Il caso clinico di G. - L'impatto dell'utenza straniera nei servizi di Neuropsichiatria Infantile
Presentazione del caso clinico
E' sembrato interessante fornire un esempio concreto in cui si entra direttamente in contatto con la realtà transculturale in ambito Neuropsicomotorio. Si intende riportare il caso clinico di G, una bambina nata in Italia da genitori provenienti dalla Cina, che è attualmente in carico presso la UONPIA dell'Ospedale Sacco con sede presso via Aldini n°72. Il soggetto in questione presenta una storia personale molto particolare, che ne ha influenzato in maniera marcata e indelebile lo sviluppo e che l'ha quindi portata a manifestare un quadro patologico molto complesso.
Storia personale di G.
G. nasce il 20 Settembre del 2005 a Milano da genitori migrati dalla Cina (zona rurale) nel 1998 che si sono conosciuti in Italia nel 2001, separati nel 2002 e riavvicinati nel 2003. E' terzogenita di 4 fratelli: G. (nata nel 2003), M. (nato nel 2004), S. (nata nel 2008). Un aspetto particolare è quello riguardante i nomi che i genitori hanno dato ai figli; mentre il fratello e le due sorelle hanno nomi italiani, G. è l'unica ad avere nome cinese (a detta della madre per ragioni di tipo economico). Dopo avere trascorso i primi 5 mesi della propria vita insieme ai genitori e ai propri fratelli, G. viene mandata insieme al fratello M. di 18 mesi, presso una sorella del padre in Cina, poiché la madre dei due piccoli aveva ripreso a lavorare. Questa separazione da parte dei figli dal nucleo familiare è una pratica molto diffusa nei soggetti immigrati di origine Asiatica (Cina e Giappone su tutti). Questi non ritengono infatti necessario che si instauri un rapporto intimo ed esclusivo tra i propri figli e le figure genitoriali; reputano invece che i bambini (indipendentemente dall'età), debbano essere allevati e in qualche modo accuditi da una persona adulta (la corrispondente figura del caregiver nella società Occidentale), che gli possa quindi insegnare le tradizioni e li renda autonomi ed autosufficienti il prima possibile. Questo ruolo, ricoperto nel primo periodo di vita del bambino dalla madre nel mondo Occidentale, viene delegato ad altri e non viene considerato come un passaggio fondamentale e indispensabile al fine della costruzione di un rapporto equilibrato con la madre. Ricollegandosi alla teoria dell'attaccamento di Bowlby, quando il rapporto tra madre e bambino viene meno, di conseguenza anche lo stile di separazione e l'attaccamento stesso che il piccolo andrà a sviluppare, risulterà in qualche modo deficitario o quantomeno anomalo. La madre di G. ha accompagnato la piccola ed il fratello M. in Cina, ma dopo 10 giorni è dovuta rientrare in Italia per motivi lavorativi. Mentre il bambino viene mandato in un collegio, G. è stata affidata alla zia paterna. Questa figura di accudimento, non è stata capace ad accudire e a prendersi cura della piccola G, la quale ha seguito un percorso evolutivo molto particolare che è sfociato poi in manifestazioni patologiche. I genitori riportano che la bambina ha avuto problemi nell'acquisizione del linguaggio; per questo motivo la madre, che chiamava G. quasi tutti i giorni, ha smesso di telefonarle poiché non riusciva ad intrattenere un dialogo con la bambina. E' stata segnalata incuria da parte della zia paterna in quanto è uscito in seguito ad un colloquio con i genitori, che G. doveva salire le scale da sola anche quando non era in grado di camminare; inoltre la bambina era nutrita solamente con latte e riso, manifestando quindi una malnutrizione e manifestando tale condizione attraverso stati febbrili, afte e vomito. Questo primo periodo della vita di G. è stato fortemente segnato da una quasi totale incuria igienica ed un totale disinteresse da parte della zia paterna, la quale è stata in seguito dichiarata come inabile all'accudimento. Nel 2009 la bambina a 3 anni e mezzo, torna in Italia con il fratello M. in condizioni critiche dal punto di vista alimentare. G. quando si ricongiunge con il nucleo familiare non ha ancora sviluppato un linguaggio (cinese) adeguato; per quanto riguarda l'italiano, le prime parole che la bambina produce sono rispettivamente "mamma" e "papà". Intorno ai 4 anni G. raggiunge il pieno controllo sfinterico. Nonostante la bambina si sia di fatto ricongiunta al padre e alla madre, viene mandata insieme a M. da una zia paterna anch'essa stabilitasi in Italia. Il nucleo familiare viene di nuovo sciolto e i due fratelli G. ed M. sono nuovamente allontanati dai genitori ed accuditi da una nuova figura di riferimento definita dalla madre come autoritaria. Nonostante questo nuovo allontanamento, i genitori si recano insieme a G. e S. a trovare i fratelli dalla zia nel week end. In questi brevi periodi di ricongiungimento familiare, la madre afferma di non riuscire ad abbracciare e a coccolare la propria figlia (G.), in quanto non ascolta assolutamente le sue parole e si comporta quasi come una piccola selvaggia. Viene quindi attribuito alla bambina l'appellativo di "cattivella" in quanto non ascolta i rimproveri dei genitori e non li considera come figure autoritarie. Talvolta in casi estremi, la bambina viene picchiata se non capisce o non ascolta le urla e le ammonizioni dei genitori. All'età di 4 anni G. viene inserita alla scuola dell'infanzia della propria zona.
Aspetti socio culturali salienti
Ripercorrendo la storia personale di G. risultano essenzialmente due le questioni fortemente legate all'aspetto socio culturale del Paese d'origine dei genitori della bambina. Innanzitutto bisogna specificare che nelle culture di origine Asiatica, i soggetti migranti sono soliti mandare i propri figli nel proprio Paese nativo presso i propri parenti. Nelle culture come quella Cinese o Giapponese è molto diffuso tra le famiglie immigrate, la questione legata all'accudimento dei figli da parte dei nonni o degli zii nel proprio Paese d'origine. Nel caso specifico di G. il fatto di essere stata allontanata dal nucleo familiare all'età di 5 mesi, si è andato a sommare all'incapacità da parte della zia paterna di prendersi cura di lei. In altre parole la bambina si è trovata in una realtà a lei sconosciuta e senza alcun tipo di aiuto o supporto (emotivo, igienico e fisico), in cui ha trascorso i suoi primi 3 anni e mezzo di vita in condizioni disagiate e degradanti. Un secondo aspetto rilevante in questo caso clinico legato alle dinamiche socio culturali riguardanti G. e la sua famiglia, è quello legato al ruolo che il bambino assume all'interno della famiglia Cinese immigrata. Mentre in Cina è ancora vigente la legge secondo cui è consentito il concepimento di un solo figlio (o in rari casi di due), per coppia, nel resto del mondo (e in questo caso in Italia), i soggetti immigrati tendono a creare famiglie molto numerose. La progenie di queste coppie, nella maggior parte dei casi viene mandata da alcuni parenti residenti nel Paese d'origine per qualche anno, in modo da potere concentrare la propria energia e tempo nel lavoro. Il bambino una volta cresciuto e tornato a far parte del nucleo familiare, è consdierato un individuo autonomo e in alcuni casi come un piccolo adulto che può provvedere ai propri bisogni senza l'aiuto dei genitori. La visione che i genitori Cinesi hanno dei propri figli è quella di piccoli adulti che non necessitano di cure aggiuntive oltre a quelle di base (mangiare, dormire e igiene personale). Questo risulta essere un discorso molto generale e non riguardante tutte le famiglie di origine Cinese presenti in Italia; detto ciò, risulta emblematico il caso di G. in cui la madre in qualche modo sembra "ripudiare" la propria figlia, in quanto non autosufficiente con specifiche necessità da soddisfare. Si è quindi venuto a creare un rapporto deleterio tra la madre e la piccola G. la quale è costantemente messa in difficoltà dal mondo esterno e non riceve le cure e le attenzioni necessarie per una bambina in difficoltà come lei.
La presa in carico
Dopo solo 1 anno in Italia , M. è mandato di nuovo in Cina con la sorella S. (2 anni). A 5 anni G. viene segnalata su invio della scuola per ritardo del linguaggio. Al momento della segnalazione M. e S. sono in Cina mentre G. e la sorella maggiore vivono in Italia coi genitori. Al primo colloquio nell'Aprile 2010 la madre riferisce di non amare nulla della figlia e di non riuscire a prenderla in braccio perchè troppo magra. Nel proseguo del colloquio è risultato che i genitori non giocano mai con le proprie figlie, le quali giocano tra di loro facendosi il solletico. In seguito al colloquio, la Neuropsichiatra decide di effettuare delle valutazioni di tipo neuropsicologico, al termine delle quali si consiglia una valutazione logopedica e psicomotoria.
Valutazione psicomotoria
La bambina è desiderosa e affamata di relazione con poche risorse a causa della scarsa possibilità di fare esperienze. Il gioco simbolico è quasi totalmente assente, il repertorio è povero e i tempi di attenzione limitati. Le capacità motorie risulta adeguate all'età della bambina. Si è osservato che nel gioco della pappa, G. tende a non tenere niente per sé, ma ingozza la bambola quasi allo sfinimento. La bambina possiede un repertorio lessicale poverissimo; questo è testimoniato dal fatto che non conosce e non nomina gli oggetti, ma si limita a ripetere brevi frasi. In una seduta di valutazione entra in stanza anche la madre; questa però non riesce a giocare con la figlia. Risulta infatti essere molto richiestiva durante il gioco della pappa; inoltre chiede continuamente alla bambina di nominare gli oggetti ed i colori.
Diagnosi e stesura del progetto riabilitativo
Grazie ai risultati forniti dai diversi test neuropsicologici ed alla valutazione psicomotoria (oltre che al contributo fornito dal colloquio con i genitori), si è giunti a formulare una diagnosi. La bambina risulta essere affetta da un disturbo reattivo dell'attaccamento dell'infanzia (osservabile sia da quanto riscontrato nel colloquio con i genitori, sia come diretta conseguenza della storia personale della bambina), legato ad un allontanamento da casa nel periodo infantile (periodo dai 5 mesi fino ai 3 anni e mezzo in cui la bambina è stata mandata in Cina ed ha vissuto in condizioni igienico ed educative pessime). Fortemente legato a questo aspetto del cattivo accudimento da parte della zia paterna, si è potuto diagnosticare in un secondo tempo, una privazione della possibilità di fare esperienze. Partendo da tale quadro diagnostico, si è ipotizzato di iniziare con G. un percorso riabilitativo psicomotorio bisettimanale, che coinvolgesse periodicamente anche la madre. Si sono andati poi a definire gli obiettivi prioritari, i quali partendo proprio dalla presenza in stanza della figura materna, mirano a promuovere uno scambio relazionale; in altre parole, partendo da una relazione ex novo creatasi con la terapista, si cerca di portare la bambina a manifestare determinati comportamenti e relativi scambi relazionali, anche con la figura materna. In secondo luogo si è pensato di consentire a G. di fare esperienza, promuovendo così il suo sviluppo psicomotorio. Si cercherà quindi di consentire alla bambina di sperimentare e successivamente interiorizzare tali esperienze, al fine di consentirle uno sviluppo psicomotorio quantomeno lineare e il meno patologico possibile.
Presa in carico e sviluppi terapeutici
In seguito alla stesura del progetto terapeutico e dei relativi obiettivi, si è iniziata una terapia bisettimanale che all'inizio non comprendeva la presenza della madre all'interno della stanza. Questo è risultato funzionale al fine di instaurare relazione tra la terapista e G, così da potere coinvolgerla in trame di gioco condivise. In questa prima fase del trattamento, si osserva che il gioco simbolico è l'attività privilegiata e preferita dalla bambina, nonostante siano presenti elementi ripetitivi. Con il passare del tempo, è stato possibile inserire delle modifiche all'interno dell'attività proposta dalla bambina, la quale riesce ad integrarle nel proprio gioco. All'inizio della terapia G. aveva una bassissima tolleranza alla frustrazione ed una totale repulsione per l'attività grafica. Sembra invece particolarmente interessata ad attività come il collage; in una fase successiva, proponendo alla bambina una foglio bianco, questa inizia a disegnare e a non manifestare più quell'avversione iniziale per l'attività grafica, manifestando anche soddisfazione nel disegnare. Una volta che la relazione tra bambina e terapista si era consolidata, si è proposto a G. di far entrare in stanza anche la mamma. La piccola manifesta esplicitamente di non volere la madre nell'ambiente psicomotorio, probabilmente perchè ha compreso che quello spazio e quel tempo della terapia, erano momenti esclusivamente dedicati a lei.
In una seconda fase della terapia si osserva un miglioramente ed un ampliamento del gioco simbolico e di imitazione (canali maggiromente investiti dalla bambina). Non è comunque possibile inserire la madre in una dinamica di gioco in quanto la bambina manifesta segni di oppositività palese alla presenza del genitore all'interno della stanza. Vengono fornite a G. tutte le possibili sperimentazioni possibili, talvolta accompagnate da piccoli concetti cognitivi (come ad esempio i colori o nomi di alcuni oggetti). I tempi di attenzione delle volte sono anche molto lunghi, mentre in altre occasioni risultano relativamente contenuti: se la bambina rifiuta di proseguire un'attività è molto difficile spronarla (in questi casi G. reagisce piangendo). Le proposte nuove sono ben accolte da G, che spesso manifesta la necessità di passare da un'attività all'altra come per "mettere dentro" tutto il possibile. Questo aspetto sembrerebbe palesare una carenza esperenziale che la bambina vorrebbe colmare conoscendo, guardando e introducendo più informazioni possibili. L'uso del materiale in maniera così frenetica produce un effetto contrario, in quanto tale comportamento non consente un reale investimento e apprendimento da parte della bambina.
Col passare del tempo la bambina accetta talvolta la presenza della madre nella stanza di psicomotricità. G. iniziava la terapia volgendo la propria attenzione verso la terapista, la quale assecondava le richieste della bambina, invitando la madre (in un secondo momento), ad inserirsi all'interno dell'attività della propria figlia. Nonostante all'inizio di queste sedute, il genitore mantenesse un atteggiamento distaccato e risultasse richiestiva, col passare del tempo e grazie alla mediazione e all'aiuto della terapista, è stato possibile sviluppare trame di gioco tra G. e la propria madre.
Una volta trascorsi circa 2 anni dalla presa in carico, la bambina manifesta dei profondi cambiamenti in diverse aree di sviluppo. Risulta così maggiormente interessata e meno "vorace" nel corso delle attività; è interessata al disegno e alla comunicazione con l'altro. Il vocabolario risulta essere in espansione e lo schema corporeo adeguato all'età. Sono ancora problematiche le questioni legate al gioco simbolico, il quale risulta essere talvolta ripetitivo; inoltre risulta abbastanza carente la tolleranza alla frustrazione. In questa fase della presa in carico, si notano sulla bambina alcuni lividi che la bambina giustifica talvolta dicendo di essere caduta, oppure riferendo di avere quei segni sulla pelle perchè è stata disubbidiente ("mamma io monella" riferisce la piccola).
Nonostante persistano alcune difficoltà in diverse aree dello sviluppo, si osserva un cambio dell'umore da parte della bambina a partire dal mese di Giugno 2012. G. manifesta un tono dell'umore deflesso, giustificandosi affermando di essere stanca, nonostante la madre riferisca che la notte la bambina dorma. Nel corso di questo periodo e nei mesi successivi G. manifesta una regressione in alcune aree dello sviluppo, in particolar modo in quella del gioco, il quale riacquisisce la voracità precedente; inoltre la bambina sembra regredire a livello del vocabolario e della formulazione della frase (già particolarmente deficitaria), perdendo allo stesso tempo il piacere di fare e di sperimentare all'interno dell'ambiente psicomotorio.
Dopo avere trascroso l'estate a Milano con tutta la famiglia, G. torna in terapia a Settembre 2012, manifestando un comportamento mai osservato prima. La bambina tende ad evitare lo sguardo ed il contatto; inoltre cerca di nascondersi sotto la scaletta per quasi l'intera seduta. Cammina piegata e vocalizza cantilene per la maggior parte del tempo. Presenta ancora il gioco simbolico in quanto prepara da mangiare e accetta che si condivida il pasto con lei: G. prepara molto ciboper gli altri, ma si rifiuta di mangiare (ritorna ancora una volta la questione dell'abbuffata). In altre occasioni, la bambina dapprima evita lo sguardo e riproduce le stesse cantilene, ma in seguito accetta di condividere il gioco proponendo spontaneamente l'uso del telefono come mezzo di comunicazione. In questo frangente si riesce a mantenere un'alternanza di momenti di gioco condiviso, alternati da altri in cui la bambina è completamente isolata. Durante il momento del disegno G. è più comunicativa, ma utilizza un tono di voce deflesso. La frase minima è del tutto scomparsa ed è sostituita dall'accostamento di due parole. La bambina manifesta una quadro clinico differente rispetto alla presa in carico, avvenuta nel corso del 2010, così si ipotizza una revisione del progetto terapeutico.
Modificazione della terapia e del progetto
Dopo avere osservato i cambiamenti e le nuove difficoltà manifestate dalla bambina nel corso di diverse sedute (accompagnate da nuovi lividi riscontrati sul corpo di G.), si è ipotizzato di cambiare e modificare il progetto riabilitativo e conseguentemente anche la terapia per potere fronteggiare i nuovi bisogni della bambina. In seguito alla partecipazione ad una supervisione da parte della terapista di G, in cui è stato presentato questo caso, si sono effettuate delle riflessioni su alcuni punti chiave relativi ai cambiamenti manifestati dalla bambina. Tali cambiamenti risultano essere interessanti, in quanto consentono di osservare come questo particolare caso, entrino in gioco diverse dinamiche legate all'appartenenza culturale della famiglia e del sistema educativo della cultura Orientale.
La questione del "segreto"
Nel corso di diversi colloqui effettuati tra la Nueropsichiatra Infantile, la Neuropsicomotricista e i genitori di G, è emerso in alcune occasioni una questione legata ad un "segreto" riguardante la bambina. Nonostante la presenza di una mediatrice culturale nel corso dei vari colloqui, non è mai stato possibile venire a conoscenza del segreto legato a G. Sono state fatte diverse ipotesi a tal proposito dall'équipe riabilitativa; si è pensato che la bambina, essendo l'unica a portare un nome cinese, potesse essere nata da una relazione extraconiugale che la madre ha intrattenuto con un altro uomo. Una seconda ipotesi, considerata la più accreditata sia dalla Neuropsichiatra Infantile che dalla terapista, è quella relativa ad un possibile maltrattamento testimoniato dalla presenza di lividi su alcune parti del corpo della bambina. In entrambi i casi, i genitori hanno affermato che la bambina è a conoscenza del "segreto" che la riguarda in maniera così diretta; nel corso di alcune sedute, la terapista ha notato dei lividi sulla bambina, la quale in alcune occasioni gisutifica dicendo "io monella". Riportando questa situazione nel corso di una supervisione, è stata posta l'attenzione su questo tema del segreto che i genitori e in qualche modo anche la bambina, non sono intenzionati a rivelare alle due figure cliniche che si occupano del caso. Indipendentemente da quale sia il contenuto di tale segreto, si è andati ad analizzare l'importanza che questo può assumere all'interno di una terapia e di come questa può andare a modificarsi, in modo da potere supportare e rispondere allo specifico bisogno della bambina. Si sono quindi formulate alcune ipotesi di lavoro specifiche per questo particolare caso, che potrebbero però risultare interessanti in diversi ambiti terapeutici. E' stato inoltre sottolineato come la questione del segreto di questa bambina sia inserito all'interno di una "storia" personale e familiare molto frammentata e fortemente influenzata dalle esperienze di vita e dal rapporto che si è andato a creare tra G. e la figura di riferimento materna.
L'importanza della "storia"
Come precedentemente accennato, la questione relativa al segreto che questa bambina e la propria famiglia cercano di velare, non può essere scorporata e considerata separatamente dalla storia personale di ognuno. Ripercorrendo brevemente le tappe salienti della vita di G, sono presenti alcuni elementi chiave che hanno portato la bambina a manifestare alcuni comportamenti ed atteggiamenti nel corso di alcune terapia. La prima questione che sorge da questa analisi, riguarda il soggiorno di G. in Cina, presso la zia paterna a partire da 5 mesi di vita fino al suo ritorno in Italia a 3 anni e mezzo. Il fatto che la bambina sia stata mandata presso un parente nel Paese nativo dei propri genitori è una questione abbastanza comune e diffusa nei soggetti migranti dai Paesi Asiatici (in particolar modo dalla Cina e dal Giappone). G. diversamente dal fratello M, il quale è stato mandato in un collegio all'età di un anno e mezzo, viene affidata alle cure di una zia paterna che è stata (in un secondo momento), definita come incapace di prendersi cura della bambina. Nell'arco dei 3 anni di permanenza di G. in Cina, in cui la bambina ha dovuto vivere in situazioni di degrado e senza alcun tipo di contatto con la famiglia in Italia, non le è stato possibile potersi affermare come soggetto ricevente (bambino che necessita cure da parte del care giver). La bambina non avendo avuto la possibilità di ricevere le cure e le attenzioni necessarie e dovute in questo primo periodo di vita, non è stata neanche riconosciuta come soggetto donante, ovvero come soggetto che è in grado di fornire una risposta in seguito al soddisfacimento di un proprio bisogno da parte del care giver. Un secondo elemento chiave al fine è quello relativo al fatto che la madre in qualche modo rifiuta la propria figlia e la veda come un soggetto che non è in grado di rispondere correttamente alle richieste del mondo esterno. A testimonianza di ciò, si è potuto notare come la madre di G. verbalizzi esplicitamente di non avere l'istinto di abbracciare e coccolare la figlia, percependola come un soggetto che non funziona per il mondo in cui è inserita. Questi due elementi risultano palesi anche in alcune fasi della terapia, in particolar modo nel momento del gioco simbolico. La bambina non è in grado di sviluppare delle trame, o per meglio dire delle "storie" di gioco, in quanto non ha il desiderio di svilupparne. Il fatto che G. non sia stata riconosciuta né come soggetto donante in un primo tempo e che venga tutt'ora percepita come un soggetto in qualche modo inadatto al mondo esterno da parte della madre, ha portato la bambina a sviluppare un incapacità nella costruzione di storie di gioco. Il fatto che la madre non riconsoca ancora G. come soggetto donante, negandone in qualche modo la capacità di donare poiché incapace di rispondere (a detta sua), alle sollecitazioni fornite, porta la bambina a non investire e a non interessarsi alla costruzione di storie di gioco. Una volta riconsociuta tale questione, risulta prioritario riconsocere G. come soggetto donante; la terapista in qualche modo deve mostragli di avere un desiderio di ricevere da lei, in modo da recuperarlo in un secondo momento per poi andare ad organizzarlo. Si è quindi ipotizzato di svolgere un lavoro incentrato maggiromente sul riconsocimento ed il piacere da parte della bambina di riconsocersi come soggetto donante, in modo da andare in un secondo momento a lavorare sul rapporto che si viene a creare tra la storia e le emozioni che questa provoca nel bambino. Bisogna infatti tenere presente della storia affettiva di G, la quale è sempre stata percepita dalla madre come monella e disubbidiente. Il fatto che la bambina non abbia avuto di fatto, una storia affettiva positiva con la madre, non consente a G. di sviluppare i nessi di causa - effetto che portano alla nascita stessa della storia. Non avendo in mente i nessi strutturali che vanno a costituire le basi della storia, si avrà una difficoltà anche nell'elaborazione verbale, con una conseguenza relativa anche all'eloquio che sembrerà quindi confuso. Questo aspetto, legato anche alle difficoltà linguistiche dovute all'appartenenza Etnica della bambina, ha condotto ad una situazione in cui non solo la formulazione di storie è praticamente nulla, ma è fortemente compromessa anche la loro possibile elaborazione a livello verbale. Si è quindi ipotizzato, una volta svolto un intervento psicomotorio che mirasse al riconsocimento della bambina come soggetto donante, di iniziare un lavoro in cui fossero presenti sia la Neuropsicomotricista che la Logopedista, in modo da andare a lavorare su diversi parametri, utilizzando un espediente nuovo e innovativo.
Un innovativo esperimento terapeutico
Una volta eseguito la prima parte dell'intervento da parte della Neuropsicomotricista, si è aggiunta la figura della Logopedista (già nota alla bambina), in quanto si è sviluppata un ipotesi di lavoro nuova e multidisciplinare. In seguito alla supervisione, si è pensato di proporre alla bambina una terapia che prevedese l'utilizzo del computer, accompagnata dalla visione di un cartone animato con delle caratteristiche molto paticolari. La protagonista di questa "storia" è una signora con un segreto che all'inizio delle sue avventure nessuno conosce, tranne la piccola Liulai, una bambina che vive nel bosco. Il segreto della signora M. consiste nel diventare piccola nel momento in cui il campanello del cucchiaino che porta al collo suona, transofrmandola così in una piccola personcina. Col passare delle puntate anche il marito della signora M. viene a consocenza del suo segreto e cerca in tutti i modi di nasconderlo al resto del villaggio. Il cartone animato in questione è diviso in brevi puntate che seguono una trama (o meglio una "storia"), ben precisa: la signora M. all'inizio è a grandezza naturale e sta svolgendo una qualche attività; successivamente il campanello del cucchiaio suona, facendola rimpicciolire; la signora M. vive una breve ma intensa avventura e alla fine torna normale senza che nessuno la scopra. E' stato suggerito l'utilizzo di questo cartone per alcune ragioni spcifiche; innanzitutto per la schematicità e fissità della trama degli episodi. In altre parole si è cercato di fornire una sequenzialità fissa agli avvenimenti che accadono nel corso dei vari episodi, in modo che la bambina possa interiorizzare e in un secondo momento rielaborarli e utilizzarli per creare una storia di gioco propria. In un secondo momento si andrà poi a lavorare sulla verbalizzazione degli avvenimenti della storia in questione, lavorando però prima sul racconto relativo all'episodio del cartone (è essenziale per tale obiettivo la presenza della logopedista che aiuterà la bambina a formulare frasi semplici e ad utilizzare parole corrette ed adeguate). Un secondo elemento altrettanto importante è quello relativo al segreto della signora M. La bambina è a consocenza del proprio segreto, ma non è cosciente che anche altre persone possano averne alcuni e che possano essere condivisi con gli altri. Si è quindi cercato di lavorare sull'elaborazione del segreto e sul fatto che possano esistere anche dei segreti tra le persone adulte, senza però che questo precluda il relazionarsi agli altri o condividere, una volta ritenute affidabili e accoglienti, il proprio segreto con le persone a lei vicine.
Risultati, sviluppo e progressione della terapia
Dopo avere svolto un periodo di terapia psicomotoria centrata sul riconoscimento della bambina come soggetto donante e avere ottenuto un apertura emotiva e disponibilità da parte di G, si è iniziato il percorso riabilitativo ideato dalla Neuropsicomotricista e dalla Logopedista. La nuova figura terapeutica all'interno della stanza di psicomotricità non ha creato problemi a livello relazionale nella bambina in quanto aveva già avuto a che fare con la Logopedista nel corso di precedenti valutazioni. Dopo aver spiegato sommariamente a G. per quale motivo fosse presente anche un altra Dottoressa, si è passati alla proposta della "nuova" terapia. La bambina in quel periodo specifico presentava un tono dell'umore molto basso e aveva poca voglia di fare e di investire energie in terapia; una volta superato il primo periodo di svogliatezza e apparente disinteresse da parte di G, si è potuto osservare come la bambina abbia iniziato ad interessarsi alle vicende della signora M. e dei suoi amici. Al termine di ciascuna terapia sia la Logopedista (la cui attenzione era maggiormente concentrata sulla componente linguistica), che la Neuropsicomotricista, il cui interesse era rivolto al piacere della condivisione e all'interiorizzazione di un primitivo concetto di storia (inteso come susseguirsi di avvenimenti scaturiti da successioni di cause – effetto), cercavano di stimolare la bambina a raccontare gli elementi che maggiormente l'avevano colpita nell'episodio visto in seduta. Partendo da questi, le terapiste cercavano di proporle delle attività che in qualche modo si collegassero agli elementi che avevano maggiormente interessato la bambina. Le attività proposte erano molto differenti tra di loro; si poteva proporre un'attività grafica che riproducesse alcune scene del cartone e che la bambina andava a commentare con il supporto delle terapiste (nel tentativo di portare la bambina ad un piacere nel raccontare e nel condividere con gli altri). All'inizio della terapia il canale che maggiormente veniva sfruttato per far sì che la bambina potesse interiorizzare quei processi di causa – effetto che stanno alla base della costruzione di una storia, era il canale dell'imitazione. Partendo da un'attività osservata nell'episodio della signora M, la bambina veniva sollecitata a creare un gioco simile. L'espediente del cartone animato in un primo tempo sembrava interessare poco la bambina, la quale manteneva sempre un atteggiamento quasi passivo e disinteressato. Col passare del tempo però G. ha trovato molto interessante e divertente la visione delle puntate della signora M. e le attività successive alla visione degli episodi. Nel corso di alcune terapie la bambina ha manifestato la volontà di vedere il cartone animato e verso la fine della seduta ha ideato in maniera autonoma delle attività ispirate a quanto appena visto al computer. Nel corso di una delle sedute di Marzo, la terapia si è svolta solo con la Logopedista, poiché l'altra terapista era a casa per malattia. La seduta si è svolta come al solito con la visione del cartone animato; una volta finito l'episodio, la bambina ha ideato una caccia al tesoro (rifacendosi alla signora M.) per la Neuropsicomotricista assente, in modo da potere "raccontare" anche a lei quanto era accaduto nel corso dell'episodio visto in sua assenza. L'aspetto interessante di questo episodio risiede nel fatto che G. è riuscita ad interiorizzare in maniera autonoma una breve storia (quella relativa alla caccia al tesoro), andandola a riproporre al termine della seduta. La bambina non si è limitata semplicemente alla riproduzione del tema osservato, ma è stata in grado di riadattarlo in funzione dello spazio, del tempo e degli oggetti a sua disposizione. In altre parole si è passati da una pura e semplice imitazione differita (imitazione in cui non è presente fisicamente il modello), ad una reinterpretazione del modello interiorizzato della storia, ovvero la caccia al tesoro in un luogo (spazio), in un momento (tempo) e con materiali (oggetti) diversi da quelli utilizzati nel cartone animato. Un secondo passaggio interessante riguarda lo scopo che assume per la bambina l'attività della caccia al tesoro. G. infatti non prepara il gioco per sé, bensì per una persona non presente fisicamente in quel luogo e in quel momento, ma che ricopre un ruolo emotivamente rilevante nella sua vita e storia personale. Così facendo la bambina cerca di rendere partecipe una persona per lei significativa a livello emotivo – affettivo, andando così a raccontare una sorta di storia riproponendo però uno schema ormai interiorizzato (quello osservato nel cartone animato). In altre parole, la bambina ha manifestato autonomamente la volontà di condividere una storia che l'ha particolarmente interessata con una persona per lei significativa. In questo modo si può osservare come si sia passati da una mera imitazione di schema causa – effetto, ad una rielaborazione ed interiorizzazione di tale schema: G. ha condiviso per la prima volta una sorta di "storia" con un'altra persona che lei considera emotivamente significativa, ovvero la terapista.
CAPITOLO 1: Storia e basi teoriche della "Clinica Transculturale": Il fenomeno della globalizzazione culturale; Storia e principi della Psicomotricità - La pratica psicomotoria incontra la Psichiatria transculturale; George Devereux: principi e nascita della Psichiatria transculturale - Inconscio della personalità etnica & Inconscio idiosincratico - L'influenza dell'osservatore sull'oggetto osservato & il principio di complementarità - Il complementarismo; Tobie Nathan e l'Etnopsicoanalisi - La psicoanalisi e le teorie intermedie - I saperi tradizionali come scienze esatte - I meccanismi terapeutici; Marie Moro e il ritorno alla Psicanalisi Freudiana - Le ipotesi di fondo - I Principi della Clinica Transculturale - Il dispositivo di cura. CAPITOLO 2: Approcci terapeutici e sviluppo del bambino straniero: Verso un dispositivo di metissage e cosmopolita - Approccio Psicoanalitico di Acouturier e Lapierre - I contributi di Jerome Bruner e Howard Gardner; I genitori e il trauma migratorio - Figli di immigrati ed il meticciato - La costruzione di una propria identità in situazioni di metissage - Neonati e bambini di qui - Vulnerabilità nello sviluppo dell'infanzia, Presentare il mondo, Pensare il mondo; Il bambino esposto - Competenza, resilienza e creatività - La cultura dall'interno - L'essere, il senso, il fare. CAPITOLO 3: Il caso clinico di G.; Presentazione del caso clinico; Storia personale di G, Aspetti socio culturali salienti; La presa in carico - Valutazione psicomotoria - Diagnosi e stesura del progetto riabilitativo - Presa in carico e sviluppi terapeutici; Modificazione della terapia e del progetto - La questione del “segreto” - L'importanza della “storia” - Un innovativo esperimento terapeutico; Risultati, sviluppo e progressione della terapia. CAPITOLO 4: Contenuti della ricerca; CAPITOLO 5: Discussioni; Discussioni e riflessioni sui dati dei questionari Neuropsicomotori - Esperienza lavorativa & difficoltà terapeutiche con pazienti stranieri - Confronto tra flussi migratori ed accesso a servizi di NPI in Lombardia - I due quadri patologici a confronto - Parametri che influenzano la terapia; Discussione sulla casistica della UONPIA in via Aldini - Le due utenza a confronto - Confronto tra i due quadri patologici; Discussioni su Servizi di NPI partecipanti al “Progetto Migranti” - Servizi di Neuropsichiatria Infantile a confronto. CAPITOLO 6: CONCLUSIONI; Il “Progetto Migranti” come risposta ai bisogni della nuova utenza; “Progetto Migranti”: Migrazione e disagio psichico in età evolutiva - Perchè è nato il “Progetto Migranti” - Principali obiettivi del “Progetto Migranti” - Il lavoro di rete - Formazione degli operatori, Servizi inclusivi e di comunità, Wrap Around, La Clinica Transculturale - Il ruolo dell'Equipe multidisciplinare - Primi risultati relativi al “Progetto Migranti”; Alcuni spunti per possibili ricerche future; L'utenza straniera e le nuove prospettive in ambito Neuropsicomotorio
Indice
RIASSUNTO
PREMESSA
BIBLIOGRAFIA
Tesi di Laurea di: Livio Giuseppe CAIANIELLO