specchio è quello nel quale la reciproca imitazione durante l’infanzia consente al bambino di stabilire un’associazione fra certi tipi di movimenti e il vedere qualcun altro eseguire quegli stessi movimenti. I bambini che in seguito svilupperanno l’autismo tendono a non guardare la madre né il padre né altri che si prendono cura di loro, e non sono in grado di fare associazioni fra i propri movimenti e quelli di altre persone che li imitano.”

Ne consegue che i neuroni specchio non possono prendere forma né rafforzarsi

Ne consegue che i neuroni specchio non possono prendere forma né rafforzarsi (2008, p. 135).

Iacoboni e coll. (1999), hanno dimostrato attraverso l’impiego della PET quali sono le aree corticali che vengono coinvolte durante l’osservazione e l’imitazione. L’esperimento condotto con soggetti adulti, ha rivelato che sia durante l’osservazione che durante l’imitazione di un’azione viene attivato il medesimo circuito corticale. Il circuito in questione comprende la corteccia del solco temporale superiore (che si riferisce all’area 21 di Broadman), il lobo parietale inferiore (riferito all’area 40 di Broadman), la parte anteriore della regione di Broca (riferita all’area 45 di Broadman) nella circonvoluzione cerebrale frontale inferiore. Come si è detto precedentemente l’area di Broca risulta essere importantissima non solo per le funzioni linguistiche, ma anche per l’imitazione: in un esperimento condotto attraverso la TMS si è visto che se viene bloccata quest’area i soggetti non riescono più a imitare certe azioni, come per esempio premere i tasti di una tastiera di computer (Heiser et al., 2003).

Buccino et al. (2004), con la FMRI, hanno mostrato che il sistema di neuroni specchio è determinante in processi imitativi anche del tutto inediti ed estremamente complessi come può essere imitare gli accordi musicali con una chitarra per persone che non hanno mai suonato uno strumento musicale. In questo esperimento si è visto che i neuroni specchio si attivano in vari momenti, cioè, quando i soggetti osservano effettuare gli accordi da una persona, durante una pausa, e addirittura quando sono loro stessi a dover ripetere l’accordo osservato.

Rizzolatti and Sinigaglia (2006), sostengono che a questo tipo di apprendimento si possono dare varie spiegazioni, ma quella più interessante è quella proposta dall’etologo Richard Byrne (1998, 2002, 2003, 2005). Egli sostiene che in un primo momento l’osservatore attua una specie di scomposizione dell’azione che deve imitare, scomponendola nelle varie parti di cui è composta e che fanno parte del proprio repertorio d’azione. Il soggetto poi, in un secondo momento, è in grado di ripetere l’azione intera proprio perché ha potuto scomporre precedentemente l’azione in parti che ha fatto proprie. In altre parole, le informazioni visive vengono trasformate in atti motori potenziali: questo è dimostrabile con gli esperimenti di brainimaging, in cui si rileva che i neuroni specchio del lobo parietale inferiore e del lobo frontale sono responsabili di questa specie di traduzione e poi di replica dell’azione (Rizzolatti & Sinigaglia, 2007). Ciò è anche collegato a un altro aspetto:

l’uomo è in grado di imitare forme di comportamento, incluso il linguaggio verbale, molto più complesse rispetto agli altri animali in quanto l’uomo possiede un patrimonio motorio molto più complesso: questo fatto, gli consente, così, di poter strutturare apprendimenti più complessi, basati su processi imitativi.

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 
  1. Imitazione: La scoperta dei neuroni specchio; I neuroni specchio nell’uomo; Neuroni specchio e imitazione: interdisciplinarieta’ e aspetti comuni.
  2. Il ruolo sociale dell’imitazione: L’effetto dell’imitazione passiva in bambini con autismo; L’attenzione Sociale; La risposta Sociale; Attività motoria e stereotipie; Manipolazione di oggetti e Giochi di abilità; Abilità di imitazione;
  3. Strumenti di valutazione: GRIFFITHS MENTAL DEVELOPEMENT SCALES; PEP-3 (PROFILO PSICOEDUCATIVO TERZA EDIZIONE-GIUNTI O.S.); SCQ (Social Communication Questionnaire, Giunti O.S.), Interpretazione della Forma Arco di Vita, La standardizzazione, Standardizzazione italiana; TEST DI IMITAZIONE DEI GESTI BERGES E LEZINE (1963).
  4. CASI CLINICI: Caso A.; CASO B.; CASO C.; CASO D
  5. CONFRONTO TRA I CASI
  6. Prospettive di trattamento
 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 

Tesi di Laurea di: Marilena ALVAREZ

 

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