Neuropsicomotricità - Il setting in terapia e a casa: continuità e discontinuità
Il termine setting deriva dall’inglese “to set”, preparare una scena, mettendo in atto degli accorgimenti specifici. In riabilitazione il terapista “ambienta una scena” per ogni paziente e per ogni patologia. Con questo termine si intende primariamente l’insieme di regole e modalità attraverso cui lo specialista si prende cura ed entra in relazione con il paziente. L’attenzione al setting è fondamentale all’interno del progetto terapeutico, costituisce parte centrale del contratto tra paziente e terapista e si realizza nella regolazione dell’ambiente, dello spazio, del tempo e delle relazioni. Il setting può essere suddiviso in normativo, fisico e mentale 12.
La dimensione normativa è costituita dal contratto iniziale terapista-famiglia che stabilisce delle regole precise: obiettivi e tipologia dell’intervento, numero di sedute, rispetto dell’orario, scadenze delle sedute, la comunicazione reciproca delle assenze e le modalità di comunicazioni. Due elementi fondamentali all’interno del setting normativo sono la presa in carico iniziale e la chiara formalizzazione della fi ne della terapia con la dimissione del paziente, in entrambi i casi effettuati dal terapista e dal medico referente. La conclusione della terapia è importante tanto quanto la presa in carico iniziale perché è vero che non bisogna arrendersi davanti al limite, ma è altrettanto importante fermarsi laddove non sono più possibili miglioramenti.
Il setting fisico costituisce lo spazio del trattamento, è un ambiente dedicato e pensato per quel determinato bambino, con quella patologia, con la sua famiglia, in quel periodo di vita. La predisposizione della stanza di terapia ha ruolo fondamentale. Dovrebbe essere una stanza sufficientemente grande, non troppo ampia e dispersiva per il paziente che deve sentirsi accolto. Caratteristica fondamentale deve essere quella di trasmettere benessere al bambino e al terapista e, dove presente, anche alla famiglia: deve essere un luogo in cui si prova piacere a rimanere. È necessario utilizzare colori e materiali che trasmettano “calore”, non potrà essere una stanza troppo seria, adibita a terapie per adulti, perché diverso sarebbe l’impatto emotivo sul bambino. Soprattutto in fase valutativa appare importante osservare come il paziente spontaneamente utilizza materiali, come organizza lo spazio e con quali modalità interagisc e con il terapista e gli oggetti. Dalla valutazione risulterà evidente come il terapista potrà adattare il più possibile l’ambiente rispetto le competenze emergenti del piccolo. Questo spazio deve rimanere uguale e costante nel corso delle sedute per promuovere maggiore stabilità e continuità, rendendolo così unico e riconoscibile al bambino, ma si modificherà lungo il percorso riabilitativo in rispetto della crescita e dell’evoluzione clinica. L’ambiente dovrà essere arricchito, ovvero sarà necessaria regolazione e preselezione degli oggetti sulla base della tipologia di paziente. La definizione del Dizionario di medicina Treccani (2010) riporta che: “si definisce ambiente arricchito quello in cui l’individuo si sviluppa e dal quale riceve gli stimoli senso riali nel corso della vita avendo un’influenza notevole sul cervello e, di conseguenza, sul comportamento. Nelle fasi precoci di sviluppo l’esperienza ambientale guida la maturazione delle connessioni tra i neuroni, regolando i processi che portano al cablaggio fine dei circuiti nervosi, con effetti marcati sull’anatomia e la fisiologia del cervello. Un’alterata o ridotta esperienza sensoriale può causare deficit funzionali”. L’importanza nel fornire un ambiente ottimale per l’organizzazione di opportunità per lo sviluppo del bambino sono state sottolineate in diverse review. Si riscontra spesso l’utilizzo improprio del termine Ambiente Arricchito (AA) senza una precisa definizione e procedura: è importante essere chiari che non tutti gli interventi terapeutici sono arricchenti. Arricchente, infatti, può essere definito l’ambiente il più favorevole possibile per l’emersione delle funzioni cognitive, sensoriali, motorie e sociali, rispetto alla patologia del bambino: in alcuni casi saranno necessari molti stimoli, in altri bisognerà ridurli.
Nel setting possono essere presenti oggetti senza funzione specifica, che promuovono investimento creativo e strategie significative per il bambino, senza attività rigide legate all’utilizzo dell’oggetto stesso. Per compiti specifici, saranno necessari oggetti dedicati e predisposti. Tutti i materiali devono essere scelti ed adattati in funzione del ruolo e della patologia del bambino e delle affordance che il terapista decide di far emergere. Attraverso i materiali è necessario sostenere e sviluppare le abilità del piccolo paziente nel stabilire relazioni, nell’adattarsi alle varie situazioni, nell’utilizzare e finalizzare le competenze motorie. Saranno presenti materiali non strutturati, come cuscini di varie forme e dimensioni, teli, corde colorate, cerchi, mattonelle di legno per permettere al bambino di sperimentare la propria creatività, e materiali strutturati con funzionalità intrinseca, quali lettini, fasciatoi, incastri di vario genere, materiale plastico, automobiline, peluche e bambole, pennarelli e fogli di carta, e qualsiasi materiale necessario per casi specifici.
È necessario avere un’immagine chiara e dinamica del bambino per poter costruire un setting mentale adeguato. Anche il terapista è parte dell’ambiente e il setting ne costituisce un suo prolungamento. Per permettere al paziente di sentirsi accolto con tutte le sue difficoltà (emotive/relazionali, cognitive, percettive, motorie, etc) è necessario creare uno spazio emotivo e “contenitivo” di supporto grazie al quale il bambino possa sperimentare le proprie emozioni, partendo dal proprio corpo ed elaborandole successivamente a livello superiore, trasformandole così in sentimenti. Per spazio mentale, il terapista dovrà porsi nella situazione empatica di ascolto attivo e dovrà modificarsi in base alle risposte, verbali e non verbali, del bambino: ad esempio la distruzione all’interno dell’attività ludica prevede la richiesta implicita sottostante di ricostruire, nel bambino più piccolo e grave attraverso il pianto ed il dialogo tonico comunica il proprio malessere e bisogno di accudimento. È necessario che il terapista trovi la distanza ottimale: possibile solo se si è in grado di cogliere empaticamente le aperture/chiusure del bambino, in modo da regolare le distanze fisiche ma soprattutto quelle emotive. È fondamentale che l’adulto si lasci improntare dal piccolo paziente, permettendo di conferire significato all’investimento emotivo e di cogliere il senso di sé, costruendo così la propria identità. Il riabilitatore dovrà pensare al bambino in termini di totalità che in questo modo potrà sentirsi tale solo se così è pensato, sentito e percepito dal terapista. Egli costruisce l’immagine di sé sulla base dell’immagine che l’ambiente gli rimanda. Il paziente dovrà sentire il terapista come oggetto potenziale che gli permette di esprimersi nella sua interezza e dovrà considerarlo proprio e affidarsi a lui.
“La disabilità è un segno che riguarda l’individuo, ma la paralisi come stigma, contagia i familiari e quanti si occupano del bambino”13. È di fondamentale importanza, parlando di età evolutiva, focalizzare l'attenzione sui genitori, che assumono ruolo chiave all’interno del progetto terapeutico. I caregivers, come afferma Ferrari, sono parte della vita del bambino ed ideali “consegnatari degli strumenti”.
Scopo della terapia è quello di promuovere nel bambino affetto da paralisi cerebrale infantile modificazioni stabili e permanenti delle funzioni adattive in ambienti al di fuori del setting terapeutico. Spesso la performance rimane legata alla stanza di terapia e non riesce a trasferirsi in altri contesti, in quanto legata alle particolati condizioni create dal terapista, non portando così a modificazioni vere e proprie. Queste competenze, raggiunte artificiosamente, possono incrementare il dislivello tra i l desiderio di realizzazione del movimento dei genitori e del bambino stesso e quello che in realtà può acquisire, tra ciò che il bambino sogna di essere e quello che realmente può divenire, tra l’essere e l’avere (Ferrari). Compito del terapista è in quello di farsi carico dell’angoscia dei genitori, cercando di non fare da specchio, ma di far emergere i punti di forza e lo sviluppo del bambino, nonostante la gravità della paralisi, sia motoria sia intenzionale sia cognitiva, e decidere quali strumenti consegnare al genitore per fornire continuità tra la terapia e l’ambiente familiare. Sarà necessario selezionare le conoscenze da trasmettere alla famiglia, in modo da orientare il loro intervento educativo in modo naturale e permettere così di stabilizzare ed eventualmente incrementare i risultati ottenuti in terapia. Gli oggetti a casa avranno però per il bambino significato diverso da quelli utilizzati nel setting terapeutico perché frutto di esperienze personali avvenute al di fuori della stanza di terapia. I ruoli di terapista e famiglia devono quindi rimanere distinti; compito dei genitori è quello di educare il proprio figlio senza sconfinare nella riabilitazione, compito svolto invece dal terapista, attraverso l’utilizzo del setting.
- 12 Broggi F. e Scollo O., Il setting riabilitativo e il corpo del terapista come strumento d’interazione con il bambino in Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva, Carocci editore, Roma, 2009
- 13 Ferrari A., Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, Edizioni del Cerro, Pisa, 1997
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INTRODUZIONE |
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA - ALLEGATI |
Tesi di Laurea di: Filippo CATTANEO |