Descrizione dell’intervento - L’importanza del gioco nella relazione madre-bambino
Prima di presentare nel dettaglio il lavoro che ho svolto con N. e la madre, vorrei fare alcune premesse che costituiscono, in un certo senso, lo sfondo comune a tutte le sedute da me condotte e la base razionale del mio progetto d’intervento.
Il gioco, come ho già detto precedentemente, è stato l’ingrediente primario di ogni seduta, nonché lo strumento che ho deciso di utilizzare per portare avanti il mio piano riabilitativo e per provare a raggiungere gli obiettivi terapeutici che mi ero posta. L’assenza di gioco spontaneo fra N. e la madre e l’incapacità della signora di proporre e mantenere un contesto ludico da condividere piacevolmente con il figlio sono stati, secondo me, i punti più critici emersi dalle nostre osservazioni e gli aspetti forse più allarmanti per il processo di strutturazione della relazione affettiva fra il bambino e sua madre.
Il mio ruolo, all’interno della situazione di terapia, sarebbe stato quello di mediatore, di figura facilitante l’interazione e rinforzo attivo per la diade madre-bambino.
Il mio intervento sarebbe stato talvolta più direttivo, con lo scopo di dare alla madre di N., nei momenti di maggior necessità, un modello comportamentale e relazionale valido che lei potesse osservare ed imitare, integrandolo nei propri schemi ed interiorizzandolo secondo il suo modo di essere e di vivere la funzione genitoriale; talvolta, invece, la mia conduzione sarebbe stata prevalentemente indiretta, per dare la possibilità alla signora di mettersi alla prova, di sperimentare nuove strategie e di prendere dimestichezza con l’attività ludica, che, fino a quel momento, aveva sempre ricoperto un ruolo secondario nella relazione fra lei e il bambino. Un intervento meno “invasivo” da parte mia serviva, inoltre, anche a N. per aiutarlo a capire che il gioco non è solo e soltanto “gioco-con-la-terapista”, ma può (e deve) essere anche “gioco-con-la-mamma”.
Giocare con la mamma è senz’altro diverso che giocare con la terapista, perché diverso è l’approccio, diversa è la relazione, diverse sono le proposte e le richieste che vengono fatte; nel caso di N. ci siamo resi conto che nessuna delle due cose poteva prescindere dall’altra: per le problematiche valutate e descritte abbiamo capito che, senza un intervento terapeutico mirato, la relazione fra N. e la madre avrebbe sofferto della mancanza di una dimensione indispensabile allo sviluppo del bambino ma anche alla piena acquisizione, da parte della madre, di una sana ed integra identità genitoriale. Allo stesso tempo, qualsiasi intervento riabilitativo, anche se tecnicamente perfetto ed adeguatamente progettato sulle caratterstiche specifiche di N., sarebbe risultato del tutto fine a se stesso e qualsiasi apprendimento sarebbe rimasto confinato nello spazio della stanza di terapia se il bambino non avesse avuto la possibilità di esercitare tali apprendimenti e di esportare le competenze acquisite con la terapista nel suo contesto di vita quotidiano con le figure familiari di riferimento.
La partecipazione della mamma di N. alle sedute di terapia sarebbe servita anche ad altri scopi: trasmettere alla signora un messaggio di valorizzazione delle capacità del suo bambino ed aiutarla a prendere consapevolezza del suo effettivo livello di sviluppo in modo che lei possa, sulla base di quello, adeguare le sue richieste; inoltre, era importante anche far sperimentare alla madre la sua capacità genitoriale che, per quanto compromessa, era comunque presente.
Infatti, per quanto riguarda il primo aspetto, portare in terapia, e cioè in un contesto riabilitativo strutturatto da un professionista, un’attività che ogni bambino compie spontaneamente e con piacere per gran parte della sua giornata, è un modo per far comprendere al genitore l’effettiva importanza che tale attività ricopre nel percorso di sviluppo e di organizzazione delle funzioni neuropsicologiche del bambino. L’espressione ludica è la via attraverso la quale il bambino sperimenta i contatti interpersonali e sociali e soddisfa la sua curiosità esplorativa; la terapia neuropsicomotoria gli offre un contesto privilegiato, unico, nel quale non c’è più quello sguardo quotidiano talvolta banalizzante, del suo gioco, ma anzi, esso viene accolto e valorizzato, richiesto e proposto, enfatizzato ed apprezzato, dando il giusto riconoscimento alla serietà delle azioni ludiche compiute dal piccolo con sorprendente impegno e coinvolgimento.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, posso dire che in questo progetto d’intervento ho cercato di inserire delle attività che rispondessero ai seguenti criteri:
- grado di complessità sostenibile da N.;
- cornice di gioco riconoscibile dalla madre di N..
Quando parlo di grado di complessità, mi riferisco alla tipologia di proposta ludica che, secondo la mia ottica, avrebbe dovuto rispettare il livello di sviluppo di N., evitando piuttosto di fare richieste troppo elevate e pretenziose, forse più accettabili per la madre, ma sicuramente frustranti e poco funzionali per N. Come ben sappiamo, infatti, la modalità di gioco privilegiata da un bambino, è determinata solitamente, dall’ambito funzionale nel quale il bambino si sente maggiormente a suo agio e, nel caso di N., come è emerso dalle nostre osservazioni, tale ambito era quello corporeo e sensomotorio. Stabilito questo, il mio compito sarebbe stato quello di accompagnare la madre di N. nello sforzo di “ridimensionarsi” in relazione al bambino, imparando a stare con lui e a giocare con lui secondo il suo effettivo livello di sviluppo.
Allo stesso tempo, però, per evitare di appesantire troppo la madre dandole un carico emotivo per lei eccessivo, quale sarebbe stata la richiesta di abbassarsi ad un gioco con caratteristiche esclusivamente sensomotorie, ho ritenuto opportuno costruire attorno ad ogni attività una cornice simbolica che desse alla signora la possibilità di orientarsi e di avere dei punti di riferimento che la facessero sentire sicura.
Predisponendo accuratamente il setting, spiegandole anticipamente il gioco che avremmo fatto, illustrandole i ruoli ed i “confini” di esso, sarei riuscita a realizzare un contesto più “contenitivo” e più rassicurante, in cui la madre potesse sentirsi più sicura di sé e più disinvolta nel gioco con N.
Queste sono le riflessioni su cui ho basato il mio intervento con N. e la mamma e che, come spiegherò, ho dovuto via via rivedere, nel corso delle sedute, riconoscendone, talvolta, la parzialità ed i limiti nell’applicazione pratica.
Indice |
INTRODUZIONE |
Presentazione del Centro |
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CONCLUSIONI |
COMMENTO AL VIDEO |
BIBLIOGRAFIA |
Ringraziamenti |
Tesi di Laurea di: Rachele SFORZI |