Difficoltà e deficit visuo-spaziali

Difficoltà e deficit visuo-spaziali

I deficit visuo-spaziali possono essere definiti come disordini che determinano un'erronea stima degli aspetti spaziali fra diversi oggetti, che riguardano il rapporto tra la persona e l'oggetto, le relazioni stesse fra gli oggetti e l'orientamento degli stimoli, associata ad una corrispondente caduta nelle capacità di memoria e di pensiero spaziale (Benton, 1985).

Da tale definizione è abbastanza comprensibile come si tratti in realtà di un fenotipo comportamentale, riscontrabile in diversi disturbi di interesse del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE).

Le caratteristiche di questi disturbi sono state descritte e individuate per la prima volta nel 1968 da Myklebus (Wander, Selitto, 2009) e successivamente riprese e ampliate dal neuropsicologo canadese Byron Rourke (1995), che, cercando di individuare un disturbo di tipo specifico, propose una definizione di Sindrome non verbale, ipotizzando una disfunzione della sostanza bianca a livello dell’emisfero destro, che andava a giustificare le difficoltà cognitive e comportamentali osservate nei bambini affetti, le cui caratteristiche essenziali, descritte dallo stesso Rourke sono in particolare:

  • Deficit di percezione visiva e tattile
  • Incoordinazione motoria
  • Difficoltà di organizzazione visuo-spaziale
  • Difficoltà nelle competenze linguistiche caratterizzate da disprassia motoria orale, deficit prosodici, fonologici e pragmatici, difficoltà di memoria semantica e difficoltà di comprensione verbale
  • Deficit di problem solving e di competenze analitico-concettuali
  • Difficoltà a livello sociale e delle condotte adattive
  • Tendenza all’iperattività

In particolare Rourke ha ipotizzato che tale sindrome sarebbe il fenotipo di una serie di disfunzioni, collegate alla perturbazione delle fibre mieliniche della sostanza bianca, pertanto riscontrabili in varie condizioni patologiche di differente natura (genetica, neurologica, di sviluppo) (Wander, Selitto, 2009).

Il Disturbo dell’apprendimento non verbale

Il neuropsicologo Byron Rourke si interessò fin dall’inizio della sua carriera allo studio del Disturbo specifico dell’apprendimento (DSA), un disturbo che attualmente riguarda circa il 2-10% dei bambini in età scolare, che non presentano altre condizioni cliniche. Si tratta di un disturbo complesso che interessa diversi settori dell’apprendimento: lettura, scrittura, calcolo, ragionamento logico, attenzione e memoria.

Rourke (1989), osservando bambini con tale disturbo si è interessato fin da subito ad “una tipologia di disordini caratterizzata da un forte divario, presente nel punteggio ai test intellettivi, tra le componenti verbali e quelle non verbali” (Cornoldi, 1997), arrivando a delineare due sottogruppi di disturbo: quello di apprendimento verbale (DAV) e quello di apprendimento non verbale (DANV). Si tratta però di un disordine scarsamente trattato dalla letteratura, non classificato nei principali manuali diagnostici, che si configura piuttosto come una manifestazione comportamentale evidente in diversi disturbi dell’età evolutiva che manifestano, in forma associata, alterazioni dello schema corporeo, difficoltà di apprendimento degli schemi motori, scarso orientamento spazio-temporale, scarsa percezione sociale, distraibilità e disturbo del calcolo (Levi, 2012). Tali difficoltà riguardano soprattutto l'analisi e la codifica dello spazio e delle relazioni spaziali, che si manifestano ogniqualvolta è necessario integrare nell’azione, molteplici dimensioni percettive, comprese quelle legate alla dinamica del movimento (propriocettive e cinestesiche) e quelle rappresentative dello spazio.

In una recente revisione della letteratura Mammarella e Cornoldi (2014) hanno provato a descrivere il funzionamento di bambini definiti come Disturbi dell’apprendimento non verbale (NLD – Non verbal Learning Disorder), evidenziando i criteri diagnostici maggiormente utilizzati per identificare i bambini con tali difficoltà, che ben delineano anche il quadro di funzionamento tipico:

  • Basso profilo di intelligenza visuo-spaziale, con un livello relativamente buono del Quoziente di Intelligenza verbale;
  • Difficoltà visivo-costruttive e della motricità fine;
  • Scarsi risultati scolastici in matematica, rispetto ad una buona abilità nella lettura;
  • Deficit nella memoria di lavoro spaziale;
  • Difficoltà emotive e di funzionamento sociale (comprensione emozioni, percezione sociale, abilità relazionali).

Difficoltà visuo-spaziali e Disturbi del Neurosviluppo

Alcuni autori (Jing Jin et al., 2004), studiando disfunzioni specifiche connesse alla Sindrome Non Verbale (Rourke, 1995), suggeriscono il coinvolgimento dei lobi frontali dell’emisfero destro, come causa per lo sviluppo di disturbi visuo-spaziali tipici, ipotizzando possibili connessioni con il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD).

Si tratta di un disturbo caratterizzato da un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività, che interferisce con il normale funzionamento e lo sviluppo del bambino (Biondi, 2014). I bambini che soffrono di questo disturbo presentano spesso difficoltà nell’utilizzo di alcune abilità, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo della memoria di lavoro, ovvero la capacità di mantenere, controllare e manipolare le informazioni rilevanti per lo svolgimento di un compito. Alcuni studi (Dovis, Van der Oord, Huizenga, 2015) mostrano che soprattutto la componente visuo-spaziale della memoria di lavoro risulta compromessa in bambini con ADHD.

Si tratta comunque di un disturbo che si manifesta in maniera eterogenea, non caratterizzato da una sola disfunzione (Holmes et al, 2010) (Lambek et al, 2011), con evidenti difficoltà anche nel funzionamento delle funzioni esecutive (analisi, pianificazione), che ledono la percezione spaziale, l’organizzazione spazio-temporale e lo sviluppo corretto di prassie visuo-motorie (Holmes, Gathercole, Place, Alloway, Elliott, Hilton, 2010).

Difficoltà visuo-spaziali sono anche associate al Disturbo di coordinazione motoria (Penge, 2012). Si tratta di un disturbo persistente che nel 6% dei casi permane anche nell’età adulta, come disturbo visuo-motorio e socio-emozionale. Viene definito come una difficoltà di movimento, in assenza di altre compromissioni neurologiche; si tratta di un disturbo variamente descritto e considerato fin dagli inizi del Novecento, quando venivano descritti bambini con deficit della coordinazione e goffaggine motoria, che poi nel corso degli anni ha subito una serie di modificazioni terminologiche, che hanno portato anche ad un cambiamento nella visione del disturbo, fino ad arrivare alla definizione diagnostica attuale del DSM-5 (Biondi, 2014), che inserisce il disturbo all’interno della categoria dei “Disturbi del movimento”. In particolare per quanto riguarda il fenotipo comportamentale del disordine spaziale risulta compromessa soprattutto la componente sensoriale visuo-percettiva e tali problematiche sono ritenute parzialmente responsabili delle stesse difficoltà motorie (Vicari e Caselli, 2011).

Difficoltà visuo-spaziali e altre patologie

Un esempio di patologia di origine neurologica che comporta difficoltà specifiche di organizzazione spaziale è la Paralisi Cerebrale Infantile (PCI).

La PCI è un disordine persistente, ma non modificabile, del movimento e della postura, dovuto ad una lesione non progressiva del cervello immaturo (Bax, 1964). In letteratura negli ultimi anni è di uso comune definirla come un “Umbrella Diagnosis” (Mutch, 1992), cioè come una serie di quadri clinici a varia eziologia e con diverse espressioni sintomatiche, che hanno in comune i disordini del movimento e la non progressività della lesione. I disordini del movimento possono essere l’unica manifestazione clinica, ad essi possono essere associati disordini delle altre funzioni cognitive, sensoriali e neuropsicologiche (Fedrizzi, 2009).

Tra i disordini neuropsicologici è facile e comune trovare difficoltà di organizzazione spaziale e deficit generali delle abilità visuo-spaziali; in particolare sono descritti in letteratura molti deficit della percezione visiva, visuo-motori e della percezione spaziale; il grado del deficit è spesso associato al danno, tipo e sede della lesione e all’età gestazionale. Il deficit di percezione visiva compromette a sua volta un ampio raggio di competenze neuropsicologiche e cognitive, che influenzano significativamente l’intero sviluppo neuro e psicomotorio del bambino (Ego, Lidzba, Brovedani, Belmonti, Gonzales-Monti, Boudya, Ritz, Cans, 2015).

Ad aggravare il disturbo, nel caso della PCI, ci sono poi i deficit motori tipici della patologia, che non permettono ai bambini affetti di svolgere esperienze significative complete, tipiche dell’età dello sviluppo e fondamentali per l’integrazione dei concetti spaziali che avviene a partire dalle esperienze realizzate con il corpo, che determinano un aggravamento delle abilità visuo-spaziali già compromesse (Belmonti, Cioni, Berthoz, 2016).

Le PCI hanno un sistema di classificazione complesso che si struttura sulla base della sede del danno. Un particolare tipo di Paralisi è l’emiplegia, che comporta una disabilità motoria monolaterale, una delle forme più comune di PCI nei bambini nati a termine e seconda solo alla diplegia nei bambini nati pretermine (Hagberg, 1996). L’emiplegia viene distinta a seconda della lateralizzazione della lesione: emiplegia destra, che colpisce il lato sinistro dell’encefalo, con un fenomeno in stroke pre-peri-post natale; oppure emiplegia sinistra, che colpisce il lato destro dell’encefalo. Le abilità visuo-spaziali nei bambini emiplegici appaiano sempre lievemente inferiori, indipendentemente dalla lateralizzazione della lesione e dalla presenza o meno di crisi epilettiche (Muter, 2000). Nonostante questo, esiste una particolare caratteristica che si ritrova nell’emiplegia sinistra: il neglect.

Il Neglect è noto anche come eminegligenza spaziale ed è definita come l’incapacità di esplorare, reagire, oppure orientarsi verso stimoli nello spazio controlesionale, in pazienti che hanno subito una lesione cerebrale all’emisfero cerebrale destro (Heilman et al., 1979). Non può essere considerata un deficit neuropsicologico unitario, ma una sindrome complessa che coinvolge differenti funzioni e diversi domini spaziali: personale, che è lo spazio del corpo; peripersonale, lo spazio all’interno del quale è possibile raggiungere e afferrare oggetti; extrapersonale, lo spazio che va oltre a quello peripersonale; rappresentazionale, lo spazio di immagini visivi come quella della stanza, di una mappa, ecc.

I pazienti affetti da questo disturbo mostrano, in generale, un comportamento spontaneo caratterizzato da quello che sembra essere una disattenzione grave al lato sinistro dello spazio (Halligan & Robertson, 1992), modificando sistematicamente la vita quotidiana e lo sviluppo armonico delle competenze. Questa forma di deficit spaziale, inoltre, crea nel paziente diverse difficoltà anche dal punto di vista dell’apprendimento e dello sviluppo della percezione visiva (Casco, 2010).

Un altro esempio di patologia tipica dell’età evolutiva nella quale vengono spesso riscontrate difficoltà visuo-spaziali è la Sindrome di Williams, una sindrome genetica dovuta alla delezione del braccio lungo del cromosoma 7, che coinvolge 1 su 10.000 bambini nati vivi. I bambini affetti da questa sindrome manifestano una facies tipica: restringimento bitemporale, sopracciglia rade, pienezza dei tessuti periorbitali, rime palpebrali corte, epicanto, iridi azzurre con caratteristica forma a stella, radice del naso infossata, narici anteverse, guance prominenti e cadenti, labbra grosse, macrostomia, atteggiamento caratteristico della bocca che viene mantenuta aperta, anomalie dentarie. La Sindrome di Williams è una patologia multisistemica, che colpisce quasi tutti gli organi dell’organismo con gravi conseguenze mediche.

Su questa sindrome sono stati condotti un gran numero di studi di carattere cognitivo, linguistico e neuropsicologico, evoluti da una primitiva generale osservazione basata sui test per la valutazione del QI, ad analisi dettagliate degli specifici profili cognitivi e linguistici. Nell’ambito di questi studi la sindrome di Williams è risultata di particolare interesse per il fatto che sembra mostrare, all’interno della categoria del ritardo mentale, un profilo neuropsicologico particolare e definito che si esprime con prestazioni verbali particolarmente brillanti, a fronte di scarse capacità di elaborazione in compiti visuo-spaziali.

I soggetti con sindrome di Williams manifestano difficoltà nell’analisi di informazioni di carattere visuo-percettivo, come dimostrano le prestazioni a numerose prove standardizzate di costruzione, puzzle e compiti di disegno, utilizzati solitamente per valutare le abilità visuo-spaziali. Molti individui disegnano in modo disorganizzato, non congiungono le raffigurazioni di oggetti, spesso i disegni sono irriconoscibili poiché, nonostante siano in grado di rappresentare i singoli dettagli, questi non sono integrati in un insieme coerente e globale. I problemi nel disegno sono inoltre attribuibili anche a particolari problemi nel controllo fine motorio e grosso motorio. Gli individui con sindrome di Williams inoltre manifestano importanti difficoltà nell’orientamento spaziale, spesso al punto che risulta per loro difficile anche effettuare da soli percorsi familiari come il tragitto casa-scuola. Infine mostrano problemi nella memoria visuo-spaziale, sia a breve che a lungo termine, con prestazioni inferiori anche rispetto all’età mentale (Bernardino, Mouga, Castelo-Branco, Asselen, 2013).

Difficoltà affini a quelle presentate nella sindrome di Williams si possono ritrovare anche nella Sindrome di Noonan, un’altra patologia genetica caratterizzata da un insieme di malformazioni congenite dell’individuo, causate da una malformazione del cromosoma 12. L'incidenza viene stimata intorno ad un caso su 1000-2500 nuovi nati e non fa distinzione di sesso.

La sindrome di Noonan è caratterizzata da un’ampia variabilità di espressione clinica, che colpisce diversi organi dell’organismo, in particolare il cuore, causando gravi malformazioni.
I segni fenotipici prevalenti sono: macrocefalia relativa o assoluta, ipertelorismo, epicanto, rime palpebrali orientate verso il basso, ptosi palpebrale, orecchie basso-impiantate e retro-ruotate, micrognatia, attaccatura posteriore bassa dei capelli, pterigio del collo o collo corto, petto carenato e/o escavato, aumento della distanza intermammillare, cubito valgo e criptorchidismo nei maschi.

Lo sviluppo intellettivo si dimostra generalmente normale o solo lievemente ritardato (Noonan, 1994; Allanson, 2007). Pochi studi hanno indagato le funzioni neuropsicologiche e lo sviluppo cognitivo nella sindrome (Verhoeven et al., 2008; Cesarini et al., 2009; Pierpont et al., 2009) riportando dati che hanno evidenziato difficoltà visuopercettive e di orientamento spaziale nei bambini che presentano questa sindrome (Alfieri et al., 2008), causando molte difficoltà nella gestione delle attività quotidiane (Alfieri, 2009).

Le difficolta visuo-spaziali nella vita del bambino

Le difficoltà visuo-spaziali sono difficoltà pervasive, che accompagnano il bambino fin dai primi anni di vita, anche se spesso vengono riconosciute solo nel momento in cui ha già iniziato la scuola, verso gli 8 anni o oltre, quando il bambino si misura con i primi apprendimenti.

Tuttavia vi sono alcuni segnali che potrebbero denotare precocemente la presenza di queste difficoltà. Fin dai primi mesi di vita il bambino con queste difficoltà si mostra passivo e poco presente nel gioco e nella relazione, tanto da generare talvolta un ritardo nello sviluppo del linguaggio; si notano dei tentativi di camminare traballanti che si prolungano molto rispetto allo sviluppo tipico; si evidenziano delle difficoltà sociali e di interazione.

Si tratta di caratteristiche evolutive che si acutizzano con l’aumentare dell’età, tanto che verso i 5 anni si possono evidenziare delle scarse abilità di autonomia, difficoltà fino-motorie, motricità globale goffa e instabile e scarse abilità sociali. Intorno a questa fascia d’età le competenze linguistiche risultano ben sviluppate, anche superiori allo sviluppo tipico atteso per l’età, come forma di compenso per le prime difficoltà visuo-spaziali e organizzative specifiche che si stanno palesando: il bambino si perde facilmente; ha difficoltà a comprendere concetti temporali; sono all’ordine del giorno disordine, dimenticanze e scarsità di attenzione (Tanguay, 2014).

Queste caratteristiche peggiorano con l’età, fino ad influenzare significativamente l’apprendimento scolastico, tanto che bambini con questi deficit mostrano difficoltà in molte richieste scolastiche: nell’allineare i numeri in colonna e nella lettura direzionale delle operazioni; nella lettura dei segni matematici; nella grafia e nella memoria, con forti implicazioni soprattutto nell’ambito matematico, dalla risoluzione di calcoli ai problemi matematici (Cornoldi et al., 1997). Gli ambiti maggiormente compromessi, oltre alla matematica, sono quelli che implicano abilità di tipo grafico: il disegno di un bambino con difficoltà visuo-spaziali appare povero, spesso con rapporti spaziali e proporzioni non corrette e, nel complesso, non adeguato all’età anagrafica; si evidenziano problematicità sia nella copia di figure che nella produzione spontanea. Tale difficoltà di organizzazione delle informazioni induce ad una scarsa capacità di pianificazione generale dello spazio del foglio, tanto nel disegnare, quanto nello scrivere.

In geometria si riscontra una rilevante difficoltà nel riconoscimento di forme e nella trasformazione delle figure, sia a livello di immagine mentale, che di realizzazione grafica. È problematico, inoltre l’apprendimento della geografia in quanto è richiesto l’utilizzo di mappe o la comprensione di simboli e rappresentazioni schematiche.

Infine i bambini mostrano difficoltà nell’organizzare il proprio lavoro scolastico, mediante l’uso degli strumenti appropriati, nel pianificare e monitorare il lavoro da fare e l’esecuzione progressiva dello stesso (Sini, Cavaglià, 2001).

Si tratta pertanto di un disordine evolutivo, che limita e ostacola l’apprendimento e le normali attività della vita quotidiana del bambino, inficiando lo sviluppo armonico e corretto delle diverse funzioni neuro e psicomotorie e più in generale la partecipazione. Sono pertanto un argomento di forte interesse e di studio della ricerca clinica in neuropsichiatria infantile, sia per la frequenza con la quale si manifestano in forma associata, sia, per quanto attiene alla pratica neuro e psicomotoria specifica, che risulta competenza core e ambito di intervento specifico del TNPEE, ma anche strumento e metodologia del suo intervento peculiare, che si avvale proprio di esperienze che già nella definizione del setting proprio, valorizzano la dimensione e l’integrazione spaziale, in tutte le dimensioni e ambiti della professione, a partire dallo spazio proprio della comunicazione e dell’incontro con l’altro.

Si configurano pertanto come ambito di ricerca privilegiato del TNPEE, sia a livello riabilitativo che preventivo e obiettivo specifico del terapista quello di pensare e sperimentare percorsi per lo sviluppo di fattori di protezione in tal senso; come oggetto specifico di questo lavoro di tesi saranno approfonditi nel capitolo successivo dedicato alla prevenzione per il TNPEE, all’interno della quale si inserisce anche il progetto sperimentale qui presentato: “Danzando lo spazio”.

 

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