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CONCLUSIONI - Strategie Visive e CAA in diversi casi clinici: Autismo e Disabilità Intellettiva

Come ho potuto spiegare nel mio elaborato il deficit di comunicazione e di intenzionalità comunicativa è fattore comune sia della Disabilità Intellettiva (DI) e sia dei Disturbi dello Spettro Autistico (DSA). Inoltre, come affermato nel secondo capitolo, la DI è spesso presente all'interno dei DSA, per cui a volte risulta difficile affrontare il problema non considerando l'eventuale deficit intellettivo. Per questo motivo l'uso della CAA e delle strategie visive viene applicato in entrambe le patologie, ovviamente tenendo conto del profilo di sviluppo e delle necessità individuali di ogni bambino.

Le caratteristiche principali e più importanti delle strategie visive e dei diversi dispositivi di CAA riguardano la loro flessibilità, duttilità ed evolutività in quanto sono in grado di modificarsi secondo le necessità dell'individuo e del contesto divenendo così capaci di seguire il percorso evolutivo della persona che ne fa uso. Queste caratteristiche permettono, ai molteplici strumenti, di essere utilizzati in base al livello di comprensione, di simbolizzazione e di astrazione del bambino, e di adattarsi ai diversi sistemi di comunicazione che siano essi di livello motorio (es. guida fisica), gestuale (es. utilizzo dell'indicazione), visivo (es. utilizzo di immagini), concreto (es. utilizzo di oggetti) o verbale (es. comunicatori Voca). In particolare la flessibilità e la duttilità di questi strumenti permettono di adattarli alle diverse situazioni e ai diversi contesti di vita. Tuttavia affinch´e il loro utilizzo si riveli efficace è opportuno che una volta identificato lo strumento e la modalità più idonea, questa venga rispettata in ogni situazione, da ogni persona che comunica col bambino (genitori, insegnanti, terapiste e pari) e in tutti i contesti di vita del soggetto (casa, scuola e terapia). Se il dispositivo non è impiegato adeguatamente, perde di efficacia creando ambiguità e disorientamento nel bambino e conseguente perdita di significato del messaggio comunicativo.

In particolare dal caso clinico A. si è potuto osservare come l'agenda visiva, organizzata in maniera diversa nel contesto scuola e terapia, abbia di fatto disorganizzato il comportamento del bambino. Mentre in terapia l'agenda viene utilizzata sistematicamente e si sviluppa in senso verticale, a scuola, nonostante le indicazioni della terapista ciò non avviene, poich´e non utilizzata in modo sistematico e costruita in senso orizzontale anzich´e verticale. A. all'interno dell'ambiente scuola ha difficoltà a reperire informazioni riguardo al cambiamento di situazioni e contesti, ciò si ripercuote sul comportamento messo in atto dal bambino poich´e non comprendendo la sequenzialità degli eventi aumenta l'agitazione motoria. Inoltre in terapia, a supporto nel canale comunicativo verbale, si utilizzano le strategie visive e il canale mimicogestuale che consentono ad A. di comprendere ciò che gli viene richiesto; a scuola invece l'utilizzo dei diversi canali comunicativi non è sempre integrato, e le insegnanti, utilizzando prevalentemente il canale verbale, mettono di fatto A. in difficoltà essendo per lui il canale comunicativo più deficitario. Inoltre A. a causa della disabilità intellettiva presenta un comportamento caratterizzato da rigidità mentale che incide sulla flessibilità nell'utilizzo dello strumento di CAA, rendendo per ciò opportuna una sistematizzazione condivisa delle modalità di interazione con il minore.

Con quanto detto è possibile fare un parallelismo con il caso di F. in cui lo strumento CAA, i PECS, sono stati impiegati in modo condiviso a casa, scuola e terapia. Questo ha permesso a F. di raggiungere un buon livello di comunicazione e di generalizzazione dell'utilizzo del sistema PECS, nonostante il grave ritardo mentale associato alla diagnosi di Autismo. è possibile, comunque, osservare che, finch´e i contesti sono conosciuti dal bambino, F. comunica con i PECS in modo spontaneo ed efficace, tuttavia in contesti nuovi o poco "istituzionalizzati" (come ad esempio la piscina), il minore mostra una maggiore difficoltà nell'utilizzare questo tipo di comunicazione. Pertanto si può dedurre che la generalizzazione sia avvenuta solo in contesti routinari e strutturati secondo le esigenze del minore e/o in presenza di persone che F. frequenta quotidianamente, tuttavia un altro tipo di riflessione da fare riguarda il tempo necessario affinch´e avvenga una completa generalizzazione: è possibile che con un tempo di esposizione pi`u lungo F. riesca a superare il "fattore novità" e applicare le strategie comunicative già possedute in un ambiente nuovo? Oppure è sempre necessario che i nuovi ambienti si strutturino secondo le necessità del soggetto perch´e esso possa far emergere le competenze possedute? Qualunque sia la risposta a queste domande ritengo che sia utile non dare mai per scontato l'utilizzo spontaneo e flessibile dello strumento comunicativo da parte del soggetto, in quanto trattandosi di patologie complesse è sempre necessario strutturate qualsiasi novità o cambiamento si ha in programma. In merito a tale aspetto, sempre sul caso F., mi è stato possibile osservare come la CAA sia tuttavia un approccio evolutivo, poich´e se si guarda il progetto riabilitativo di F. si nota come, iniziando con l'uso delle immagini e dell'agenda visiva come unico mezzo di strutturazione delle attività e strumento di comunicazione con il bambino, si è arrivati all'uso del sistema PECS ampliando di fatto la comprensione simbolica del soggetto (utilizzo di simboli PCS e non pi`u foto di oggetti), favorendo la costruzione di una frase minima (Soggetto, verbo, complemento oggetto) e fornendo di fatto autonomia comunicativa al minore.

Per quanto riguarda il caso di R., è stato possibile verificare come in un contesto strutturato la bambina riesca ad utilizzare il sistema PECS con diversi partner comunicativi scambiando efficacemente la striscia frase. Questo tipo di apprendimento però ha avuto poca possibilità di generalizzazione al di fuori della terapia, in quanto a scuola tale metodo veniva usato in maniera poco idonea e non comunicativa, non permettendo di fatto a R. di comprendere da subito il funzionamento della comunicazione, rallentandone il processo comunicativo e la generalizzazione.

Dall'esperienza avuta a stretto contatto con questi tre casi ho potuto apprendere quanto la CAA e le strategie visive siano importanti per avere una comunicazione e una interazione efficace con questi bambini, entrambi obiettivi principali per instaurare una presa in carico neuropsicomotoria efficace sulla quale impostare obiettivi riabilitativi pi`u complessi. Ho anche potuto costatare che l'utilizzo della CAA e delle strategie visive deve essere condiviso da tutta l'equipe che ha in carico il soggetto e applicato in un contesto di rete, affinch´e esso abbia una reale e significativa efficacia. Poich´e il rischio non è solo quello di non raggiungere gli obiettivi del trattamento, ma quello ancora maggiore di non fornire autonomia comunicativa al soggetto e quindi di aumentarne le difficoltà di interazione nei suoi contesti di vita.

 

Indice

INTRODUZIONE
 

La Comunicazione Aumentativa Alternativa e le Strategie Visive 

La Comunicazione Aumentativa Alternativa

  1. La Comunicazione
  2. La CAA
  3. La storia della CAA
  4. Strumenti di CAA
    1. Dispositivi di CAA
    2. PECS
  5. La valutazione della CAA
Strategie visive comportamenti problematici
  1. Strumenti visivi per la comunicazione
    1. Le schede o agende visive
    2. Le mini-schede
    3. I ponti visivi
  2. Tabelle comunicative tradizionali e strumenti visivi a confronto
  3. Gesti del linguaggio e del corpo 

Disabilità Intellettiva e Autismo a confronto

  1. Disabilità intellettiva o ritardo mentale
    1. Criteri diagnostici
    2. Prevalenza, Eziologia e Caratteristiche Principali
    3. Gradi di Ritardo Mentale
  2. Autismo
    1. Criteri Diagnostici e Diagnosi Differenziale
    2. Sintomi primari nell'Autismo
    3. DSM-IV vs DSM-V
    4. La Disabilità Intellettiva nei Disturbi dello Spettro Autistico

Casi clinici

  1. Caso clinico A
    1. Profilo funzionale e la presa in carico del minore
    2. Proposte ri-abilitative
    3. Obiettivi della presa in carico neuropsicomotoria e logopedica
    4. Osservazioni a scuola e in piscina
    5. A. oggi
  2. Caso clinico R
    1. Profilo funzionale
    2. Proposte ri-abilitative
    3. Obiettivi neuropsicomotori e logopedici
    4. Osservazioni a scuola e in piscina
    5. R. oggi
  3. Caso clinico F
    1. Profilo funzionale
    2. Proposte ri-abilitative
    3. F. oggi
 
CONCLUSIONI

Allegati

  1. Immagini CAA
  2. Riferimenti teorici Autismo
    1. Criteri Diagnostici dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo del DSM-IV
    2. La sindrome autistica di Kanner (1943)
    3. La triade (Wing e Gould, 1979)
  3. Strumenti testistici
    1. Le scale Griffiths (Griffiths R., 1954)
    2. Il Pep-3(Schopler E., Lansing M.D., Reichler R. J., Marcus L.M., 1979) .
BIBLIOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Francesca REBORA

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