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IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO: lo sviluppo, il trattamento, i benefici dello sport

CAPITOLO 1 - Il disturbo dello spettro autistico

CAPITOLO 2 - Lo sviluppo dell’autismo infantile

CAPITOLO 3 - Il trattamento nei disturbi dello spettro autistico

CAPITOLO 4 - I benefici dello sport nei disturbi dello spettro autistico

INDICE PRINCIPALE

INDICE

 

Il disturbo dello spettro autistico - Definizione clinica e criteri di classificazione

Il Disturbo dello Spettro Autistico viene attualmente considerato come un disordine neuropsichiatrico complesso ad esordio in età evolutiva, che presenta un’espressività clinica variabile tra soggetto e soggetto e, nello stesso soggetto, nel corso del tempo1. L’Autismo, pertanto, si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo.

Il Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder - ASD) è un disturbo del neurosviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita caratterizzato da una compromissione delle abilità di comunicazione e di interazione sociale e dalla presenza di comportamenti, attività e interessi ripetitivi e stereotipati (American Psychiatric Association, 2013).

I sintomi compaiono solitamente nel bambino piccolo (durante la cosiddetta young childhood) ma possono non essere evidenti fino a che le richieste sociali non aumentano ed eccedono le limitate capacità socio-comunicative del soggetto con ASD. Il DSM-IV-TR inserisce fra i criteri diagnostici un esordio prima dei 3 anni di vita, che si esprime con ritardi o atipie nelle aree dell’interazione sociale e/o della comunicazione e/o del gioco simbolico (APA, 2002); tradizionalmente si distinguono due quadri di insorgenza dei sintomi nell’autismo:

  1. I sintomi iniziano a presentarsi nel primo anno di vita, deviando la traiettoria evolutiva del bambino fin dai primi stadi dello sviluppo.
  2. Il bambino sembra avere uno sviluppo normale fino ai 18-24 mesi, dopodiché presenta una regressione, con la perdita delle abilità comunicative e sociali acquisite2.

La dicitura di "disturbo dello spettro autistico", introdotta con il DSM-5, sottolinea l'eterogeneità e la continuità delle caratteristiche cliniche associate a questo disturbo. Agli estremi di questo "spettro" o "continuum" di gravità troviamo da un lato bambini in cui è assente qualsiasi forma di reciprocità sociale e di comunicazione verbale e non verbale il cui comportamento è caratterizzato da movimenti ripetitivi e stereotipati, e dall'altro bambini in cui i sintomi sono meno gravi, il linguaggio verbale è preservato e l'adattamento generale del bambino è meno compromesso. Una distinzione largamente utilizzata nella pratica clinica è quella tra soggetti "low functioning" e "high functioning", che si può tradurre in soggetti a "basso" e "alto funzionamento": la definizione fa riferimento alla gravità della sintomatologia e alle abilità di linguaggio presenti nel bambino. Generalmente, si definisce "a basso funzionamento" un soggetto con un ritardo da medio a severo e con scarsa o assente produzione verbale, "ad alto funzionamento" un soggetto con intelligenza nella norma o superiore alla norma e linguaggio fluente 3.

I sintomi non si manifestano quindi nello stesso modo e con la stessa gravità in tutti i bambin colpiti dalla sindrome; inoltre essi non compaiono tutti contemporaneamente 4.

Il disturbo dello spettro autistico viene definito facendo riferimento alla principale classificazione internazionale dei disturbi mentali: il DSM - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e nel DSM-V (American Psychiatric Association, 2013) l'ASD è inserito all’interno dei Disturbi del Neurosviluppo (Neurodevelopmental Disorders - ND): l'ASD è definito dalla presenza di “deficit dell’interazione e della comunicazione sociale” (criterio A), “modelli di comportamento, interessi e attività ristretti e ripetitivi” (criterio B) e da altri due criteri stringenti legati all’epoca di esordio del disturbo (criterio C) e al grado di interferenza delle manifestazioni sintomatologiche con il funzionamento quotidiano del soggetto (criterio D).

Devono essere soddisfatti i criteri A, B, C e D:

  1. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo, e manifestato da tutti e 3 i seguenti punti:
    1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva: approccio sociale anormale e fallimento nella normale conversazione e/o ridotto interesse nella condivisione degli interessi e/o mancanza di iniziativa nell’interazione sociale;
    2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale;
    3. Deficit nello sviluppo e mantenimento di relazioni, appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver).
  2. Comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive come manifestato da almeno 2 dei seguenti punti:
    1. Linguaggio e/o movimenti motori e/o uso di oggetti, stereotipato e/o ripetitivo;
    2. Eccessiva aderenza alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati e/o eccessiva resistenza ai cambiamenti;
    3. Fissazione in interessi altamente ristretti con intensità o attenzione anormale;
    4. Iper-reattività e/o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi inusuali rispetto a certi aspetti dell’ambiente.
  3. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché la domanda sociale non eccede il limite delle capacità).
  4. L’insieme dei sintomi deve compromettere il funzionamento quotidiano.

L'International Classification of Disease è una classificazione internazionale di tutte le malattie curata dall’O.M.S., che contiene una sezione, la quinta, dedicata ai disturbi psichiatrici.

Le psicosi infantili vengono classificate nella categoria delle Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico che comprende:

  • Autismo infantile
  • Autismo atipico
  • Sindrome di Rett
  • Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo
  • Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati
  • Sindrome di Asperger
  • Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico
  • Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico.

INDICE

Cenni storici

Inizialmente l’autismo era considerato di origine psicosociale, infatti Bleuler nel 1911 aveva usato per primo il termine autistico come riferimento a malati mentali contraddistinti da una mancanza di accostamento alla vita reale, caratterizzato da un restringimento delle relazioni, tenendo presente il concetto freudiano di autoerotismo, il quale sottolineava un comportamento caratterizzato da pulsione verso sé stessi e non verso gli altri. Il contributo importante di Bleuler fu quello di eliminare la connotazione sessuale dal termine e dargli un significato del tutto differente: infatti pose l’accento su un altro aspetto fondamentale ovvero la dissociazione, ovvero quel meccanismo di difesa che porta alcuni processi psichici a restare "disconnessi" o separati dal restante sistema psicologico dell'individuo; tale condizione si può ritrovare in molte reazioni psicologiche 5.

L’altra osservazione importante di Bleuler fu che i bambini con autismo non avevano alcun contatto col mondo esterno e che vivevano al di fuori della realtà, mascherati completamente dalla loro vita interiore.

Successivamente vi furono due autori, Hans Asperger e Leo Kanner, che in maniera autonoma pubblicarono i primi studi sull’autismo, rendendosi conto che fin dalla nascita, esistesse una problematica che dava origine a particolari problemi.

Nel 1943 Kanner riprese la definizione di Bleuler sostenendo che si trattava di una sindrome, o meglio di un insieme di sintomi che egli definiva autismo infantile precoce. Kanner aveva descritto la sindrome autistica come una patologia neurologica specificando ulteriormente la descrizione delle sue caratteristiche, arrivando a parlare di distacco da ogni rapporto con le persone e di un’idea fissa a mantenere costante l’ambiente di vita. Kanner propone che nei bambini colpiti da autismo vi sia la presenza non casuale di nove caratteristiche o sintomi: l’incapacità di relazione sociale, un’abilità linguistica sviluppata in ritardo e senza le capacità comunicative, le buone relazioni con gli oggetti inanimati, l’appartenenza a famiglie intelligenti, il repertorio di interessi ristretto e stereotipato, le buone potenzialità cognitive e di memoria, il panico per alcuni rumori, i disturbi dell’alimentazione e i disturbi della coordinazione motoria con un fisico normale. Asperger nel 1944 individuò una varianza di situazioni nei bambini autistici che oscillava tra la quasi normalità sino ai casi gravi nei quali erano riscontrabili gravi danni biologici; oggi con la sindrome di Asperger ci si riferisce a quei pochi casi di bambini autistici con capacità intellettive praticamente nella norma (spesso anche superiori), con linguaggio evoluto ma con importanti problemi nell’area relazionale 6.

La descrizione di Kanner, qualche anno dopo, fu associata alla definizione del “classico” bambino autistico a più basso funzionamento, mentre quella di Asperger è stata legata alla definizione del bambino con autismo senza ritardo e con maggiore capacità verbale 7.

A partire dal 1956 si svilupparono inoltre le prime ipotesi neurobiologiche con Goldstein, psicologo americano che affermò che l’autismo era basato sulla presenza di un deficit organico, pensiero confermato dal fatto che il bambino risulta incapace di sviluppare in autonomia un pensiero astratto.

Successivamente vi furono anche altri studiosi che esposero le loro teorie sull’autismo, uni di questi fu Michael Rutter che nel suo articolo all’interno del “The Journal of Autism and Childhood Schizofrenia” sottolineò la definitiva distinzione tra autismo e schizofrenia infantile e nel 1978 propose un elenco di quelli che per lui erano i sintomi dell’autismo:

  • Inizio precoce, prima del trentesimo mese di vita;
  • Profondo e generalizzato fallimento nello sviluppare le relazioni sociali;
  • Deficit nelle capacità prelinguistiche e ritardo nell’acquisizione del linguaggio, accompagnato da inadeguata comprensione, ecolalia e inversione di pronomi;
  • Condotte compulsive ritualistiche 8.

Nel 1976 lo psicologo Bettelheim pubblicò un libro dal titolo “La Fortezza Vuota” nel quale prendeva in esame un altro aspetto, ovvero che l’autismo non avesse origini organiche bensì fosse originato dalla presenza di una madre distaccata dal figlio e con il quale aveva un rapporto privo di contatto fisico e di affetto. Con lui si venne a sviluppare l’idea che i genitori fossero i principali responsabili del disturbo del bambino 9.

Sul finire degli anni ’80 ci fu un’altra psicologa, Uta Frith, che si soffermò sullo studio dell’autismo trovandone la causa nell’assenza di un corretto sviluppo della teoria della mente, la psicologa sosteneva che gli individui che sono affetti da questa sindrome, non sono in grado di comprendere cosa significa focalizzare l’attenzione sulle persone e pensare con la loro mente.

Col tempo il concetto di autismo si è andato evolvendo e specificando dalle iniziali descrizioni di Kanner (1943) e Asperger (1944), passando da un’unica sindrome che poteva variare, ad uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diversi. Oggi l’autismo è considerato una sindrome di estensione globale sulla persona e con implicazioni durature, che coinvolge l’intera personalità: pertanto è assunto come Disturbo Generalizzato e Pervasivo dello Sviluppo.

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La diagnosi

La diagnosi di autismo deve essere formulata da un clinico esperto (uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra infantile). In genere il clinico si basa sui criteri elencati nei sistemi di classificazione internazionale, ICD-10 e DSM-V, in modo tale da facilitare la comunicazione, anche se l’utilizzo di questi criteri è ancora molto sensibile all’esperienza e alla sensibilità del neuropsichiatra. La diagnosi di autismo si basa sulla descrizione e osservazione del comportamento dei minori; non sono stati ancora individuati indicatori o test biologici per confermare la presenza del disturbo, nonostante ci siano studi e ricerche approfondite che hanno come fulcro centrale questo problema 10.

Molti autori ritengono che l’autismo sia presente già dalla nascita, ma comunque non è possibile identificarlo nei primi giorni o nel primo anno di vita, infatti sono pochi i bambini ai quali viene diagnosticato l’autismo prima dei tre anni di età. Finora gli strumenti utili al clinico per ottenere una diagnosi di autismo sono stati la conoscenza dei criteri, l’esperienza con i bambini con sviluppo tipico e atipico, l’osservazione diretta del bambino e le informazioni ottenute dai genitori 11.

Nel formulare la diagnosi è importante tener conto di diversi problemi, quali le comorbidità dei disturbi, le doppie diagnosi, l’attendibilità delle valutazioni. È per comprendere al meglio questi elementi che è utile partire dalle informazioni contenute all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, meglio conosciuto come DSM redatto dall’American Psychiatric Association, nel quale vengono elencati i criteri a cui si deve far riferimento per formulare una diagnosi di autismo:

  1. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale, non spiegabile attraverso un altro disturbo e manifestato in ciascuno dei seguenti punti:
    1. Difficoltà nella reciprocità socio-emotiva e insuccesso nella normale conversazione, con poca condivisione di interessi ed emozioni; è possibile giungere anche alla totale mancanza di iniziativa nell’interazione sociale;
    2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale, o deficit nella comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità;
    3. Deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver).
  2. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, manifestato da almeno due dei seguenti punti:
    1. Linguaggio, movimenti o uso di oggetti stereotipati, ad esempio stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche.
    2. Tendenza eccessiva al mantenimento della routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati o eccessivo rifiuto dei cambiamenti;
    3. Interessi ristretti, anormali in intensità o argomenti: forte attaccamento ad oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti o circostanziati.
    4. Iper o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambient
  3. I sintomi devono manifestarsi nel periodo della prima infanzia;
  4. I sintomi causano compromissione del funzionamento in vari ambiti, come il sociale, il lavorativo e altre aree importanti;
  5. Queste alterazioni non trovano spiegazione migliore nella disabilità intellettiva o nel ritardo dello sviluppo.

Le caratteristiche sopra elencate sono evidenti nei primi anni di vita, ma possono spesso variare in base alla gravità della condizione autistica, al livello di sviluppo e all’età cronologica; da qui nasce il termine di “spettro” che racchiude in sé un insieme di sintomi e di disturbi che precedentemente erano suddivisi in autismo infantile precoce, autismo infantile, autismo di Kanner, autismo ad alto funzionamento, autismo atipico, disturbo pervasivo dello sviluppo senza specificazione, disturbo disintegrativo dell’infanzia e disturbo di Asperger. Il processo diagnostico risulta essere un processo di conoscenza, finalizzato a stabilire se i comportamenti del bambino possono sottolineare e confermare i criteri diagnostici definiti internazionalmente; la diagnosi richiede l’osservazione diretta, l’anamnesi e l’utilizzo di test standardizzati e di scale specifiche. Le fasi principali del processo diagnostico, si articolano in due punti fondamentali: gli incontri dedicati ai genitori, durante i quali si possono raccogliere i dati anamnestici, si definisce il quadro comportamentale del bambino e si definisce il funzionamento adattivo dello steso; gli incontri dedicati ai bambini, per l’esame obiettivo, l’esame neurologico, l’esame psichiatrico 12.

La parte di esame dedicata al genitore è importante per tener conto delle risorse perso nali, ovvero la capacità di fronteggiare al disagio del figlio, è importante vedere la qualità della relazione che si instaura tra genitore e figlio e quanto il genitore sa rispetto al figlio e al suo disturbo. Nell’anamnesi familiare bisogna andare a valutare la presenza in famiglia di altri casi ascrivibili a un Disturbo dello Spettro Autistico; la presenza di altri quadri neuropsichiatrici, anche diversi dall’autismo; la consanguineità dei genitori; la presenza dio noxae patogene operanti in fase pre-natale, peri-natale o post-natale; la presenza di regressione dello sviluppo 13.

Durante gli incontri dedicati al bambino si svolgono test ed esami che vanno ad indagare le caratteristiche attuali e di sviluppo del bambino, seguiti dalla valutazione dei comportamenti significativi, delle competenze cognitive e linguistiche, dello sviluppo emotivo e delle caratteristiche del profilo funzionale. Poiché la diagnosi di disturbo autistico è basata su parametri esclusivamente comportamentali risulta indispensabile, da un lato, riferirsi a situazioni di osservazione standardizzate e, dall’altro, adottare scale di valutazione opportunamente elaborate per il “comportamento” autistico14.

Di seguito riporterò i principali strumenti con significato diagnostico maggiormente utilizzati a livello internazionale:

  • Childhood Autism Rating Scale (CARS; Schopler, Reichler e Renner, 1988): è una scala di valutazione che permette di esplorare, raccogliendo informazioni in contesti vari e da fonti multiple, 15 aree: relazioni interpersonali, imitazione, affettività, utilizzo del corpo, gioco ed utilizzo degli oggetti, livello di adattamento, responsività agli stimoli visivi, responsività agli stimoli uditivi, modalità sensoriali, reazioni d’ansia, comunicazione verbale, comunicazione extra-verbale, livello di attività, funzionamento cognitivo, impressioni generali dell’esaminatore. Questa scala può essere somministrata a bambini che abbiano almeno 24 mesi, senza limiti di età superiore 15.
  • Autism Diagnostic Observation Scale (ADOS; Lord et al., 2000): questo strumento viene somministrato in maniera complementare ad un’intervista strutturata per i genitori, ovvero l’ADI-R. L’età di somministrazione va dai 2 anni (anche per bambini non verbali) fino all’età adulta. L’ADOS è basato sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino, ed è strutturato in moduli che analizzano ed osservano il comportamento sociale in contesti comunicativi naturali. I diversi moduli comprendono prove selezionate in base all’età e al livello linguistico 16.
  • Autism Diagnostic Interview – Revised (ADI-R; Lord Rutter e Le Couteur, 1994): si tratta di un’intervista, complementare all’ADOS, riservata ai genitori, basata su domande relative ai comportamenti appartenenti alla triade sintomatologica e al tipo di gioco. Fornisce un punteggio che permette la diagnosi entro lo spettro autistico secondo i criteri diagnostici DSM e ICD17.
  • Autism Behavior Checklist (ABC; Krug, Arick e Almond, 1979): è una scala di valutazione del comportamento che fa riferimento a 57 comportamenti problema, divisi in 5 categorie: linguaggio, socializzazione, uso dell’oggetto, sensorialità e autonomia. È utilizzata per bambini a partire dai 18 mesi e soprattutto viene somministrato per svolgere verifiche periodiche durante i trattamenti 18.
  • Gilliam Autism Rating Scale (GARS; Gilliam 2005): è una checklist per i genitori basata sui criteri diagnostici del DSM-IV e quindi gli item sono raggruppati in aree che valutano lo sviluppo sociale, la comunicazione e i comportamenti stereotipati. È un questionario compilato da un operatore che ha una buona conoscenza del bambino; esso si è dimostrato uno strumento utile per identificare il disturbo autistico, focalizzare gli obiettivi degli interventi abilitativi ed educativi e documentare i risultati degli interventi specifici attivati. Viene somministrata dai 3 ai 22 anni di età, cosa che ne aumenta la validità 19.
  • Checklist for Autism in Toolders (CHAT; Simon Baron Cohen, 1992): ha come obiettivo il comparare le risposte ad alcune domande che vengono poste sia ai genitori che agli specialisti, entrambi portati ad osservare il bambino. La motivazione per la quale vengono intervistati sia i genitori che gli specialisti consiste nel fatto che si vuole valutare il funzionamento del bambino attraverso risposte che provengono da due osservatori differenti 20.

In aggiunta agli strumenti citati, che hanno un significato diagnostico, vanno raccomandate altre due scale che si pongono come strumenti di valutazione:

  • Psycho-Educational Profile (PEP-R; Schopler, Reichler e Lansing, 1990): è una scala di valutazione che permette in particolare di pianificare un intervento dettagliato e mirato per i bambini; viene somministrato dall’età di 6 mesi fino ai sette anni. Le funzioni ed i comportamenti indagati sono: imitazione, percezione, motricità fine e grossolana, coordinazione oculo-manuale, livello cognitivo, relazione ed affetti, gioco ed interesse per il materiale, risposte sensoriali e linguaggio. I bambini vengono valutati secondo l’insuccesso, la riuscita e l’emergenza. I vantaggi legati a questo strumento sono spesso identificabili all’interno della scala stessa, in quanto è possibile osservare la presenza di materiale strutturato e attraente, l’assenza di tempi predefiniti, il fatto che non venga richiesta alcuna capacità verbale 21.
  • Vineland Adaptive Behavior Scales (VABS; Sparrow, Balla e Cicchetti, 1984): consiste in un’intervista semi strutturata che può essere somministrata dagli 0 ai 18 anni ed è svolta da un operatore formato nei confronti della persona che meglio conosce il soggetto. Si osservano i comportamenti adattivi riguardanti le attività che il paziente dovrebbe svolgere quotidianamente per poter raggiungere il giusto livello di autonomia; questa scala non misura le competenze ma le prestazioni. È organizzata in quattro punti: comunicazione, socializzazione, abilità di vita quotidiana e abilità motorie. È uno strumento utile anche per la programmazione di interventi funzionali al paziente, oltre che per la diagnosi stessa 22.

È importante dopo aver formulato la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico condividere con i genitori il risultato e lasciar loro spazio per porre delle domande ed esporre i loro dubbi in merito al disturbo del figlio e successivamente consigliarli per mettere in atto gli interventi riabilitativi.

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Comorbidità

L’eterogeneità del quadro clinico, oltre che alla diversa espressività dei sintomi caratterizzanti (deficit dell’interazione e della comunicazione sociale e repertorio degli interessi ristretti e stereotipati), è fortemente legata all’eventuale presenza di situazioni in comorbidità 23.

Tra le varie comorbidità troviamo: circa il 10% degli individui con ASD presenta alterazioni genetiche, in particolare Sindrome dell'X Fragile (Bailey et al., 1993) e sclerosi tuberosa (Gillberg & Coleman, 2000). L’epilessia è presente con frequenza maggiore nei bambini con ASD (8-30%), soprattutto nei soggetti con disabilità intellettiva e con sindromi genetiche (Canitano, 2007; Spence & Schneider, 2009; Volkmar & Nelson, 1990), in genere insorge nei primi anni di vita ed assume le caratteristiche delle crisi parziali complesse e tonico-cloniche generalizzate. Molto spesso l’ASD si trova in comorbidità con altri disturbi del neurosviluppo quali: disabilità intellettiva, disturbi motori, disturbi della comunicazione, disturbi dell’apprendimento e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (una diagnosi di ADHD si dovrebbe considerare quando le difficoltà attentive e l’iperattività sono eccessive rispetto ad altri individui di età mentale paragonabile).

Inoltre possono essere presenti disregolazioni del sistema immunitario, sintomi gastrointestinali, disturbi di alimentazione e del sonno.

Infine si possono l’ASD si può trovare in associazione con disturbi psichiatrici, quali: condotte dirompenti e oppositive, disturbi d’ansia e depressione.

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Epidemiologia

L’Autismo Infantile era considerato in passato abbastanza raro, infatti la stima dei casi era di 4-5 casi su 10000. In epoche più recenti con l’ICD 10 (1992) e il DSM-IV (1994), il ricorso a criteri diagnostici maggiormente definiti ha contribuito a modificare sensibilmente i dati di prevalenza24, infatti numerosi studi dimostrano che negli ultimi tre decenni vi sia un progressivo aumento della prevalenza dovuto ad una maggiore diffusione dei criteri diagnostici e delle procedure di diagnosi standardizzate, ad un maggiore sensibilizzazione degli operatori e un aumento dei Servizi. Sulla base dei dati disponibili attualmente una prevalenza di 10 casi su 10000 sembra la stima più attendibile, ciò ha portato a concludere che l’autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a trent’anni fa25.

Un altro dato importante è la prevalenza del disturbo nella popolazione maschile rispetto a quella femminile, infatti abbiamo una proporzione di 1:4. Nei pazienti senza ritardo mentale la proporzione maschi/femmine sale a 5:1. Non ci sono prove sufficienti per dimostrare il fatto che l’autismo sia legato al ceto sociale, alla stagione in cui avviene la nascita o al paese di origine, infatti le differenze di incidenza trovate nei diversi paesi sono da attribuire alle diverse pratiche e criteri utilizzati nel percorso diagnostico26, infatti è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale.

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Eziologia

“E’ ampiamente accettato che i disturbi dello spettro autistico sono il risultato di molteplici fattori, e che sarebbe estremamente raro trovare un soggetto la cui sindrome dipenda da un’unica causa” 27.

Le cause dell’autismo sono ancora oggi sconosciute, in quanto la natura del disturbo coinvolge complessi rapporti mente-cervello che non rendono possibile il riferimento al modello sequenziale eziopatogenetico comunemente adottato nelle discipline mediche: anatomia patologica à patogenesi à sintomatologia28. Bisogna inoltre tener conto del fatto che l’autismo è la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e con diversa eziologia (Baird, Cass e Slonims, 2003).

Il Disturbo dello Spettro Autistico non è una “malattia” nel senso classico del termine, ma è rappresentato da un insieme di comportamenti atipici che ripresentandosi in maniera ricorrente e con caratteristiche simili in un numero molto elevato di persone assume la dignità di una condizione patologica cono una sua autonomia nosografica29. Dal momento che ognuno di questi comportamenti è scatenato da qualcosa è difficile trovare una causa unica dell’autismo.

Per rendere più facilmente leggibile la letteratura dedicata alle cause dell’autismo è utile far riferimento a 3 aree di ricerca, all’interno delle quali inserire i vari studi:

  1. Le basi neurobiologiche, alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale;
  2. I fattori causali e genetici;
  3. I modelli interpretativi della clinica;

L’area delle basi neurobiologiche è volta a individuare eventuali strutture anatomiche e/o circuiti disfunzionali coinvolti nella genesi del quadro clinico-comportamentale. In molti studi sono state riscontrate anomalie a carico del sistema nervoso centrale in soggetti autistici.

Una prima domanda che ci possiamo porre è se il cervello delle persone autistiche sia diverso nella sua grandezza complessiva e nella grandezza, assoluta o relativa, delle sue singole componenti. Vi sono dati chiari che indicano un’associazione positiva fra autismo e dimensioni del cervello: le persone con autismo tendono cioè ad avere cervelli leggermente più grandi. La spiegazione non è ancora del tutto chiara ma deve far riferimenti ai processi di crescita, differenziazione morfologica e selezione dei neuroni, oppure delle altre cellule presenti nel cervello 30.

Gli studi morfologici del sistema nervoso centrale tramite tecniche di brain imaging non invasive, ottenute tramite TAC e RMN, hanno rilevano spesso anomalie in diverse strutture cerebrali, quali il cervelletto, i lobi frontali, i lobi temporali e il sistema limbico, con particolare riferimento all’amigdala e all’ippocampo31, inoltre sono emerse anomalie nel flusso sanguigno che irrora alcune aree corticali.

Per quanto riguarda i lobi frontali, questi le anomalie in questa parte di cervello danno luogo a deficit cognitivi che possono essere all’origine di molti sintomi autistici come la resistenza al cambiamento, la rigidità comportamentale e il ristretto repertorio di attività, di alcuni problemi nelle abilità sociali e della difficoltà di conversazione.

Nelle persone autistiche è stato inoltre riscontrato un flusso sanguigno ridotto nei lobi temporali. Questa riduzione è visibile anche in assenza di particolari abilità cognitive. Vi sono numerose ricerche su pazienti cerebrolesi che indicano un ruolo primario dei lobi temporali nell’elaborazione di informazioni che riguardano gli oggetti, le loro parti e la loro configurazione complessiva 32.

Bauman e Kemper nell’ipotesi di possibili implicazioni del sistema limbico nell’autismo, hanno rilevato, già negli anni ottanta, anomalie principalmente nell’ippocampo e nell’amigdala. I neuroni in queste zone avrebbero dimensioni inferiori al normale e la loro densità sarebbe eccessiva 33:

  • L’amigdala ha un ruolo di controllo dell’emotività e dell’aggressività. Similmente a dei pazienti affetti da autismo, che mostrano un’emotività “piatta” o comportamenti auto o etero aggressivi, è possibile riscontrare in alcuni animali con lesione o rimozione dell’amigdala attività compulsive, impedimento sociale, problemi nell’adattamento a situazioni nuove 34.
  • L’ippocampo, invece, è implicato nell’apprendimento e nella memoria. Le persone con autismo troverebbero delle difficoltà a collegare nuove informazioni con quelle già immagazzinate. Ciò sembra concordare con l’osservazione che da danni all’ippocampo derivi un’impossibilità di mantenere informazioni in memoria. Animali con lesione o rimozione di quest’area mostrano comportamenti stereotipati, autostimolatori e iperattività. 35

Un’altra struttura che presenta anomalie nelle persone con ASD è il cervelletto, che è una struttura che si trova sotto la corteccia cerebrale, nella base posteriore del cervello. Fino a 20 anni fa si credeva che le funzioni di questa struttura fossero sostanzialmente di tipo motorio. Ora sappiamo invece che il cervelletto svolge anche un ruolo importante in alcuni processi cognitivi, nella regolazione dell’attenzione e nella capacità di integrazione sensoriale36. Per questo si è ipotizzato un malfunzionamento di questa struttura, in quanto frequentemente nelle persone autistiche troviamo scarso coordinamento motorio e deambulazione goffa o bizzarra. Il cervelletto delle persone con ASD risulta di maggiori dimensioni, mentre invece alcune strutture specifiche che lo compongono, il VI e VII lobulo, presentano una crescita incompleta.

Nell’area delle basi neurobiologiche all’origine dell’autismo troviamo anche che anomalie quantitative o qualitative a livello recettoriale o neurotrasmettitori attivi nel sistema fronto-striatale, in particolare la serotonina, la dopamina, l’ossitocina e la vasopressina possano essere coinvolte nel determinismo del disturbo autistico 37.

L’area dei fattori causali o genetici è quell’area che tenta di individuare i possibili fattori in grado di avviare la sequenza eziopatogenetica da cui deriva l’autismo. Molte indagini familiari confermano un ruolo importante svolto dall’ereditarietà nel determinismo del disturbo autistico 38.

L’incidenza dell’autismo si riscontra con una frequenza dalle 50 alle 100 volte in più elevata in fratelli di bambini con autismo infantile, in confronto alla popolazione generale. Oltre ciò, i membri non affetti della famiglia tendono a condividere alterazioni cognitive e del linguaggio in forma attenuata39. Inoltre, i gemelli monozigoti hanno probabilità maggiori rispetto ai gemelli eterozigoti di essere entrambi autistici, questo deriva dal fatto che vi è la fecondazione di un unico ovulo e perciò i gemelli identici condividono tutto il patrimonio genetico, tuttavia la concordanza non è mai del 100% il che indica che i geni forniscono un’alta predisposizione a sviluppare il disturbo che viene poi influenzata da altri fattori ancora poco compresi. Nei fratelli non gemelli o nelle coppie di gemelli non identici la concordanza nella diagnosi di autismo è di 2-6%. Nella popolazione generale l’incidenza è invece di circa 0,1%40.

Sono stati effettuati anche diversi studi sui genitori ed è stato scoperto che alcune caratteriste psicologiche dell’autismo si trovano anche, in forma lieve, nel comportamento e nelle funzioni cognitive (propensione al ragionamento su problemi fisico-meccanici, elaborazione dei dettagli) dei padri dei bambini con autismo 41.

Vanno segnalati anche alcuni studi condotti sul cromosoma X, i quali farebbero supporre ad un’associazione tra fragilità dello stesso e autismo, infatti dal 3 al 25% delle persone con sindrome da X fragile presentano anche autismo.

Molti gruppi di ricerca sono stati spinti ad individuare quali fossero i geni coinvolti nel determinismo dell’autismo; l’evidenza più forte che è emersa da tali ricerche è che non esiste “il gene” dell’autismo, ma esiste piuttosto una serie di geni che contribuiscono a conferire una vulnerabilità verso la comparsa del disturbo 42.

Per quanto riguarda l’area dei modelli interpretativi della clinica è volta a definire le caratteristiche del funzionamento mentale di tipo autistico, da cui discendono i comportamenti che caratterizzano il quadro clinico. Nel corso di questi ultimi anni le ipotesi interpretative che sembrano riscuotere maggiori consensi, rientrano nei seguenti modelli:

  • Teoria socio-affettiva: parte dal presupposto che l’essere umano nasce con una predisposizione innata ad interagire con l’altro (Hobbson, 1993), secondo questa teoria quindi esisterebbe nell’autismo un’innata incapacità, biologicamente determinata, di interagire emozionalmente con un altro43.
  • Deficit della teoria della mente: il termine “teoria della mente” sta ad indicare la capacità di riflettere sulle emozioni, sui desideri, sulle credenze proprie e altri e di comprendere il comportamento degli altri in modo adeguato. Questo modulo referenziale matura nel bambino entro i 4 anni di età, tramite lo sguardo referenziale l’attenzione condivisa e il gioco di finzione. Nei bambini autistici vi sarebbe un’incapacità di accedere a una teoria della mente, rimanendo in una situazione di “cecità mentale”. Il bambino autistico sarebbe incapace di comprendere e riflettere sugli stati mentali propri e altrui e, conseguentemente, di comprendere e prevedere il comportamento degli altri 44.
  • Debolezza della coerenza centrale: il profilo cognitivo del bambino con autismo è rappresentato da una serie di elementi caratterizzanti che sono: incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso, elaborazione segmentata dell’esperienza, difficoltà di accedere dal particolare al generale, polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza. Questi elementi hanno condotto all’ipotesi di una debolezza della coerenza centrale 45.
  • Deficit delle funzioni esecutive: con il termine “funzioni esecutive” vengono indicate una serie di abilità che risultano determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei problemi. Tali capacità di attivare e mantenere attiva un’area di lavoro, la capacità di formulare mentalmente un piano di azione, la capacità di non rimanere rigidamente ancorati ai dati percettivi, la capacità di essere attenti alle informazioni di ritorno, la capacità di spostare in modo flessibile l’attenzione sui vari aspetti del contesto. Molti dei comportamenti autistici sembrerebbero l’espressione di un deficit di tali attività 46.

Gli studi analizzati fino a questo momento mettono in evidenza come l’autismo infantile non sia legato ad un’unica causa, ma abbia sicuramente un’eziologia multifattoriale. Uta Frith parla di una “catena causale” che presenta tre stadi: quello del rischio (che può essere determinato da fattori genetici, lesionali, biochimici ecc.), dell’attacco (ciascuna delle condizioni patologiche precedenti è in grado di sferrare un attacco alla maturazione del sistema nervoso centrale e di provocare danno) e del danno (che può essere di varia gravità, ma comporta sempre l’arresto di un sistema critico in un momento critico). Purtroppo ancora non si conosce la natura di questo sistema critico 47.

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Lo sviluppo dell’autismo infantile - Caratteristiche e sintomatologia

Le alterazioni cerebrali che caratterizzano un soggetto con ASD hanno conseguenze importanti sul piano dei suoi comportamenti, sia perché l’alterazione ha effetti diretti sul funzionamento di alcune aree cognitive e sulle capacità di apprendere e agire, sia perché alterando il modo di entrare in relazione con gli altri si compromette lo sviluppo comunicativo e sociale 48.

La natura di questo disturbo rende complessa la definizione precisa delle sue caratteristiche e dei suoi sintomi in quanto, esclusi alcuni elementi basilari che sono comuni generalmente a tutti i bambini, esistono peculiarità che ciascuno vive a modo suo e presenta in modalità e tempistiche differenti49. Il bambino con autismo avrà una vita totalmente diversa da quella di un bambino senza autismo, in molti studi si riscontra la presenza nei bambini con autismo di competenze sociali che non si sviluppano allo stesso ritmo degli altri. Inoltre si riscontrano livelli di attenzione più bassi rispetto alla norma e spesso limitati ad un’unica e sola attività che si ripete identica nel corso del tempo e che, al mondo esterno, può risultare non adatta. Infine sono bambini che hanno problemi di comunicazione, molto spesso manca loro il contatto di sguardo e non sono in grado di instaurare dei rapporti affettivi con le persone che li circondano. È proprio a causa di queste peculiarità che i bambini faticano a instaurare relazioni con gli altri, non si mostrano empatici, sembrano avere scarsa abilità nell’interpretare espressioni facciali o emozioni50. Lo sviluppo dei bambini con autismo non avviene in modo omogeneo: può capitare che vi siano bambini che acquisiscano velocemente le capacità linguistiche e più lentamente quelle motorie, oppure viceversa vi è il bambino che acquisisce con facilità le competenze motorie e trova più difficoltà ad esprimersi verbalmente; anche i tempi di apprendimento sono variabili a seconda della persona e dell’ambiente in cui essa vive.

Un disturbo generalizzato dello sviluppo come l’autismo non può essere compreso se ci si limita soltanto ad una semplice elencazione di sintomi. Va invece indagato cercando di andare al di sotto delle apparenze, per apprezzare l’originalità della persona, la quale si caratterizza principalmente per uno sviluppo fondato su modalità percettive, immaginative, mnestiche, ideative, socioaffettive qualitativamente diverse. Questo significa che non siamo di fronte a semplici carenze o ritardi nello sviluppo, ma a modalità diverse di interpretazione e di comprensione del mondo. Certamente la maggior parte delle persone autistiche ha anche forme più o meno gravi di ritardo mentale e altri deficit associati, i quali concorrono a complicare pesantemente le possibilità di adattamento51. Non si tratta di semplice ritardo nello sviluppo o di carenze esistenti, si parla di modalità diverse di comprensione e interpretazione del mondo 52.

Bisogna sempre ricordarsi che quando si parla di autismo non si tratta di un semplice ritardo nello sviluppo o di carenze esistenti, si parla di modalità diverse di comprensione e interpretazione del mondo 53.

Nonostante il disturbo dello spettro autistico abbia un quadro sintomatologico estremamente eterogeneo si possono evidenziare dei “campanelli di allarme” che fin dai primi mesi di vita del bambino possono aiutare i genitori a muoversi verso una diagnosi.

Nei bambini da 0 a 24 mesi, si possono osservare in particolare difficoltà nelle prime tappe dello sviluppo e presenza di comportamenti atipici. I sintomi sono diversi a seconda dell’età in cui osserviamo il bambino: dall’assenza di sorriso sociale e manifestazione di gioia intorno ai 6 mesi, all’assenza di frasi di 2 parole diverse da ecolalia, intorno ai 24 mesi. In particolare, a 6 mesi, i minori con autismo solitamente non rispondono al sorriso degli altri e non esternano manifestazioni di gioia; a 9 mesi non manifestano espressioni facciali, a 12 mesi non rispondono quando chiamati per nome ed è spesso assente la lallazione, inoltre, mancano gesti con valenza comunicativa, quali salutare, indicare e mostrare.

Intorno ai 16 mesi dunque, risulta opportuno osservare se il bambino pronuncia vocalmente singole parole, mentre a 24 mesi ci si concentra sulla pronuncia di frasi, sempre a due parole. Molto spesso, se presenti, queste ultime consistono in ripetizioni di frasi sentite alla televisione o pronunciate dagli adulti di riferimento54. Dai 24 mesi in poi invece troviamo sintomi per lo più nell’area delle abilità sociali, linguistiche e comunicative e la presenza di comportamenti ristretti e stereotipati.

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Linguaggio, comunicazione e interazione sociale

Molti genitori di bambini con autismo, al loro primo colloquio con lo specialista, riportano che il bambino “sembra sordo”. Non solo sembra non capire quello che gli viene detto, ma sembra non accorgersi che qualcuno gli stia parlando o lo stia chiamando. Le difficoltà nel linguaggio sono in genere la prima ragione di preoccupazione per i genitori dei bambini con autismo: il bambino non risponde quando viene chiamato per nome, il bambino non parla, e così via. L’autismo è per definizione associato a problemi nello sviluppo del linguaggio e della comunicazione, entrambi i problemi si esprimono in modo eterogeneo 55.

Ma cosa sappiamo effettivamente riguardo all’acquisizione del linguaggio nell’autismo? Helen Tager-Flusberg e la sua equipe alla Massachusetts University hanno condotto un raro studio longitudinale che ha messo a confronto bambini autistici, bambini con sindrome di down e bambini piccoli normali56. Tutti i bambini sono stati studiati nel momento in cui cominciavano a parlare, senza tener conto dell’età. In tutti i gruppi è stata osservata la stessa gamma di strutture sintattiche e di morfologia grammaticale, e che queste strutture siano emerse nella stessa successione. Da ciò si è capito che l’autismo non implica un deficit fondamentale negli aspetti formali dell’acquisizione del linguaggio, ma sono state evidenziate delle differenze marcate nel modo in cui esso veniva usato.

Il processo normale di acquisizione del linguaggio è indubbiamente favorito da un desiderio innato di comunicare. Tuttavia se questo desiderio è presente in misura ridotta, come nei bambini autistici, allora l’acquisizione del linguaggio è bloccata, proprio come accade, per esempio, nelle persone sorde 57.

Vi sono numerosi studi che evidenziano che alcune componenti del sistema linguistico nei bambini con autismo possono essere danneggiate gravemente, altre in maniera lieve e altre ancora possono invece essere nella norma. Ogni singolo bambino dunque, come per tutte le altre caratteristiche, ha le sue peculiarità anche nello sviluppo della comunicazione e del linguaggio 58.

Comunicare con un bambino con autismo può essere difficile, o impossibile, per motivi diversi e apparentemente opposti. Ai due estremi del continuum ci sono da un lato bambini che non hanno mai acquisito il linguaggio e non rispondono né danno inizio ad alcun tipo di scambio comunicativo, dall’altro bambini che avviano continuamente conversazioni utilizzando un vocabolario ricco e formalmente appropriato, ma che non sono in grado di adeguare in modo flessibile la comunicazione al contesto, di mantenere la reciprocità e l’alternanza dei turi nello scambio comunicativo e di interpretare correttamente tutti i segnali comunicativi espressi dall’interlocutore59. Il deficit comunicativo è molto invalidante sia per il bambino con autismo sia per la famiglia e le persone che ruotano intorno ad esso, inoltre, spesso è la causa alla base di problemi di comportamento e di episodi di auto- o etero- aggressività che vengono messe in atto dalle persone con autismo per comunicare qualcosa o per tirar fuori le loro frustrazioni; come Temple Grandin diceva “Urlare era la sola via che mi permetteva di comunicare!” 60.

Nella sua definizione generale, il processo comunicativo rappresenta un passaggio di informazione all’interno di un sistema sociale, indipendentemente dal mezzo che viene usato per comunicare e dall’intenzionalità degli agenti 61.

Il linguaggio si costruisce mediante l’integrazione di tre domini evolutivi: concettuale, linguistico e sociale; lo sviluppo del vocabolario oltre che su abilità specificamente linguistiche si fonda sullo sviluppo concettuale che emerge durante il primo anno di vita, mentre aspetti formali come la sintassi e la morfologia si basano su meccanismo specifici del dominio linguistico. Infine l’apprendimento della pragmatica, ovvero il modo in cui si usa il linguaggio, si basa in parte sullo sviluppo delle conoscenze nel dominio sociale 62.

Nello sviluppo del linguaggio troviamo differenti tappe evolutive, la prima di queste è la lallazione che avviene intorno ai 6-8 mesi, dove il bambino si esercita nella produzione di suoni linguistici attraverso la produzione di sequenze di sillabe. Successivamente intorno ai 12 mesi i bambini iniziano a comprendere il significato delle parole (una delle prime parole che comprendono è il proprio nome) ed iniziano ad utilizzare il vocabolario in maniera più convenzionale producendo le prime paroline. Dai 18 mesi in poi il vocabolario del bambino si espande notevolmente, infatti tende ad imparare 1.6 parole nuove ogni giorno fino ai 30 mesi e ne comprende anche di più. Entro i 5-6 anni il bambino conosce e padroneggia le principali caratteristiche strutturali della sua lingua. Il periodo durante il quale si ha l’acquisizione del linguaggio si chiama “periodo critico” e termina con l’inizio della pubertà ed è biologicamente determinato dal livello di plasticità neuronale.

In assenza di deficit del linguaggio e/o cognitivi tutti i bambini si sviluppano in modo più o meno omogeneo; è riportato in molti studi che una grande percentuale di bambini con autismo (tra il 20% e il 50%) non acquisisce alcun tipo di linguaggio verbale. Alcuni bambini acquisiscono alcune parole tra i 12 e i 18 mesi e poi vanno incontro ad una regressione associata alla perdita del linguaggio verbale e delle abilità sociali. La perdita del linguaggio verbale già acquisito associata ad una regressione delle abilità sociali è un fenomeno che si osserva unicamente nell’autismo: questo dato suggerisce la presenza di uno stretto legame tra deficit linguistico e deficit sociale in questa popolazione63. Nei bambini autistici è compromessa anche la comunicazione non-verbale in quanto sono bambini che non cercano di compensare l’assenza del linguaggio con altre forme di comunicazione.

Nei bambini autistici che sviluppano il linguaggio verbale, il profilo linguistico comunicativo si evidenzia come un insieme di funzioni compromesse e funzioni intatte, con uno spettro di gravità molto ampio e sono accomunati dalle seguenti caratteristiche:

  • L’acquisizione del linguaggio è spesso, ma non necessariamente tardiva.
  • Gli aspetti pragmatici del linguaggio, ovvero le competenze necessarie ad utilizzare e interpretare appropriatamente il linguaggio in base al contesto, sono largamente, ma non universalmente, compromessi.
  • Gli aspetti formali del linguaggio, come la sintassi e la morfologia appaiono preservati in un certo numero di persone con autismo.
  • Presenza di deficit a livello fonologico.
  • Le persone con autismo ad alto funzionamento possono avere abilità nella norma o anche superiori alla norma in test standardizzati di conoscenza lessicale 64.
  • È compromessa inoltre la comprensione, mentre la struttura sintattica è abbastanza ben sviluppata.
  • Spesso sono assenti i termini che riguardano gli stati mentali propri o altrui.

Per cercare di analizzare in maniera più approfondita il linguaggio del bambino con autismo vi sono altre caratteristiche che permettono di penetrare ulteriormente in questa sindrome apparentemente indecifrabile:

  • L’ecolalia: che può essere immediata (quando l’individuo tende a ripetere ciò che ha appena sentito) o differita (quando la ripetizione di ciò che il bambino ha udito avviene successivamente). Si calcola che oltre il 75% dei soggetti autistici che utilizzano il linguaggio verbale sia interessato da processi di ecolalia immediata o differita 65.
  • L’inversione pronominale: tendenza del bambino autistico ad utilizzare in maniera scorretta o a non utilizzare il pronome “io” che viene sostituito da “tu/noi” e a servizi in maniera ridotta degli altri pronomi fino ad età avanzata.
  • La comprensione letterale: le persone con autismo tendono a dare un’interpretazione letterale dei messaggi, la quale non tiene conto delle intenzioni comunicative dell’interlocutore; questo sottolinea l’incapacità delle persone autistiche di cogliere l’intenzione comunicativa e gli stati mentali altrui.
  • Il linguaggio idiosincratico: che consiste nel far spesso uso di espressioni strane, bizzarre e apparentemente non collegate al contesto nel quale avviene l’interazione verbale o ai contenuti della stessa 66.
  • La difficoltà di prosodia: non viene usata l’intonazione ai fini comunicativi; nel parlato di una persona autistica si risconta una voce monotona o cantilenante che non segue il significato del messaggio.
  • Le isole di abilità: che stanno ad indicare quelle aree linguistiche nelle quali la persona con autismo mostrano comunque una grande capacità.

Vi sono alcuni processi che sembrano coinvolti nell’espressione che deviano la traiettoria neuro-evolutiva che conduce allo sviluppo della comunicazione e comprensione verbale: a livello di organizzazione neuronale, un deficit di connettività tra diverse aree e la mancata selezione di circuiti deputati per l’elaborazione di stimoli linguistici e sociali; a livello cognitivo, un deficit nell’elaborazione parallela e nell’integrazione di informazioni e il reclutamento di modalità di elaborazione visiva nella comprensione verbale; a livello comportamentale, la ridotta partecipazione ad episodi di attenzione congiunta e, di conseguenza, ad episodi di apprendimento che facilitano l’acquisizione del linguaggio. Questi livelli interagiscono tra loro secondo complesse dinamiche non-lineari nel cervello in via di sviluppo, dando luogo ad un’espressione clinica eterogenea 67.

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Modelli di comportamento e attività ristrette e stereotipati

Un altro nucleo disfunzionale “centrale” che si evidenzia nell’autismo è la rigidità dei processi mentali. Tale rigidità si traduce in una serie di comportamenti atipici che rientrano nell’area “non sociale” del profilo funzionale del soggetto. I deficit dell’interazione e della comunicazione sociale, infatti, esprimono il modo del soggetto di rapportarsi all’altro e riguardano la “componente sociale dell’autismo”. Mentre le atipie che riguardano gli interessi e le attività si riferiscono al modo in cui il soggetto si rapporta all’oggetto, al tipo di interessi che sembrano coinvolgerlo e alle caratteristiche con cui si impegna nelle “sue” attività; queste atipie rientrano nella “componente non-sociale dell’autismo” 68.

All’interno di questa classe di atipie vengono inseriti tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle azioni che per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri 69.

Il DSM-5 conferisce a questo nucleo disfunzionale la valenza di un criterio diagnostico indicandolo con la denominazione di “Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi” (DSM-5) 70; per essere soddisfatto questo criterio è necessario che compaiano due o più dei seguenti comportamenti:

  • Dedizione assorbente ad uno a più tipi di interessi, ristetti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;
  • Aderenza inflessibile a routine o rituali disfunzionali;
  • Manierismo motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);
  • Persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti 71.

Le anomalie negli interessi ristretti e stereotipati possono riguardare sia l’ambito degli interessi, il quale può risultare eccessivamente ristretto, sia la loro intensità. L’interesse assorbente può riguardare la raccolta di stimoli provenienti del proprio corpo (come guardarsi le mani, assumere posture bizzarre per le sensazioni che queste mandano), oppure l’osservazione d particolari oggetti ed eventi (per esempio gli oggetti che rotolano o con particolari configurazioni percettive) o anche l’esecuzione di attività più o meno elaborate e mentalizzate (per esempio mimare una scena di un film o “sapere” tutto sui dinosauri)72. Gli argomenti che risultano interessanti sono spesso insoliti e possono riguardare un tipo di informazione che gli altri bambini non degnerebbero della minima attenzione (come elenchi telefonici o altre pubblicazioni in ordine alfabetico) 73.

Le attività a cui il bambino si dedica possono variare a seconda del soggetto, ma l’interesse inteso come stato partecipativo e dedizione assorbente non cambia: l’elemento caratterizzante è la “ripetitività” con cui la persona con autismo si approccia al proprio interesse. La diversa scelta degli “interessi” è probabilmente legata a una serie di fattori, quali lo stile temperamentale, particolari caratteristiche dell’ambiente, l’età, l’entità della sintomatologia autistica, l’eventuale compresenza e la gravità di un ritardo mentale associato 74.

Il bambino autistico spesso presenta un’aderenza inflessibile a routine o rituali, reagisce con grave ansia ad imprevisti e cambiamenti nell’ambiente, nella disposizione dei mobili in una stanza, nel luogo e nell’ordine in cui i svolgono le attività, nei percorsi seguiti per recarsi in un certo posto 75.

Il soggetto con autismo in genere necessita che le attività quotidiane seguano una routine prefissata che vada ad aumentare la prevedibilità degli eventi e che permetta alla persona autistica di provare piacere nel ripetere semplici azioni o percorsi a lei noti. Questa tendenza alla “sameness” (immodificabilità) spesso diventa un limite in quanto costituisce un ostacolo allo sviluppo non permettendo al bambino di sperimentare nuove situazioni di apprendimento. Di contro in alcuni soggetti le routine hanno una funzione calmante e vanno a costituire una facilitazione che può essere sfruttata anche nei programmi di intervento.

Il bisogno di immutabilità, riferito dai genitori come espressione di un “carattere abitudinario”, si verifica anche nel gioco (disposizione dei soldatini o macchinine secondo un ordine che deve rimanere immutato), nella disposizione degli oggetti nella sua stanza, nei percorsi da seguire nelle uscite, nell’attaccamento ad oggetti insoliti o nell’alimentazione. Nel complesso due aspetti particolari caratterizzano questo tipo di comportamenti: l’abilità del bambino di cogliere anche minime variazioni del set percettivo e le razioni di profondo disagio quando ciò avviene, che conferisce a queste abitudini il carattere di un rituale ossessivo-compulsivo 76.

I manierismi motori e movimenti stereotipati sono movimenti e semplici azioni ripetute la cui funzione è spesso oscura. Tali comportamenti, anche se molto caratteristici, non sono considerati patognomonici in quanto sono presenti anche in altre situazioni psicopatologiche. Tra i movimenti più tipici troviamo lo “sfarfallamento” delle mani, che viene compiuto spesso portandole vicino alla testa o alle spalle, e anomale contrazioni dei muscoli facciali. In genere questi movimenti si mostrano più frequentemente nei momenti in cui l’individuo è maggiormente stressato 77.

Un esempio eclatante per capire cosa si intende con “interesse persistente per le parti di oggetti” è quello di immaginare di dare un camion ad un bambino con uno sviluppo tipico, il quale sicuramente si impegnerà a giocarci e creare un gioco di finzione, facendolo magari correre o mettendoci le macchinine sopra o creando una pista per farlo camminare; dando lo stesso camion ad un bambino con disturbo dello spettro autistico presumibilmente mostrerà un comportamento del tutto diverso, ovvero rovescerà il camion e si focalizzerà su parti specifiche di esso, come per esempio le ruote e il loro movimento circolare.

Un altro elemento che caratterizza le persone con autismo è la “reattività insolita” nei confronti di stimoli sensoriali che possono provenire dal proprio corpo o dall’ambiente 78.

L’entità della compromissione varia da soggetto a soggetto e, nello stesso soggetto, l’espressività dei comportamenti si modifica nel tempo 79.

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Percezione e attenzione

L’autismo, come abbiamo visto, è la “disabilità sociale” per eccellenza; vi sono però anche dei sintomi che non sembrano avere a che fare con le difficoltà sociali o comunicative, come i comportamenti ripetitivi, la rigidità di comportamento, l’anomala risposta agli stimoli sensoriali e difficoltà nella categorizzazione concettuale e nella pianificazione. Queste caratteristiche non appartengono alla sfera dell’intersoggettività, ma a alla sfera della percezione e della sensorialità, del modo in cui gli stimoli esterni vengono percepiti, elaborati, organizzati e alla sfera delle funzioni esecutive, cioè del modo in cui viene pianificata la risposta comportamentale agli stimoli 80.

Le funzioni percettive permettono agli esseri umani di avere informazioni su molti aspetti della loro vita, permettono di stabilire quali oggetti sono presenti nell’ambiente, danno la possibilità di comprendere ciò che accade intorno a noi. L’identificazione e la localizzazione di oggetti ed eventi, sono compiti che vengono svolti autonomamente e automaticamente da ognuno di noi, eppure sono il risultato di processi complessi81. L’informazione quando arriva ai nostri organi di senso è frammentata e in continuo cambiamento: non sempre ci è possibile vedere un oggetto interamente perché spesso è coperto da altri oggetti o da altre parti dell’oggetto stesso. Eppure la nostra esperienza non è quella di avere davanti a noi un mondo frammentato, composto da pezzi di oggetti, luci, ombre e macchie di colore senza senso, ma di oggetti interi che noi vediamo solo parzialmente82. Per rendersi conto di quanto siano complesse le funzioni percettive, basta pensare al fatto che da tempo sono stati inventati dei programmi che sono in grado di giocare a scacchi come un campione mondiale, ma nessun simulatore riesce ad imitare le capacità percettive umane.

Per riconoscere uno stimolo è sempre necessario individuarlo, classificarlo e definirlo; le persone cioè sono in grado di comprendere le configurazioni di stimoli perché queste non vengono solo captate, ma vengono anche opportunamente codificate attraverso un processo attivo. Per fare ciò è necessario l’utilizzo di processi periferici che operano con quelli centrali e che selezionano, elaborano e organizzano le informazioni che arrivano 83.

Secondo una descrizione lineare delle funzioni percettive, ci sono due possibilità di elaborare le informazioni: in un caso lo stimolo viene registrato dagli organi di senso e raggiunge quindi la parte del sistema nervoso centrale interessata; nell’altro caso, il processo è inverso: va dalle aree superiori del sistema nervoso a quelle inferiori (Frith, Baron-Cohen, 1987) 84.

Il filtraggio degli stimoli che in ogni momento colpiscono il sistema sensoriale viene effettuato dall’attenzione selettiva. Questa rappresenta una funzione essenziale per operare una scelta fra i vari stimoli interni ed esterni, per elaborare particolari associazioni ideative e per esercitare un controllo sui propri programmi d’azione e di comportamento 85.

Il primo a notare che i bambini con autismo hanno delle risposte sensoriali “strane” è Leo Kanner che nel 1943 segnale che alcuni dei suoi pazienti sembrano ipersensibili ai suoni, si “incantano” a guardare oggetti che ruotano su sé stessi, detestano che gli venga coperto il viso, e mettono in bocca oggetti di materiali non commestibili86. Vi sono molti studi che testimoniano la presenza di deficit sensoriali nei bambini con disturbo dello spettro autistico, sono state avanzate diverse teorie, alcune basate su osservazioni cliniche, altre sostenute da ricerche sperimentali; la maggior parte di esse, comunque, riguarda la modalità visiva.

Non tutte le persone con autismo hanno questo tipo di problemi: diversi studi riportano stime tra 42% e 88% dei casi. Il livello intellettivo o le abilità linguistiche non sembrano correlate ad anomalie sensoriali. Tuttavia si tratta di fenomeni presenti nell’autismo molto più che in altre patologie 87.

I disturbi sensoriali variano da soggetto a soggetto: uno stesso stimolo può essere percepito come insopportabile e assordante per un individuo, in modo normale da un altro o addirittura non percepito da un terzo soggetto ancora. Rispetto agli stimoli sensoriali, si evidenziano due tipologie di comportamento: uno volto ad evitare o limitare l’input, l’altro finalizzato ad aumentare lo stimolo stesso. La stessa cosa sembra valere per le stimolazioni sensoriali di altra natura. Greenspan e Wieder in un campione di 200 bambini con diagnosi di autismo in età pre-scolare trovarono che il 19% dei casi manifestava un’iposensibilità, un 39% una ipersensibilità e un 39% entrambe le condizioni 88.

Vi sono inoltre delle ricerche che suggeriscono che i bambini con autismo abbiano una ridotta sensibilità al dolore. Questi problemi sensoriali non sono la conseguenza di deficit nell’apparato visivo, uditivo o sensoriali: i bambini con autismo solitamente risultano normali nei test di acuità visiva o uditiva (Klin, 1993) 89.

La prima ipotesi per spiegare le particolarità a livello percettivo dei bambini autistici ha preso in considerazione il funzionamento sensoriale e le modalità iniziali di analisi degli stimoli in entrata.

Golfard (1956) e in seguito, in maniera più articolata Schopler (1965) hanno formulato l’ipotesi della “dominanza sensoriale”; secondo la quale i bambini autistici farebbero un uso preferenziale dei sensi prossimali, ovvero il tatto, il gusto e l’odorato, rispetto a quelli distali, ovvero la vista e l’udito. Essi tendono infatti a toccare, gustare e odorare gli oggetti e le persone, solitamente senza tenere conto del contesto nel quale si trovano. L’ipotesi della dominanza sensoriale cerca di spiegare perché i bambini autistici siano isolati dal mondo sociale, in quanto questo è soprattutto un mondo di recettori distali, e perché sembrano più a loro agio in un loro ambiente con minori dimensioni, nel quale è possibile ricavare il massimo delle stimolazioni attraverso il tatto, il gusto e l’olfatto 90.

La verifica sperimentale non ha però confortato quest’ipotesi, in quanto è apparso evidente che la tendenza ad utilizzare i sensi prossimali non è tipica solamente dell’autismo, ma è associata al ritardo mentale e che questa tendenza è di breve durata nei bambini autistici, i quali con lo sviluppo tendono ad acquisire buone capacità visive ed uditive. Inoltre, da varie ricerche è emerso che i bambini con autismo spesso mostrano risposte anomale alle sensazioni prossimali, come una insensibilità al dolore, al freddo e al caldo, il che non andrebbe i pari passo con l’ipotesi della dominanza sensoriale.

Lovaas e altri collaboratori (1971) hanno proposto un’altra ipotesi, sempre connessa alla gestione degli input in entrata, questa ipotesi però non fa riferimento all’apparato sensoriale ma all’utilizzo dell’attenzione ed è nota come “iperselettività degli stimoli”. Con questa ipotesi si sosteneva che i bambini autistici si concentrassero solo su uno fra i vari stimoli o solamente su una parte dello stimolo stesso. È importante tener conto del fatto che le reazioni di tipo iperselettivo non sono esclusive dell’autismo, ma possono essere riscontrate anche in altre patologie, come il ritardo mentale. Frith e Baron-Cohen ritengono che questa ipotesi sia utile per far chiarezza su alcuni aspetti dei comportamenti dei bambini autistici, ma non è in grado di far luce su tutti i problemi percettivi che questi bambini hanno.

Vi sono inoltre, delle prove sperimentali che evidenziano un deficit a livello dell’attenzione selettiva nei bambini autistici, il che dà informazioni rispetto al fatto che, questi ultimi, tendono a dare particolare importanza ad alcuni elementi che per altri bambini sono superflui. La tendenza a concentrare l’attenzione solo su aspetti specifici di uno stimolo, è il risultato di un’iperfunzione dei meccanismi cerebrali di attivazione. Da questo punto di vista dunque, le stereotipie e l’elusione degli stimoli sociali, sarebbero meccanismi adattivi usati dai bambini per abbassare il loro livello di attivazione 91.

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è la tendenza delle persone con autismo ad evitare lo sguardo degli altri; vi sono degli autori che hanno negli anni affermato che, i bambini con autismo, non vogliono deliberatamente evitare lo sguardo o lo stimolo, semplicemente tendono ad osservare più spesso lo sfondo, ciò che è marginale. Questa osservazione suggerisce che l’attenzione di questi bambini è regolata da processi differenti rispetto ai bambini che non presentano invece questo disturbo 92.

In ambito percettivo vanno considerati anche i punti forza delle persone con autismo ovvero la grande abilità nell’elaborare informazioni visuo-spaziali, nel localizzare figure nascoste, nel costruire i puzzle. In tutte queste situazioni i bambini autistici si comportano come se la loro percezione fosse riferita a frammenti, senza un’analisi della forma generale; tendono, in altre parole, a percepire molto bene l’albero, meno bene il bosco 93.

Molti ricercatori hanno svolto studi sulla percezione, in particolare quella visiva, che è una delle aree in cui ci si è soffermati maggiormente. Uta Frith e O’Connor hanno evidenziato che le difficoltà dei bambini con autismo in ambito sociale e comunicativo, non derivano da deficit sensoriali e che le peculiarità della percezione riguardano gli stadi avanzati di elaborazione delle informazioni. I deficit specifici dell’autismo relativi ai livelli di base dell’elaborazione sensoriale, non sono documentati 94.

In sintesi, nelle persone con autismo esistono sicuramente dei deficit a livello attentivo e percettivo, i quali convivono però con altre abilità molto affinate; ciò è frutto di disfunzioni che non colpiscono i livelli bassi dei processi senso-percettivi, ma i processi superiori di elaborazione. L’autismo comporterebbe un’anormale elaborazione delle informazioni complesse e non un deficit di base di attenzione e di acquisizione iniziale delle informazioni 95.

I bambini autistici hanno difficoltà ad aggiungere un significato alle percezioni, non riescono ad andare oltre alla semplice stimolazione, “vivono alla lettera”, al contrario di quanto accade nei bambini normali, i quali vanno ben oltre la percezione 96.

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Memoria

Fra le tante ipotesi sulla psicologia dei bambini con autismo, ha indubbiamente molta importanza quella che riguarda il deficit delle funzioni esecutive. Questo studio ha origini moderne nei lavori di Luria, uno dei fondatori della neuropsicologia cognitiva 97.

I risultati degli studi sulle capacità di memoria nelle persone con autismo sono contraddittori, in quanto in alcuni si evidenziano prestazioni molto scarse, mentre in altri sono sviluppate normalmente, oppure sono danneggiate in modo non selettivo. Fra le capacità che risultano ritardate c’è la memoria di lavoro, mentre quella che non risulta danneggiata selettivamente è la memoria a breve termine.

I bambini con autismo presentano una maggiore memoria di lavoro quando si trovano di fronte un materiale significativo, come ad esempio una frase, rispetto invece al dover ricordare una non frase; la differenza tra frasi e non frasi è data dal fatto che le prime sono immediatamente comprensibili, le seconde hanno bisogno di elaborazione 98.

I bambini con autismo mostrano un’accentuazione dell’effetto di recenza se paragonati con bambini normali e ritardati mentali99; come si evidenzia in uno studio di Hermelin e O’Connor (1970) nel quale sono stati equiparati bambini autistici, con ritardo mentale e bambini normali nello span di memoria a breve termine fonologica (ovvero la capacità di ricordare cifre): i bambini autistici avevano la tendenza a ricordare meglio le ultime parole della lista, sia nel caso in cui queste facessero parte di una frase sia nel caso fossero parole disaggregate.

Successivamente, nel 1978, Boucher effettua un altro studio sull’effetto della recenza per materiale presentato uditivamente, nel quale confronta bambini autistici e bambini normali della stessa età cronologica. Da questo studio è stato evidenziato che i bambini con autismo hanno una buona capacità di rievocare le parole nel momento in cui queste vengono richieste subito dopo la presentazione del materiale; questo tipo di memoria viene denominato “memoria ecoica”, che rappresenta la capacità di ritenere informazioni ricevute mediante il canale uditivo, ed è dunque una delle abilità principali che i bambini con autismo possiedono. Mentre invece, per quanto riguarda l’elaborazione degli stimoli visivi, i bambini con autismo non mostrano cadute di prestazione dovute al tempo intercorso tra la presentazione del materiale e la rievocazione (Prior, Cohen, 1976).

Un’altra area che a seguito di vari studi è risultata deficitaria nei bambini con disturbo dello spettro autistico è la codifica semantica, anche se si è evidenziata una tendenza, seppur molto limitata, ad utilizzare i segnali semantici per aiutare la memoria.

Per quanto riguarda gli studi sulla memoria a lungo termine sono state messe in risalto difficoltà che si evidenziano soprattutto nel momento in cui il tempo che intercorre tra la presentazione del materiale e la rievocazione è occupato da altre attività.

Molti autori suggeriscono che l’autismo sia un disturbo caratterizzato da disfunzioni dell’ippocampo, con particolare compromissione della memoria. I deficit della memoria sono indubbiamente collegati ai deficit del linguaggio esistenti, in particolar modo rispetto ai suoi aspetti semantici. I bambini autistici con QI (quoziente intellettivo) non verbale nella norma, paragonati invece a bambini con disturbi del linguaggio, presentano un peggioramento della prestazione ogni volta che il materiale diventa più significativo 100.

Quello che sicuramente risulta deficitario nei soggetti autistici è la capacità di utilizzare strategie mnestiche (associazione, evidenziazione percettiva, clustering, parola chiave) per aiutare il ricordo 101.

Infine è importante sottolineare la capacità dei bambini autistici di utilizzare la memoria automatica, ovvero loro sono perfettamente in grado di ricordare per esempio tutti i tragitti di un autobus, gli orari dei treni o i messaggi pubblicitari eccetera, senza però utilizzare queste conoscenze con finalità adattative. Un’altra capacità dei bambini con autismo che spesso veniva considerata prodigiosa è quella di saper associare i giorni del calendario anche di anni precedenti o successivi ai giorni della settimana.

Secondo Uta Frith (1989) è sbagliato considerare queste capacità come dei pregi, in quanto una buona prestazione nel richiamo automatico del materiale senza senso dovrebbe essere associata ad una prestazione ancora migliore nella memoria per materiale con senso. Quindi è appropriato considerare le prodezze isolate della memoria automatica dei bambini autistici come un segno di disfunzione piuttosto che un isolotto di capacità intatta 102.

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Motricità

L’attività motoria è un elemento fondamentale per lo sviluppo dell’individuo poiché, attraverso la scoperta e l’esplorazione del proprio corpo e dell’ambiente, è possibile apprendere abilità nelle aree di sviluppo e conoscere maggiormente le proprie capacità e i propri limiti ad esse legati. Per quanto riguarda l’autismo, sono descritti ritardi nell’acquisizione di funzioni motorie primarie, che si manifestano nella difficoltà ad organizzare in modo fluido e coordinato una serie di movimenti103. Motivo per cui i bambini con autismo risultano spesso scoordinati, goffi e maldestri; condizioni che tendono ad accentuarsi in condizioni di stress.

Inoltre, si evidenziano nei bambini con autismo una persistenza dei riflessi primitivi, ovvero quei riflessi che sono presenti nei primi mesi di vita dei neonati, e delle alterazioni del tono muscolare (infatti Bauman li descrive come ipotonici).

Alcuni studiosi hanno evidenziato che i disturbi motori nei bambini con autismo, possono essere analizzati seguendo tre distinti piani:

  1. Disturbi della funzione motoria come anomalie posturali, alterazioni del tono muscolare e comparsa di movimenti involontari (tics);
  2. Movimenti diretti ad uno scopo, e quindi le difficoltà nella pianificazione motoria, movimenti spontanei ripetitivi e difficoltà linguistiche;
  3. Disturbi comportamentali, pervasivi 104.

Il comportamento motorio del bambino con autismo si caratterizza per la presenza di numerose stereotipie, le quali, pur mostrandosi in quasi tutti questi bambini, si manifestano in maniera differente a seconda del soggetto. Le stereotipie sono espressioni motorie ripetitive, topograficamente invarianti senza apparenti finalità adattive nel contesto ambientale nel quale si esplicano105. Esistono due tipi di stereotipie: stereotipie di tipo autolesivo, ovvero quelle che provocano lesioni evidenti e che possono essere associate al dolore (ed esempio sbattere la testa); e stereotipie di tipo non autolesivo, che sono associate a finalità autostimolatorie non dolorifiche (ad esempio dondolarsi).

I movimenti stereotipati messi in atto con più frequenza sono i seguenti:

  • L’altalena, ovvero un movimento continuo di oscillazione del busto dalla posizione seduta, che può essere effettuato con direzione antero-posteriore o laterale. Il corpo è rigido e i movimenti possono avvenire anche quando il bambino è in posizione eretta in piedi, in un andirivieni ripetitivo e apparentemente senza senso;
  • I movimenti delle mani, che sono costituiti da gesti isolati delle mani (movimenti di picchiettamento) o da gesti effettuati per imprimere movimenti agli oggetti (farli ruotare come trottole). La manipolazione è un’attività nella quale il bambino con autismo può risultare molto abile, nonostante sia privo di significati simbolici e non abbia un lavoro di immaginazione alla base. In alcune situazioni i bambini con le mani mettono in atto comportamenti autolesivi, come ad esempio dandosi colpi sul capo, darsi morsi sulle mani, tirarsi i capelli;
  • L’andatura, di solito avviene in punta di piedi ed è conseguente all’ipertensione del corpo. Spesso il bambino che presenta questa camminata, può mostrare anche un’andatura di tipo ipotonico, con le ginocchia piegate e il tronco che sembra tendere all’indietro con conseguente caduta a terra;
  • I movimenti del capo che, in alcuni casi, assumono la forma di stereotipia autolesiva, come ad esempio quando i bambini sbattono la testa sul pavimento in modo violento o contro un muro, in altri casi invece si caratterizzano per contrazioni facciali che determinano smorfie106.

Questi comportamenti stereotipati e la presenza di routine del comportamento non sono caratteristiche presenti solo nell’autismo, bensì si riscontrano anche nel ritardo mentale seppure con accentuazioni qualitative e quantitative differenti.

Spiegare il perché si manifestino tali comportamenti è alquanto difficile, bisognerebbe andare ad indagare congiuntamente la rigidità e ripetitività a livello percettivo, motorio, cognitivo e affettivo. Uta Frith ha tentato di analizzare questi elementi considerando tutti i tipi di comportamento stereotipato come una manifestazione ulteriore dei deficit a livello dei processi centrali. La ripetitività sarebbe la condizione naturale dei sistemi di input e output, la quale viene bloccata in modo naturale quando i prodotti di questi sistemi sono riconosciuti da un sistema centrale di alto livello 107.

Per quanto riguarda le stereotipie di tipo autolesivo, è probabile che siano attivate dalla ricerca di una forte stimolazione sensoriale, la quale non viene percepita come lesiva a causa della ridotta sensibilità al dolore. Molti autori hanno anche evidenziato come i comportamenti dei bambini, tra cui quelli autolesivi, potrebbero essere causati esclusivamente da auto-stimolazione, in quanto i bambini con autismo sono spesso in ricerca di stimolazioni sensoriali elevate e solo da essi riescono a riceverle.

Attwood, Hermelin e Frith, hanno confrontato bambini con sviluppo tipico insieme a bambini con sindrome di Down e bambini con autismo, rispetto all’utilizzo di gesti strumentali (finalizzati ad ottenere un certo comportamento da qualche altra persona) ed espressivi (tendono ad esprimere sensazioni ed emozioni). I bambini con autismo utilizzano i gesti strumentali con la stessa frequenza degli altri bambini, mentre quando è necessario mettere in pratica gesti espressivi, presentano maggiore difficoltà. Queste informazioni confermano il legame alla realtà dei bambini con autismo e la loro difficoltà nel comprendere e interpretare i sentimenti umani 108.

In uno studio di Teitelbaum e colleghi, è dimostrato la presenza di un disturbo del movimento dai 4 ai 6 mesi di età nei bambini con autismo. Sono stati evidenziati disturbi primari (come l’anormalità nei riflessi, la mal destrezza, la goffaggine, la latenza, i problemi di coordinamento) e disturbi secondari (ovvero un’incapacità di prevedere le conseguenze di un’azione, sia effettuata da loro che osservata).

Ogni azione che l’uomo svolta gli serve per raggiungere un determinato obiettivo. Le attività motorie sono suddivise in tre diverse tipologie:

  • Il movimento, che sarebbe il risultato dell’attivazione di un limitato distretto muscolare che produce lo spostamento nello spazio di una o più articolazioni.
  • Gli atti motori, che sono movimenti con uno specifico scopo motorio.
  • Le azioni motorie, che sono formate da numerosi atti motori seguiti da rinforzi biologici.

Raggiungere lo scopo motorio della singola azione è fondamentale per poter eseguire il movimento successivo, e anche quello dopo ancora e quindi per consentire la realizzazione dell’obiettivo finale. Le anomalie frontali impediscono l’attenzione condivisa, l’immaginazione, a favore di una rigidità della condotta e abilità inutili e ripetitive. Le anomalie dei lobi parietali invece, determinano perdita di controllo, disordine delle funzioni esecutive e disordine di memoria di lavoro 109.

Un anomalo funzionamento del cervelletto determina disprassia, anomalie del movimento oculari e ipo o iper-tonicità. La disprassia, nei bambini con autismo, si presenta su due livelli: a livello efferente, che si ha nel momento in cui l’azione, rappresentata mentalmente, non si traduce correttamente in atto motorio finalizzato (disprassia esecutiva); oppure a livello afferente che si ha quando nel soggetto è presente una disfunzione percettiva che impedisce una corretta rappresentazione mentale dell’azione (disprassia ideativa)110.

Il sistema nervoso dunque ha un ruolo chiave nelle anomalie e nelle problematiche che si riscontrano in questi bambini.

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Il trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico - Introduzione

La ricerca su come funziona la mente autistica è importante per un motivo fondamentale: aiutare i bambini con autismo a vivere meglio e, in prospettiva, curarli.

Capire la mente autistica serve a capire come interagire e soprattutto come insegnare ai bambini con autismo. Vi sono due aspetti che rendono difficile la vita di una persona con autismo:

  1. Vincoli biologici che rendono il suo cervello meno adatto all’apprendimento sociale;
  2. Ignoranza che ancora permane sull’autismo.

La vita di una persona con autismo può essere felice, ricca di soddisfazioni, di opportunità di apprendimento, di successi e di momenti di partecipazione: tutto questo dipenderà dalla possibilità di avere un trattamento adeguato 111.

Per essere efficaci e validi i programmi di intervento devono garantire una stretta collaborazione fra genitori, insegnanti e operatori dei servizi sociosanitari (terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, logopedista, fisioterapista) e tutti coloro che ruotano intorno al bambino per creare una rete di condivisione nella quale si possa procedere tutti insieme verso un obiettivo comune: migliorare la qualità di vita del bambino con disturbo e quella della sua famiglia.

Non esiste una cura per l’autismo, ma esistono molte tecniche e attività educative che possono aiutare il bambino nel suo cammino verso un sufficiente autocontrollo, una maggiore indipendenza e, in generale, una vita migliore 112.

La scelta di quale intervento intraprendere deve tener conto del singolo e del suo profilo di funzionamento dal momento che non esiste un unico autismo, quindi non esiste un trattamento che possa essere considerato valido per tutti, ma bisogna ragionare rispetto all’età, al genere, al quoziente intellettivo, alla sintomatologia, ad eventuali comorbidità e al grado di compromissione che ne deriva, alle possibilità offerte dal territorio infine dovrebbe essere svolta un’attenta raccolta di informazioni sulle tecniche di intervento e sulla verifica sperimentale della loro efficacia 113.

È importante tener conto del fatto che tanto più l’intervento è precoce tanto maggiore sarà la possibilità di migliorare l’evoluzione prognostica del quadro clinico, in modo tale da permettere un’adeguata sistematizzazione e riorganizzazione interna delle esperienze percettive del bambino con autismo.

L’intervento deve essere intensivo, allo scopo di dare il via ad una nuova dimensione di vita sia per il bambino che per la sua famiglia, andando ad organizzare gli spazi, i tempi e le attività del bambino nel corso della sua giornata, in modo tale che anche la sua vita quotidiana abbia una valenza terapeutica; l’intervento deve inoltre essere curricolare, ovvero devono essere ben definiti e chiariti gli obiettivi di lavoro e devono essere costantemente monitorati.

Gli obiettivi che principalmente vengono perseguiti nell’ambito del percorso riabilitativo sono:

  • Comunicazione (funzionale e spontanea)
  • Competenze sociali adeguate
  • Competenze adattive funzionali
  • Competenze cognitive e scolastiche
  • Controllo e riduzione dei comportamenti problema.

Nel momento in cui si va a strutturare un programma riabilitativo si deve quindi tener conto delle possibilità, delle potenzialità e dei punti di forza del bambino in questione, ma ragionando e integrando anche le difficoltà e i punti di debolezza.

Tenendo conto del fatto che l’autismo è un disturbo che si evolve nel tempo, il percorso terapeutico deve evolversi e modificarsi in funzione del cambiamento che il disturbo può avere nel tempo. In ogni fase dell’età del bambino il programma di terapia deve avere lo scopo di migliorare l’integrazione sociale, instaurare la comunicazione, ampliare gli interessi e promuovere una maggiore flessibilità degli schemi di azione.

I modelli di intervento per i disturbi dello spettro autistico sono spesso classificati in due grandi aree:

  • Approcci Comportamentali, nei quali rientrano quei modelli che condividono il presupposto secondo cui la mente rappresenta una realtà inaccessibile o comunque poco studiabile; l’unica realtà esplorabile nei territori della psiche è il comportamento114. Questi interventi sono altamente strutturati, vengono svolti in un ambiente organizzato dove il rapporto Terapista-Bambino è di tipo 1:1. In questo tipo di interventi si parte dall’analisi del comportamento, considerandone gli antecedenti e le sue conseguenze.
  • Approcci Evolutivi, i quali attribuiscono particolare importanza alla conoscenza delle normali tappe di sviluppo del bambino e alle sue molteplici possibili “deviazioni”, con una forte attenzione per le differenze individuali e la costruzione di un dialogo continuo e reciprocamente arricchente tra “normalità” e “patologia”115. Nella filosofia di questo tipo di interventi è implicita l’importanza della dimensione emozionale e relazionale in cui si realizza l’agire del bambino116. Racchiudono tutti quegli interventi dove l’ambiente è aperto e dinamico, centrato sul bambino ed assume una valenza simbolica. In questo ambiente vengono attivati tentativi di comunicazione, partendo da quella non verbale, dove l’operatore crea le opportunità di comunicazione mediando tra lo stato emotivo-affettivo e la finalizzazione delle azioni del bambino.

È comunque importante sottolineare che sebbene questi approcci abbiano importanti differenze, allo stesso tempo sono presenti delle aree di sovrapposizione: ovvero i modelli comportamentali utilizzano approcci derivati da quelli evolutivi e viceversa.

Tutti gli interventi terapeutici efficaci, soprattutto per la fascia di età prescolare, devono includere alcuni elementi comuni:

  • La precocità dell’intervento, che dovrebbe iniziare entro i 2-3 anni di vita;
  • L’intensità dell’intervento, con un coinvolgimento attivo del bambino per almeno 20-25 ore a settimana per 12 mesi l’anno;
  • L’inclusione delle famiglie nel programma terapeutico;
  • L’inclusione della scuola nel progetto di cura;
  • La promozione attiva di opportunità per l’interazione significativa con coetanei a sviluppo tipico;
  • La costante documentazione e valutazione dei progressi individuali;
  • La strutturazione del contesto ambientale;
  • La necessità di lavorare specificatamente sulla generalizzazione;
  • La valutazione degli esiti in rapporto al profilo globale di sviluppo 117.

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Il programma TEACCH

Descrivere il TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children) come un metodo in realtà è poco corretto in quanto si tratta più precisamente di un programma integrato per la presa in carico di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico ideato da Eric Schopler 118.

Il programma TEACCH prevede un insegnamento strutturato basato sull’approfondita valutazione dei punti di forza e di debolezza di ciascun bambino e su alcuni principi di carattere generale: l’organizzazione dell’ambiente fisico, la scansione la scansione precisa delle attività, la valorizzazione degli ausili visivi e la partecipazione della famiglia al programma di intervento 119.

Il programma è stato sviluppato da Eric Schopler, Gary Mesibov e dai loro collaboratori in North Carolina, questi autori sono stati tra i primi ad elaborare e mettere in pratica concetti importanti: la presa in carico globale (secondo cui alla diagnosi segue un programma educativo personalizzato, finalizzato al raggiungimento della massima autonomia e integrazione possibile); la centralità della famiglia e la lungimiranza relativa al fatto che, essendo l’autismo una disabilità cronica, un bambino autistico deve essere trattato anche nei termini dell’adulto che diventerà 120.

L’autismo non viene considerato come una malattia bensì come un handicap della comunicazione, socializzazione ed immaginazione.

L’obiettivo del TEACCH è il potenziamento delle autonomie del soggetto e il miglioramento della sua qualità di vita personale, sociale e lavorativa. I genitori sono considerati la fonte più attendibile di informazioni sul bambino, infatti vengo no coinvolti attivamente nel programma di trattamento, sia per consentire la generalizzazione delle competenze acquisite sia per garantire una coerenza di approccio in ogni attività di vita del bambino121. È importante la condivisione con tutte le persone che ruotano intorno al bambino, infatti questo trattamento imposta un insieme di servizi o trattamenti educativi, scolastici ed extra-scolastici, per il soggetto autistico. Esso si iscrive negli approcci educativi in quanto contiene scelte interventive ispirate a pratiche di aiuto allo sviluppo in ogni forma e sede 122.

Il programma TEACCH, pur utilizzando tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di tipo comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a modificare il proprio comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo o negativo, si preferisce modificare l’ambiente in modo che l’apprendimento sia reso più agevole 123.

Il TEACCH si basa sull’analisi delle conseguenze dei deficit cognitivi nel singolo soggetto autistico per colmare la distanza tra il modo di pensare del soggetto e la necessità della vita nella società degli adulti; le operazioni sono quindi fondate su tre principi fondamentali:

  • L’individuazione delle strategie;
  • La strutturazione delle situazioni di apprendimento;
  • L’adattamento dell’ambiente alle esigenze della persona 124.

L’obiettivo primario di questo trattamento non è la “normalità”, ma il raggiungimento dell’inclusione sociale nella vita adulta e della maggiore forma di autonomia possibile in base al funzionamento del soggetto e si cerca di perseguire tali scopi tramite alcuni principi chiave:

  • Ponendo le basi del trattamento sui punti di forza del bambino, partendo da questi per porsi obiettivi realistici e raggiungibili;
  • Valutazione costante delle capacità del bambino per potenziare i suoi successi;
  • Adattare l’ambiente e l’insegnamento alle difficoltà specifiche del bambino per aiutarlo a comprenderne meglio il senso e proporre compiti e consegne tramite supporti visivi;
  • Considerare i comportamenti problema dovuti all’incapacità del bambino di comprendere l’ambiente;
  • Formare un’equipe multidisciplinare nella quale siano coinvolti attivamente anche i genitori.

Particolarmente importante risulta essere l’organizzazione dello spazio. Si utilizzano generalmente stanze differenti per le diverse attività, in modo da aiutare i bambini a distinguere e a focalizzarsi solo sul compito oggetto dell’attività. Sono utilizzate immagini per mostrare al bambino le attività da svolgere e in quale sequenza; questa presentazione aiuta a comprendere, anticipare e predire l’attività 125.

Un ambiente temporo-spaziale molto strutturato, comprensibile e prevedibile, costruisce il primo passo per poter impostare un lavoro educativo con il bambino autistico. L’ambiente di lavoro, organizzato in spazi chiaramente e visivamente delimitati, ognuno con delle funzioni specifiche chiaramente visualizzate, consente al bambino di sapere con precisione ciò che ci si aspetta da lui in ogni luogo e in ogni momento 126.

Un altro concetto difficile da capire è il concetto del “tempo”, in quanto si fonda su qualcosa di non visibile o tangibile, per questo è molto importante strutturare la giornata in maniera visiva, in modo tale che il bambino si renda conto di ciò che sta accadendo, di ciò che è già accaduto e di quello che deve ancora accadere, andando ad aumentare la prevedibilità delle varie situazioni e diminuendo l’incertezza.

Il coinvolgimento dei genitori, la strutturazione e la prevedibilità dell’ambiente, l’adeguatezza delle richieste, nonché la chiarezza, la concretezza e la stabilità dei messaggi sono, in sintesi, i principi basilari del modello 127.

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ABA (Applied Behavior Analysis)

Per quanto riguarda l’ABA si compie spesso una notevole confusione per la quale è necessario un excursus storico con alcuni chiarimenti terminologici:

  • L’analisi del comportamento (Behavior Analysis) è lo studio del comportamento, dei cambiamenti del comportamento e dei fattori che determinano tali cambiamenti;- L’analisi del comportamento applicata (Applied Behavior Analysis = ABA) è l’area di ricerca finalizzata ad applicare i dati che derivano dall’analisi del comportamento per comprendere le relazioni che intercorrono fra determinati comportamenti e le condizioni esterne. In questa prospettiva l’”analista comportamentale” utilizza i dati ricavati per formulare teorie relative al perché un determinato comportamento si verifica in un particolare contesto e, conseguentemente, mette in atto una serie di interventi finalizzati a modificare il comportamento e il contesto. Le informazioni ricavate dall’analisi del comportamento, pertanto, vengono utilizzate in maniera propositiva e sistematica per modificare il comportamento 128.

L’origine del metodo risale all’analisi comportamentale di Skinner (1938, 1953), una metodologia osservativa utile a definire le parti costituenti ciascun comportamento: gli eventi che lo precedono (antecedenti) e quelli che lo seguono (conseguenze). L’analisi del comportamento condotta secondo questa procedura, nota anche come modello ABC (A=Antecedent, B=Behavior, C=Consequences), aiuta a definire i rinforzi positivi e quelli negativi 129.

L’ABA ha l’obiettivo di applicare i principi del condizionamento per comprendere le relazioni che intercorrono tra il comportamento preso in esame e le condizioni interne, in modo tale da mettere in atto interventi volti a modificare il comportamento e/o il contesto 130.

Il trattamento mira a rinforzare quelli che sono i comportamenti positivi (come la socializzazione) a discapito di quelli negativi (come gli interessi ripetitivi); l’obiettivo primario è quindi l’attenzione condivisa che va ad apportare vantaggi a carico del linguaggio e dei comportamenti adattivi.

L’ABA prende in considerazione i seguenti 4 elementi:

  1. Gli antecedenti (tutto ciò che precede il comportamento in esame);
  2. Il comportamento in esame (che deve essere osservabile e misurabile);
  3. Le conseguenze (tutto ciò che deriva dal comportamento in esame);
  4. Il contesto (definito in termini di luogo, persone, materiali, attività o momento del giorno) in cui il comportamento si verifica 131.

Il programma di intervento (= la modifica del comportamento) viene realizzato su dati che emergono dall’analisi, utilizzando le tecniche abituali della terapia del comportamento: la sollecitazione (prompting, che consiste nel fornire facilitazioni per agevolare il comportamento), la riduzione delle sollecitazioni (fading, ha come obiettivo l’estinzione dei diversi promt), il modellamento (modeling), l’adattamento (shaping, si costruiscono le sequenze che porterebbero alla realizzazione del comportamento; i comportamenti vengono rinforzati in maniera graduale) e il rinforzo.

I principi dell’ABA sono applicati in setting molteplici che si differenziano per il livello di strutturazione e i “gradi di libertà” lasciati al paziente, pur condividendo alcune tecniche e i meccanismi di apprendimento sollecitati 132.

Fin dalla fine degli anni 60 sono stati utilizzati per bambini autistici approcci basati sull’ABA, finalizzati ad insegnare specifiche competenze con lo scopo di migliorare la socializzazione, la comunicazione ed il comportamento adattivo. In particolare, Lovaas, che è stato fra i primi ad utilizzare tale approccio (Lovaas et al., 1979), ha progressivamente elaborato un protocollo di trattamento altamente strutturato: il Discrete Trial Training (Lovaas, 1981).

Il DTT è il setting più classico per l’implementazione dell’ABA che implica una frammentazione di competenze complesse e l’insegnamento di ogni sotto-competenza nel corso di sedute ripetute 133.

Si tratta di un intervento che prevede una serie di sedute per un totale di 40 ore settimanali. Ciascuna seduta, a sua volta, prevede una serie di trial altamente strutturati. Il trial è un evento di apprendimento, in cui il bambino è stimolato a rispondere ad uno specifico comando o “stimolo”.

In linea con il Discrete Trial Training esistono diversi altri programmi, accomunati da due presupposti di fondo:

  • La necessità di un insegnamento altamente strutturato, con un rapporto 1:1, in un ambiente specificamente organizzato;
  • L’incapacità del bambino autistico di apprendere in un contesto “naturale”, che spesso funziona solo da “distrattore”.

Su tali presupposti si è sviluppo il modello “The University of California at Los Angeles (UCLA) Young Autism Project” (NRC, 2001) 134.

Di seguito sono elencati i principali approcci ABA più diffusi nella clinica.

Incidental Teaching (IT) (Warren et al., 1984; Delprato, 2001) nel quale l’insegnamento viene impartito partendo dall’interesse del bambino e dalla sua motivazione per una certa attività. L’ambiente viene comunque strutturato per facilitare il comportamento preso in esame, ma i rinforzi sono “casuali”, fuori dalla portata del bambino e utilizzati in maniera adattata alla situazione. I genitori sono coinvolti nel progetto terapeutico.

Pivotal Reponse Training (PRT), questo approccio si basa sulle risposte “pivotal”, ovvero quelle risposte che sono potenzialmente in grado di influenzare più aspetti del funzionamento del bambino.

L'integrazione dell’analisi comportamentale del linguaggio di Skinner nell'approccio ABA, ha introdotto l'importanza della creazione di procedure di insegnamento basati sulla motivazione dello studente e un maggior utilizzo di ambienti e rinforzi naturali.

Negli anni ‘70 i Dr. R. Koegel e Dr. L.K. Koegel (Koegel & Koegel 2006) hanno sviluppato il Pivotal Response Treatment (PRT). Derivato dall’Applied Behavioral Analysis (ABA), il PRT prevede lo sviluppo della comunicazione, del linguaggio e di comportamenti sociali positivi. Basandosi sulla presa di iniziativa da parte del bambino e sulla sua motivazione, il terapeuta PRT fornisce istruzioni chiare e senza interruzioni, presentando opportunit à di apprendimento attraverso numerosi esempi (ad esempio, l'uso dello stesso verbo in relazione a due diversi oggetti: "gira la macchina" e poi "gira la palla"), e rinforzando positivamente approssimazioni e tentativi (Neftd et al. 2010)135. I rinforzi scelti sono legati ai comportamenti spontanei del bambino, le cui scelte vengono incluse nel programma di trattamento: viene infatti data importanza alla motivazione del piccolo paziente e sostenuti tutti i tentativi di risposta che si approssimano a quello desiderato 136.

L’area su cui si interviene viene scelta in base al suo potenziale impatto su altri comportamenti e su altre aree di apprendimento. Il contesto di terapia è naturale e flessibile. Questo trattamento può essere utilizzato in tutti gli ambienti di vita del bambino, evitando problemi comportamentali o le difficoltà di generalizzazione che possono derivare da un approccio rigido e coinvolge i genitori per informarli sulle migliori strategie da utilizzare col proprio bambino.

Vi sono alcuni fattori che possono predire il successo di un intervento PRT:

  • presenza di interesse nei giocattoli;
  • tolleranza della prossimità sociale;
  • ridotti comportamenti ripetitivi;
  • molti comportamenti comunicativi verbali.

Il Verbal Behavior (VB) è un approccio che si basa sull’analisi comportamentale del linguaggio di Skinner e sui principi e simili procedure di insegnamento dell’Applied Behavior Analysis. Nel 1957 Skinner introdusse il concetto di “Comportamento Verbale” nella sua opera “Verbal Behavior”, nella quale sosteneva che il linguaggio fosse un comportamento appreso causato dalle medesime variabili ambientali che controllano il comportamento non verbale (ad esempio controllo dello stimolo, operazioni motivanti, rinforzo, etc.) e dagli stessi principi che controllano tutti gli altri comportamenti.

Considerato come un comportamento anche il linguaggio verbale può essere studiato sulla base degli stimoli ambientali che lo precedono e che lo seguono.

Skinner analizzò l’evento verbale suddividendolo in due aspetti complementari: il comportamento di chi parla e il comportamento di chi ascolta. Basandosi su questi due distinti punti di vista si può valutare ciò che il comportamento verbale è in grado di produrre sul soggetto che ascolta, sia per quanto riguarda il comportamento verbale che quello non verbale.

Skinner osservò che gli esseri umani acquisiscono la loro capacità di parlare nello stesso modo in cui imparano i comportamenti non verbali. In altre parole, il comportamento verbale è sotto il controllo di conseguenze mediate da altre persone che possono funzionare come interlocutori e ascoltatori. Skinner, invece di concentrarsi sulla grammatica o sintassi del linguaggio, individuò delle categorie funzionali che chiamò operanti verbali: MAND, TACT, INTRAVERBAL, ECHOIC, TEXTUAL E TRANSCRIPTION 137:

  • MAND: è un comportamento verbale la cui funzione è quella di richiedere per ottenere. Questo è il primo passo per l’insegnamento del linguaggio, in quanto si basa sulla motivazione che spinge il bambino a richiedere un oggetto. Il MAND va ad incrementare il linguaggio in generale, in quanto come conseguenze del MAND viene consegnato al bambino il rinforzo, quindi il bambino associa al suono della voce una conseguenza positiva.
  • ECHOIC: è un operante verbale che consiste nell’imitazione e nella ripetizione del comportamento verbale dell’altra persona. In questo caso l’obiettivo che viene rinforzato è il parlare.
  • TACT: viene insegnato nel momento in cui il bambino ha un buon repertorio ecoico e un buon numero di MAND e consiste nella denominazione di cose e/o azioni che il bambino è in grado di individuare tramite i 5 sensi.
  • INTRAVERBAL: in questo caso il bambino dovrà rispondere in maniera diversa rispetto al comportamento verbale dell’altro. Esistono due tipi di INTRAVERBAL: di completamento (se un bambino completa la frase che è stata iniziata dall’operatore) e di domande (se il bambino risponde ad una domanda).
  • TEXTUAL: questo comportamento prevede la lettura, senza però comprendere ciò che si sta leggendo.
  • TRANSCRIPTION: consiste nello scrivere una parola che si è sentita. Questo operante non coinvolge solamente la produzione manuale delle lettere che compongono la parola ma anche un corretto spelling.

Skinner, invece di concentrarsi sulla grammatica o sintassi del linguaggio, individuò delle categorie funzionali che chiamò operanti verbali: MAND, TACT, INTRAVERBAL, ECHOIC, TEXTUAL E TRANSCRIPTION

I programmi di Verbal Behavior sono importanti per l’insorgenza di:

  • Linguaggio spontaneo;
  • Risposta alle domande;
  • Denominazione;
  • Risposta alle istruzioni;
  • Utilizzo di capacità visive;
  • Utilizzo di capacità imitative.

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Denver Model

I cosiddetti “approcci evolutivi” si basano sullo sviluppo delle abilità sociali pre-verbali come base per lo sviluppo delle altre aree di sviluppo. Elementi-chiave di questo approccio sono lo sviluppo della reciprocità sociale nel bambino, attraverso l’insegnamento di comportamenti come l’attenzione condivisa, l’imitazione del gioco (prima funzionale e poi simbolico) e la condivisione dell’affetto all’interno di sequenze di gioco basate sull’iniziativa del bambino 138.

Il Modello Denver ebbe inizio nel 1980 come programma d gruppo per bambini in età prescolare, fondato sullo sviluppo e rivolto a bambini piccoli con autismo, di età compresa tra 24 e 60 mesi. Il programma considerava l’autismo principalmente come un disturbo dello sviluppo socio-comunicativo. Enfatizzava in primo luogo le interazioni vivaci e dinamiche in cui fosse implicate espressioni emotive forti e positive che portassero i bambini a ricercare i partner sociali per partecipare ad attività gradite 139.

Il presente modello tiene conto dell’importanza della relazione e degli affetti positivi per la promozione dello sviluppo del bambino, per cui si basa sull’idea che il coinvolgimento affettivo sociale abbia un ruolo centrale. Il punto centrale è la famiglia, il suo scopo è invece la promozione della partecipazione alla relazione sociale del bambino.

Il modello sostenuto da Sally Rogers (Rogers et al., 2000) utilizza strategie che rientrano nell’”approccio evolutivo”. In particolare, viene enfatizzato il ruolo del gioco, inteso come modalità di apprendimento che può promuovere:

  • processi di assimilazione e generalizzazione di una serie di pattern cognitivi, comunicativi e linguistici;
  • potenziamento delle relazioni sociali attraverso l’adulto, che si fa promotore di relazioni e facilita quelle tra pari;
  • sviluppo di affetti positivi, che vengono stimolati nel bambino per renderlo più motivato all’interno delle attività psicopedagogiche;
  • sostegno della comunicazione, che viene elicitata e potenziata sia a livello che non verbale;
  • sviluppo del pensiero simbolico attraverso attività di gioco;
  • ricorso a routine ed ambienti strutturati, che forniscano una sorta di regolazione esterna.

In effetti, tale modello, nata nell’ambito di un’esperienza pilota in un’unità operativa specifica, è stato dal 1998 implementato nei contesti naturali della famiglia e della scuola al fine di apprendere le modalità interattive e di generalizzazione degli apprendimenti acquisiti, in modo naturale e a partire dai propri pari, sia in ambito familiare che riabilitativo140.

Il Modello Denver prevede un Curriculum specifico e individualizzato nel quale sono racchiusi gli obiettivi che devono essere raggiungi in 12 settimane di lavoro e che include sei aree dello sviluppo:

  1. La comunicazione;
  2. L’interazione sociale;
  3. Il gioco;
  4. Lo sviluppo cognitivo;
  5. Le abilità motorie;
  6. Le autonomie.

Il singolo obiettivo viene diviso in 4-6 fasi nelle quali la prima è l’obiettivo che è stato raggiunto mentre l’ultima è l’obiettivo da raggiungere, le fasi intermedie riguardano invece le tecniche di insegnamento.

Ogni attività dura 2-4 minuti. Per raggiungere e mantenere il comportamento target l’operatore oltre al rinforzo sociale utilizza anche altri tipi di rinforzo, il che è un elemento di sovrapposizione tra il modello evolutivo e quello comportamentale.

Il Denver Model è sovrapponibile all’ABA Naturalistico in quanto entrambi cercano di partire da ciò che è gradito al bambino per inserirlo nella catena di rinforzi da adottare, la differenza sostanziale è però che il rinforzo è adoperato in maniera meno rigida ed infatti viene elicitato nei bambini in cui la diagnosi è di rischio, in età prescolare.

L’Early Start Denver Model è stato creato per offrire un intervento precoce intensivo e globale per bambini, già a partire dai 12 mesi di età. Si tratta di un’estensione dell’originario Modello Denver che è stato sviluppato nei primi anni 2000 alla University of Washington da una collaborazione tra Sally Rogers e Geraldine Dawson.

L’ESDM integra gli elementi dell’analisi applicata del comportamento e delle teorie dello sviluppo. Il programma si basa sul parent training e mira ad insegnare ai genitori strategie specifiche che promuovano nel bambino l’interazione affettiva, la reciprocità sociale, lo sviluppo di attenzione condivisa e imitazione, l’uso intenzionale e comunicativo di gesti e parole e il gioco funzionale e simbolico 141.

Nell’ESDM l’autismo è considerato come un disturbo evolutivo che colpisce tutti i domini dello sviluppo. Il curriculum, dell’ESDM si basa sulla scheda di valutazione del programma educativo, nella quale si trovano un elenco di abilità specifiche poste in una sequenza evolutiva nell’ambito delle seguenti aree: la comunicazione recettiva, la comunicazione espressiva, l’attenzione condivisa, l’imitazione, le abilità sociali, le abilità di gioco, le abilità cognitive, le abilità motorie fini, le abilità motorie grossolane e le abilità di autonomia.

L’intervento inizia con la valutazione del livello attuale di abilità del bambino nelle aree definite dalla scheda di valutazione e sula base dei risultati ottenuti vengono fissati gli obiettivi di apprendimento che dovranno essere raggiunti nell’arco di 12 settimane, al termine delle quali sarà effettuata una nuova valutazione e verranno scritti nuovi obiettivi per le 12 settimane seguenti, e così via.

L’insegnamento dell’ESDM è realizzato tramite attività di gioco, ha molteplici obiettivi in numerosi domini di sviluppo e procede con un ritmo molto rapido. Questo fa sì che gran parte dell’insegnamento avvenga durante una tipica attività di gioco e risulti un uso efficiente del tempo di insegnamento del terapista e del tempo di apprendimento del bambino.

L’ESDM utilizza un insieme di pratiche di insegnamento e procedure provenienti da tre tradizioni di intervento: ABA, PRT e Modello Denver 142.

INDICE

La Comunicazione Aumentativa Alternativa

La comunicazione è stata descritta come la principale area di difficoltà delle persone con autismo. Di fatto, dal 30 al 50% di esse non sviluppano abilità di linguaggio sufficienti a fronteggiare le esigenze quotidiane più semplici (National Reserch Council, 1999). Le prime difficoltà si rendono evidenti verso i 6 mesi, si manifestano con una carenza di comportamenti prelinguistici, come creare un contatto oculare, condividere le esperienze e avere un’attenzione congiunta con la persona che si prende cura del bambino. Inoltre, molte persone con autismo hanno difficoltà a sviluppare un linguaggio simbolico; hanno difficoltà a “leggere” i sottili indizi non verbali che provengono dagli altri 143.

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è un sistema multimodale che integra gli atti della comunicazione, accresce l’intenzionalità comunicativa e fornisce uno strumento di sostituzione alla comunicazione verbale. Nella CAA sono incluse tutte quelle modalità di comunicazione che possono facilitare e migliorare la comunicazione di tutte quelle persone che hanno difficoltà ad utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e la scrittura (www.isaacitaly.it).

La CAA utilizza espressioni facciali, gesti o segni, simboli o immagini, scrittura manuale o al computer. Le persone con gravi disturbi del linguaggio o ritardo del linguaggio si affidano a strategie di CAA per integrare, incrementare e potenziare il linguaggio parlato e per avere un’alternativa alla comunicazione tradizionale quando questa è deficitaria. Gli studi dimostrano che l'uso della CAA non ostacola lo sviluppo del linguaggio; anzi può risultare in un aumento della produzione del linguaggio verbale vocale (Schlosser e Sigafoos 2003; Schlosser e Wendt 2008). Pertanto le strategie di CAA sono utilizzate per migliorare la comunicazione e gli utenti non dovrebbero smettere di usare un linguaggio vocale se sono in grado di farlo144. La CAA è uno strumento efficace che può fornire alle persone con autismo il mezzo per avviare una conversazione funzionale spontanea: per esprimere ciò che vogliono e sentono. In questo modo, il mondo, per loro, può diventare un posto più attento, gentile e amichevole.

Autismo

CAA

Apprendimento visivo

La CAA usa stimoli visivi.

Interesse per gli oggetti inanimati

Gli strumenti e i dispositivi di CAA sono inanimati.

Difficoltà con gli stimoli complessi

Il livello di complessità può essere adattato in modo da crescere insieme alle capacità del bambino.

Difficoltà con i cambiamenti

La CAA è statica e prevedibile.

Problemi a gestire la complessità delle interazioni sociali

La CAA fornisce un’interfaccia tra i partner di comunicazione.

Difficoltà nella programmazione motoria

Dal punto di vista motorio, la CAA è più semplice del linguaggio verbale.

Ansia

Gli interventi di CAA non creano pressione o stress.

Problemi di comportamento

La CAA fornisce un mezzo istantaneo di comunicazione, prevenendo i comportamenti problema.

Difficoltà di memoria

La CAA fornisce un mezzo per la comprensione del linguaggio che si basa sul riconoscimento piuttosto che sulla memoria.

CAA e Autismo: un abbinamento perfetto 145.

L’obiettivo della CAA è quello di studiare e fornire soluzioni che facilitino da subito l’interazione tra bambino ed ambiente. Chiarificare l’ambente vuol dire informare la persona su spazio, tempo e materiali utilizzati per svolgere l’attività. Per fare questo esistono diversi strumenti visivi che sono:

  • Agende o calendari visivi: che servono per scandire visivamente le attività nel corso della giornata (agenda) o della settimana (calendario), in modo tale che il bambino sia sempre informato su ciò che deve fare e riesce ad essere più autonomo.
  • Strutturazione dei materiali: che serve per chiarificare lo spazio, rendendolo maggiormente accessibile al bambino tramite la delimitazione dello spazio con scatoline di diversi colori, nastro adesivo eccetera.
  • Task Analysis: che sono delle sequenze di azioni da compiere per completare un’attività. Viene descritta visivamente la sequenza delle azioni da compiere per il completamento dell’attività prevista.
  • Istruzioni per le autonomie: sono delle tabelle dove vengono inserite le immagini di riferimento sulle azioni da campiere, a differenza della Task Analysis, che contiene le singole azioni per arrivare al compito finale, le istruzioni per le autonomie sono un insieme di compiti che il bambino deve svolgere in sequenza.
  • Etichette: che sono delle etichette che vengono attaccate su sportelli o frigo o in altri ambienti per renderli più chiari al bambino e per renderlo maggiormente autonomo.
  • Tabelle delle scelte: dove si inserisce la possibilità di scegliere tra varie proposte disponibili fornendo un rinforzo immediato.
  • Regole: tabelloni per visualizzare le regole da usare in quel determinato ambiente.

Strutturare gli ambienti è fondamentale per i bambini con autismo in quanto permette loro di avere una maggiore chiarezza, prevedibilità e certezza dello spazio che li circonda.

Una delle procedure di insegnamento più comunemente usate dalla CAA è il sistema di scambio della figura (Picture Exchange Communication System = PECS). Inizialmente sviluppato nel 1985 da Andy Bondy, PhD e Lori Frost, CCC / SLP, PECS è un sistema di comunicazione aumentativa alternativa per insegnare a bambini e adulti con autismo e deficit di comunicazione ad intraprendere uno scambio comunicativo. Il PECS è un approccio che comporta insegnare a comunicare attraverso lo scambio di immagini/simboli con l’oggetto desiderato. Importante è pero avere qualcosa da comunicare.

Il PECS si compone di 6 fasi:

  1. Fase I: come comunicare: si insegna al bambino a richiedere e si prende consapevolezza dell’atto dello scambio.
  2. Fase II: la distanza e la persistenza: gradualmente si allontana il libro nel quale sono inserite le immagini che il bambino deve usare; questa fase si può scambiare con la fase successiva.
  3. Fase III: la discriminazione tra immagini: si inserisce la figura distrattore, il bambino deve essere in grado di selezionare l’immagine dell’oggetto desiderato.
  4. Fase IV: la struttura della frase e l'espansione del linguaggio.
  5. Fase V: rispondere a domande.
  6. Fase VI: formulare commenti.

Anche se inizialmente erano emerse preoccupazioni sul fatto che il PECS avesse potuto ritardare o inibire lo sviluppo del linguaggio orale, una recente revisione di numerosi studi ha mostrato che il PECS invece favorisce e stimola la produzione verbale vocale (Sulzer-Azaroff et al. 2009; Ganz et al. 2012). Il sistema PECS può essere combinato anche con elementi dell’analisi comportamentale verbale e può essere utilizzato per insegnare gli operanti verbali a bambini non vocali146.

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I benefici dello sport nei disturbi dello spettro autistico - Introduzione

L’attività sportiva nei disturbi dello spettro autistico ha un grande potere educativo perché promuove il rispetto dell’altro, incentiva l’inclusione e limita l’isolamento e l’emarginazione sociale spesso presenti in questi ragazzi. Inoltre lo sport, inteso come attività grosso-motoria pianificata, strutturata e che richiede uno sforzo fisico può produrre benefici anche a livello psicologico 147.

Numerose ricerche hanno dimostrato che esiste una stretta correlazione tra sport e salute mentale e che praticare regolarmente un’attività fisica può portare benefici psicologici in individui a sviluppo tipico, con risultati statisticamente significativi (Fedewa e Ahn 2011). Tuttavia è ancora esiguo il numero di ricerche che indagano la correlazione tra sport e salute mentale in bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico.

Il coinvolgimento in attività sportive di bambini con disturbo dello spettro autistico risulta comunque importante in quanto questa patologia si presenta frequentemente in associazione con disturbi della motricità e della coordinazione. Secondo l’articolo pubblicato da Lai, Lombardo e Baron-Cohen nel 2014, fino al 79% delle persone con autismo presenta in comorbidità difficoltà motorie, come ritardo nello sviluppo psicomotorio, ipotonia, deficit di coordinazione o di pianificazione del movimento, disprassia e disturbi dell’equilibrio 148.

È stato dimostrato che gli individui con disturbo dello spettro autistico sono mediamente più sedentari rispetto agli individui a sviluppo tipico, con serie ripercussioni a livello medico (dal punto di vista cardiologico, pericolo di diabete, o obesità), soprattutto in età adulta (Feehan et al., 2012).

È importante sottolineare, inoltre, che gli interventi sportivi possono presentare numerosi vantaggi pratici, fornendo, ad esempio, occasioni di socializzazione e inclusione in contesti strutturati e protetti. Inoltre, la letteratura scientifica riporta dati significativi sulla riduzione dei comportamenti ripetitivi o stereotipati in seguito allo svolgimento di attività sportiva.

Per un individuo con autismo l’attività motoria può rappresentare, inoltre, un’importante occasione per lo sviluppo delle abilità funzionali, in particolare nelle aree che risultano maggiormente compromesse dal disturbo: l’area della comunicazione, dell’interazione sociale, degli interessi e del comportamento. L’educazione attraverso il gioco, il movimento, lo sport e l’attività in gruppo, offrono al bambino con autismo una concreta opportunità per acquisire precocemente, in contesti integrati, i presupposti fondamentali dell’intersoggettività primaria e secondaria, le categorie primarie di spazio e tempo, le regole sociali di base e i comportamenti più idonei nei diversi contesti. Attraverso queste attività è possibile, inoltre, apprendere competenze che possono essere messe in pratica nella vita quotidiana e che riguardano la conoscenza e la cura del proprio corpo, la gestione dell’ansia e dello stress e l’acquisizione di abilità di autonomia personale e di stili di vita salutari149.

Nonostante le ricerche siano ancora esigue, molti autori si sono interessati alla relazione tra sport e benessere psicofisico nei bambini con disturbo dello spettro autistico.

Nel 2006 Teri Todd e Greg Reid hanno pubblicato uno studio nel quale si analizzavano i benefici ottenuti facendo partecipare dei ragazzi con disturbo dello spettro autistico a due tipi di attività sportive: la ciaspolata in inverno e il jogging in primavera. L’intervento è durato sei mesi con la frequenza di due volte a settimana nelle quali tre ragazzi tra i 15 e i 20 anni con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico si sono cimentati in inverno con le ciaspolate e, quando la neve si è sciolta, con il jogging. A seguito di questo si è dimostrato che programmi sportivi che comprendevano automonitoraggio, guida verbale e rinforzo commestibile (sfumati nel corso del tempo), apportavano una maggiore partecipazione dei ragazzi con autismo alle attività sportive, una migliore forma fisica e un migliore funzionamento globale 150.

Nel 2011 Lucy E. Rosenblatt e collaboratori hanno effettuato un altro studio nel quale indagavano i miglioramenti apportati dallo yoga in bambini con disturbo dello spettro autistico. Per svolgere questo studio sono stati reclutati 24 bambini di età compresa tra 3 e 16 anni con una diagnosi di ASD, i quali sono stati sottoposti ad un programma multimodale di 8 settimane durante le quali hanno praticato la danza, lo yoga e la musicoterapia. Al termine di queste settimane sono stati valutati tramite il The Behavioral Assessment System for Children, Second Edition (BASC-2) e il Aberrant Behavioral Checklist (ABC). Dall’analisi dei risultati sono stati riscontrati cambiamenti sostanziali sul BASC-2, principalmente per i bambini di età compresa tra 5 e 12 anni. Inaspettatamente, i punteggi post-trattamento sulla scala di atipicità del BASC-2, che misura alcune delle caratteristiche principali dell'autismo, sono cambiati in modo significativo (p = 0,003); per cui si è ipotizzato che lo yoga ha apportato significativi miglioramenti nel funzionamento globale dei bambini con ASD151.

Un gruppo di ricercatori canadesi a Gennaio 2016 ha pubblicato sulla rivista “Autism” una revisione sistematica della letteratura con l’obbiettivo di esaminare quale impatto avessero specifici interventi sportivi sul comportamento di bambini e adolescenti con ASD, di età compresa tra 0 e 16 anni. A seguito di una vasta ricerca, 13 studi sono stati ritenuti scientificamente ammissibili per l’inclusione. Gli sport presi in esame sono stati cinque: la corsa, l’equitazione, le arti marziali, lo yoga e la danza, il nuoto, praticati nella maggior parte delle ricerche in un rapporto di 1:1 con un istruttore, mentre in altri studi veniva garantito un rapporto di 1:2 tra istruttore e bambino o ragazzo con ASD. Gli “out come” presi in esame riguardavano complessivamente tre distinte categorie:

  • comportamenti stereotipati e ripetitivi
  • cognizione, livello di attenzione, performance accademica
  • comportamento socio-emotivo (es: capacità adattive, sociali e comportamenti- problema).

Complessivamente è stato dimostrato che i principali miglioramenti comportamentali derivavano dalla pratica delle arti marziali e degli interventi di equitazione, mentre si sono dimostrati più limitati gli effetti dello yoga/danza e del nuoto. Anche la corsa è risultata abbastanza efficace nel modificare positivamente alcuni “outcome” comportamentali, seppur con risultati scientificamente poco attendibili e generalizzabili, a causa di importanti limiti metodologici presenti negli studi presi in esame. Nello specifico, i comportamenti stereotipati e ripetitivi presentavano una riduzione con un intervento sportivo di corsa, equitazione o arti marziali, mentre benefici significativi erano riscontrati sulla componente socio-emotiva dopo la pratica di corsi di equitazione, arti marziali, yoga/danza e nuoto. Inoltre gli autori evidenziavano che i processi cognitivi e i livelli attentivi risultavano positivamente correlati solo all’attività della corsa 152.

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Le discipline nelle quali è stata sperimentata la neurodiversità

Lo sport è riconosciuto dal mondo medico-scientifico come un efficace strumento riabilitativo e terapeutico per tutte le persone con disabilità psico-affettive e relazionali. Una moderata attività fisica per i bambini con autismo incrementa le capacità attentive; favorisce l’acquisizione della capacità di finalizzare il comportamento al compito e di rispondere correttamente alle richieste; infatti vi sono diverse discipline sportive nelle quali sono stati coinvolti anche bambini con disturbo dello spettro autistico.

Se si tiene conto di uno dei sintomi centrali dell’autismo, ovvero compromissione delle abilità di comunicazione e di interazione sociale, viene automatico pensare che potrebbero esserci degli sport che possono risultare difficili per i bambini con autismo, specialmente quelli in squadra. Ciò non significa che i bambini autistici debbano stare lontani dall’attività fisica, ma è importante aiutare il bambino a scegliere gli sport che è probabile che apprezzino. L’autismo crea sfide specifiche quando si tratta di sport, ma apre anche alcune interessanti possibilità.

Individuare la migliore attività sportiva in cui inserire un bambino con disturbo dello spettro autistico, è complessa perché si basa su una delicata combinazione tra le caratteristiche del disturbo, le peculiarità individuali del bambino, gli aspetti tipici dell’attività sportiva e le necessità organizzative, economiche ed emotive dei genitori.

È probabile che gli sport di squadra non siano di facile pratica per i bambini con disturbo dello spettro autistico in quanto:

  • Giocare a sport di squadra richiede abilità di comunicazione sociale avanzate. L’autismo è un disturbo in cui tali capacità sono compromesse. Quindi può essere difficile per i bambini autistici inserirsi in un team, comunicare bene con i compagni di squadra o prevedere ciò che un altro membro di questa è probabile che faccia.
  • Gli sport di squadra che richiedono la gestione di una palla richiedono anche un alto livello di forza e coordinazione. L’autismo spesso si accompagna con un tono muscolare abbassato e problemi di coordinazione; di conseguenza, i bambini autistici possono avere difficoltà a giocare bene.
  • Gli sport di squadra sono spesso praticati in ambienti molto caldi o freddi, rumorosi o luminosi. La maggior parte dei bambini con autismo ha problemi sensoriali che rendono difficile gestire rumori forti, luci intense e temperature estreme. Il risultato può essere un bambino molto infelice o addirittura poco collaborativo.

Infatti in uno studio condotto da Michelle Sowa e Ruud Meulenbroek nel 2012 ha evidenziato un miglioramento maggiore del funzionamento globale dei bambini con disturbo dello spettro autistico negli interventi individuali piuttosto che in quelli di gruppo 153.

Non tutti gli sport di squadra richiedono comunicazione e cooperazione ad alti livelli. Alcuni sport di squadra, infatti, potrebbero essere ideali per un bambino con ASD:

  • Il nuoto è uno sport che crea sensazioni meravigliose per la maggior parte dei bambini con ASD; infatti le proprietà fisiche positive dell’acqua, come la galleggiabilità e la pressione idrostatica, permettono di attenuare l’ipersensorialità e di ridurre la resistenza muscolare e cardiorespiratoria, con un conseguente rilassamento. Inoltre il nuoto richiede abilità grosso- motorie, per cui è particolarmente adatto per quei bambini che hanno difficoltà nella motricità fine. Infine non richiede competenze comunicative elevate, perché pur essendo uno sport individuale può offrire ai bambini la possibilità di svolgere l’attività all’interno di un gruppo.
  • L’atletica leggera è uno sport particolarmente indicato per i bambini con ASD che presentano iperattività o alti livelli di energia. Può sembrare uno sport individuale, tuttavia prevede sessioni di gruppo (ad esempio la staffetta) e molti momenti di attesa in fase di pre gara e defaticamento. Per tali ragioni è plausibile connotare l’atletica come un’attività gruppale. È ideale per sviluppare capacità di pianificazione motoria, strategia, concentrazione e coordinazione fisica fine e grossolana.
  • Per i bambini con ASD la scherma risulta particolarmente adatta in quanto sviluppa le capacità metacognitive: la strategia di combattimento pone sempre lo schermidore nelle condizioni di cercare di capire le intenzioni dell’avversario e di trovare le soluzioni ottimali per mettere a segno la stoccata, ed è quindi eccellente per sviluppare le abilità metacognitive, come ad esempio la «teoria della mente», particolarmente deficitaria nei bambini con disturbo dello spettro autistico. Inoltre gli istruttori possono proporre giochi visuo-percettivi con la spada che allenano e sviluppano anche la motricità fine. Infine può essere classificato come uno sport di squadra sia per le modalità di combattimento sia per la strutturazione delle attività.
  • Per quanto riguarda la danza, esiste una vera e propria terapia chiamata “danzaterapia” che mira ad aumentare la potenzialità espressiva del linguaggio corporeo, favorendo così un’armonica integrazione tra il corpo e la mente. La danzaterapia può essere utile nei soggetti autistici perché migliora le abilità sociali, insegna un nuovo metodo di comunicazione e permette di avere dei movimenti più coordinati e fluidi.

Negli ultimi anni sono stati sperimentati per bambini con disturbo dello spettro autistico anche sport prettamente di squadra come il calcio e il rugby. Entrambi gli sport hanno migliorato il funzionamento globale dei bambini con disturbo dello spettro a utistico.

Per quanto riguarda il calcio Alberto Cei ha pubblicato nel 2016 gli esiti della sua ricerca nell’ambito del progetto “Calcio Insieme”, che è un progetto promosso e supportato dalla Fondazione Roma Cares Onlus, legata al più ampio contesto di responsabilità e sostenibilità sociale della AS Roma e dalla Asd Accademia Calcio Integrato, il cui obiettivo è lo sviluppo di una cultura dell’integrazione e dell’educazione ai valori dello sport attraverso il gioco del calcio. Dagli esiti di questa ricerca si evince che tramite un intervento sportivo naturalistico basato sul gruppo come il calcio i problemi comportamentali si sono ridotti, diminuendo i movimenti stereotipati e i comportamenti di auto-stimolazione e, inoltre, sono migliorante anche le abilità comunicative e sociali e la motricità dei bambini con autismo 154.

Il calcio è assai adatto per bambini con disturbi della comunicazione e disturbi da tic poiché migliora l’immagine del sé, agendo quindi sulla sintomatologia spesso presente in comorbidità 155.

Se il bambino con ASD mostra particolare resistenza ad accettare la cooperazione con i compagni di squadra o mostra eccessiva irritabilità dalla competizione sportiva, bisogna pensare a uno sport individuale:

  • L’equitazione rappresenta uno sport particolarmente indicato per i bambini che sono abituati al contatto con la natura e gli animali. Per i bambini con ASD che manifestano iperattività, lo spazio aperto consente di esprimere la sintomatologia in maniera più funzionale e compatibile con l’ambiente. Nel 2009 Bass e colleghi hanno valutato gli effetti di un programma di equitazione sul funzionamento sociale di 19 bambini con disturbo dello spettro autistico, comparati a 15 bambini inclusi in un gruppo di controllo in attesa di effettuare il trattamento durante le 12 settimane di sperimentazione. I risultati hanno dimostrato un incremento delle abilità sociocomunicative dei bambini, con una maggiore motivazione sociale, minore sedentarietà e miglioramenti in alcuni comportamenti problema come la disattenzione e la distraibilità156. In seguito Kern e colleghi hanno evidenziato come un programma di attività assistita con i cavalli determini benefici sia sulla persona autistica sia sulla qualità della vita dell’intera famiglia, con un miglioramento delle interazioni genitore-bambino157.
  • L’arrampicata è uno sport prettamente individuale che non richiede alcun impegno di squadra né interazioni sociali specifiche e risulta particolarmente indicato nei bambini con ASD e per coloro che non presentano fobie specifiche legate all’altezza. Si tratta inoltre di uno sport molto intuitivo, con regole semplici (scalare le pareti). Dal punto di vista motorio sono implicate capacità di pianificazione e coordinazione dei movimenti.
  • Per quanto riguarda il ciclismo, i bambini con ASD possono presentare difficoltà di coordinazione, per cui questa disciplina potrebbe sembrare complicata per un bambino che presenta deficit motori. Tuttavia, uno studio condotto da Shim, Peterson e Turbes nel 2016 ha rilevato che i bambini con ASD erano in grado di migliorare significativamente la loro stabilità fisica con un allenamento costante su una bici senza ruote. Lo studio ha coinvolto 8 bambini con disturbo dello spettro autistico di età compresa tra i 6 e 10 anni che non avevano mai praticato ciclismo. Il programma prevedeva un allenamento di un’ora al giorno, tre volte alla settimana per cinque settimane. Durante lo studio, i bambini sono stati regolarmente esaminati per analizzare i cambiamenti nelle loro capacità fisiche, come la coordinazione motoria e l’equilibrio. I risultati indicano un miglioramento nella motricità fine e nella coordinazione motoria. Tuttavia se il bambino con ASD è motivato verso questa attività sportiva ma trova molte difficoltà ad andare in bici, potrebbe essere utile utilizzare una bicicletta con le ruote (come per esempio il tandem o un triciclo)158.
  • Per molte persone con autismo, la pace e la tranquillità del mondo naturale è un grande antistress. L’escursionismo, che può essere un’attività individuale o di gruppo, è un modo semplice per fare esercizio e godersi la natura senza la pressione di un’intensa comunicazione sociale. La pesca è un altro sport che può essere di interesse per un individuo autistico che gode del mondo naturale.
  • Le arti marziali (karate, judo, taekwondo, aikido e altro) combinano gli elementi di prevedibilità e struttura con le sfide dell’interazione fisica con altre persone. Per molti bambini con autismo, le arti marziali sono, quindi, un modo per costruire abilità fisiche insieme all’autostima. Inoltre, la pratica delle arti marziali da parte di bambini con ASD è associata sia ad una riduzione dei comportamenti ripetitivi e stereotipati sia ad un miglioramento negli aspetti socioemotivi.

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Riduzione dei modelli di comportamento e attività ristrette e stereotipate

I comportamenti stereotipati più comuni sono il movimento oscillatorio delle mani, il cenno del capo o lo scuotimento delle braccia, le corse improvvise, l’oscillazione del corpo avanti e indietro, la manipolazione ripetuta di oggetti e i movimenti delle dita, che si distinguono dalla loro significativa interferenza nelle interazioni sociali e nell'apprendimento durante l'infanzia. Questi movimenti sono involontari, con la funzione esclusiva di produrre autoregolazione fisica e sensoriale, limitando l'interazione dell'individuo con l'ambiente. Tali comportamenti sembrano insoliti o strani alle persone, ma sono caratteristici degli individui con ASD e non causano alcun danno fisico.

Come detto l’attività fisica è fondamentale negli individui con disturbo dello spettro autistico perché apporta notevoli miglioramenti al funzionamento di questi bambini. Una delle aree maggiormente potenziata dall’attività fisica è l’area dei repertori di movimenti ristretti e stereotipati. Infatti l’esercizio fisico aiuta a tenere sotto controllo molti tipi di comportamento stereotipato, riducendolo notevolmente. Questo consente di implementare nei bambini con autismo una qualità di vita migliore, di promuovere il benessere fisico ed un vivere sociale al quale hanno diritto.

A tal proposito Christopher Petrus e collaboratori nel 2009 hanno svolto una revisione sistematica nella quale analizzavano tutti gli studi dal 1980 al 2007 nei quali era stata indagata la riduzione dei comportamenti ripetitivi e stereotipati a seguito dello svolgimento di attività sportive. Da questa revisione si evince che il comportamento stereotipato dei bambini con ASD diminuisce in seguito ad esercizio fisico, ma il calo non è permanente: questi comportamenti si riducevano nel breve tempo, ovvero poco dopo lo svolgimento dell’attività, mentre successivamente tornavano ai livelli iniziali. Inoltre, è stata evidenziata una riduzione maggiore di questi comportamenti a seguito di un intervento aerobico di maggiore intensità 159.

Per dare spiegazione al perché effettivamente questi comportamenti si siano ridotti tramite l’attività sportiva bisogna prendere in considerazione due studi: la revisione sistematica svolta da Russell Lang e collaboratori nel 2010 e la revisione sistematica con meta-analisi svolta da Josè Pedro Ferreira e colleghi nel 2019. In entrambe le revisioni gli studiosi sostengono che la riduzione dei comportamenti stereotipati e ripetitivi sia dovuta al fatto che la stimolazione ricevuta da questi sia simile a quella ricevuta dalle attività fisiche quindi i bambini non hanno più necessità di compiere stereotipie per essere rinforzati 160.

Dalla revisione di JP. Ferreira emergono, inoltre, altre due ipotesi che possono fornire una motivazione alla riduzione dei comportamenti stereotipati:

  1. Questi comportamenti sarebbero legati al modello del comportamento disordinato dalla teoria della stimolazione e dalla teoria omeostatica;
  2. Vengono identificate delle ragioni neurochimiche basate su livelli anormali di serotonina e dopamina in individui con autismo e la loro associazione con l'esercizio fisico nel mantenimento di comportamenti stereotipati, in particolare in situazioni di disturbo del metabolismo della serotonina e della dopamina come nel caso dell'iperseretoninemia.

Inoltre, viene confutata l’ipotesi secondo cui l’esercizio fisico riduce i comportamenti stereotipati solo per il lasso di tempo successivo all’allenamento; questo avviene tramite l’analisi dello studio di Baharami e collaboratori che hanno analizzato i comportamenti ripetitivi dei bambini dopo 30 giorni di inattività e hanno dimostrato che la stereotipia è rimasta significativamente inferiore rispetto al tempo pre-intervento161.

L’attività fisica aiuta il bambino autistico ad avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo e di questo in rapporto all’ambiente, per cui diventa maggiormente in grado di utilizzarlo, anticipando gli eventi e pianificando strategie alternative alle stereotipie; gli sport dai quali il bambino riesce ad avere maggiori miglioramenti sono le arti marziali, la corsa e l’equitazione162.

INDICE

Maggiore comunicazione e interazione sociale

L'autismo è stato a lungo descritto come un disturbo della socialità. Nella sua riclassificazione della demenza precoce in schizofrenia un secolo fa, Eugen Bleuler evidenziò un "ritiro [a]utistico". Successivamente, Leo Kanner ha definito "autismo infantile" un disturbo con "tendenze all'astinenza". Bettelheim nella sua opera “The Empty Fortress” ha successivamente articolato l'autismo come un confine altamente vincolante al mondo sociale "esterno". Si presumeva che le persone affette da questa condizione fossero prive di esperienza interiore; che fossero incivili, incolte e non comunicative, poiché erano incapaci di avere relazioni intersoggettive. L'emergere dell'autismo come categoria psichiatrica più diffusa negli anni '80 dipendeva dalla visione dell'individuo (neurologico) come luogo della socialità. Il discorso scientifico e pubblico contemporaneo sull'autismo spesso inquadra le persone a cui è stata diagnosticata questa condizione come limitate nelle loro capacità di relazioni intersoggettive ed empatia. In molti scritti e ricerche neuroscientifiche sull'autismo, possiamo vedere che l'intersoggettività è stata inquadrata esclusivamente come un processo di rappresentazione cognitiva astratta. In uno studio svolto da Roslyn Malcolm, Stefan Ecks e Martyn Pickersgill nel 2017 sugli effetti dell’equitazione sui bambini con disturbo dello spettro autistico è stato indagato proprio l’aspetto empatico della socializzazione; lo studio aveva come scopo quello di analizzare il pensiero che i genitori e gli istruttori dei bambini autistici avevano sui benefici ottenuti tramite l’equitazione. Un’istruttrice ha sostenuto “Apre semplicemente il loro mondo”: il cavallo, infatti, si pone come tramite per aiutare i giovani cavalieri autistici ad avere una 'forma di vita' più funzionale e per capire come entrare in empatia con gli altri. Per dare spiegazione al fatto che i bambini con autismo dopo essere stati a cavallo riuscivano a parlare e comunicare maggiormente sono state individuate tre ipotesi:

  1. Il cavallo forniva ai bambini un’esperienza sensoriale diversa dal solito, potevano comunicare con il linguaggio del corpo, possono comunicare con i cavalli senza dover parlare.
  2. Il cavallo ha un movimento ritmico e specifico che dona ai bambini un senso di tranquillità.
  3. Il cavallo era affidato a ciascun bambino in base alla sua “personalità”, in modo tale da mettere in sintonia le esigenze individuali dei cavalieri con le personalità dei singoli cavalli: per esempio ad un bambino ipersensoriale veniva dato un cavallo più tranquillo 163.

Molto spesso è stato proposto di utilizzare gli animali nel percorso riabilitativo dei bambini con autismo per ridurre i comportamenti problematici e migliorare il funzionamento. Le prove di efficacia per gli interventi assistiti dagli animali (AAI) sono limitate; tuttavia, è stato ipotizzato che gli animali nelle strutture sanitarie producano esperienze di rilassamento sensoriali che consentono ai bambini di gestire meglio gli eventi stressanti e di impegnarsi in comportamenti prosociali. Gli studi hanno citato riduzioni dei livelli di ormone dello stress (cioè cortisolo) nei bambini con ASD a seguito di interazioni con cani guida, e anche in una popolazione infantile generale a seguito di un intervento con i cavalli. La popolazione ASD ha un particolare bisogno di interventi che mirino alla riduzione dei comportamenti disadattivi legati allo stress e al miglioramento del funzionamento della comunicazione sociale. Nella sua revisione completa O'Haire (2013) sulle AAI rivolte a individui con ASD ha identificato solo 14 studi dal 1840 al 2011, con interventi che includevano intenzionalmente un animale vivo. In questi studi, i risultati hanno indicato miglioramenti nelle capacità di comunicazione dell'interazione sociale, nei comportamenti e nei livelli di stress, anche se i metodi di intervento e i tipi di animali variavano (ad esempio, cani, porcellini d'India, lama, conigli, cavalli).

Temple Grandin, afferma che un elemento chiave dell'equitazione che l'ha aiutata a ridurre i sentimenti e i comportamenti legati all'ansia è la relazione di attenzione reciproca/congiunta, o "lavoro di squadra", che si instaura tra il cavaliere e il cavallo e la sensibilità intuitiva e la reattività del cavallo rispetto alle emozioni al cavaliere.

A tal proposito un altro studio che indaga gli effetti dell’equitazione sui bambini affetti da disturbo dello spettro autistico è quello svolto da Robin L. Gabriels e collaboratori nel 2015; l’obiettivo di questo studio randomizzato era valutare se l’equitazione terapeutica potesse influenzare miglioramenti significativi sulle misure di autoregolazione, comunicazione, comportamenti sociali, adattivi e motori in bambini e adolescenti con diagnosi di ASD. I risultati di questo studio suggeriscono miglioramenti significativi nell’ambito dell’irritabilità e iperattività e nella socialità e comunicazione. La prima ipotesi che è stata fatta per dare spiegazione a questi miglioramenti è che cavalcare e lavorare insieme al cavallo per impegnarsi in attività terapeutiche di equitazione implichi un'esperienza di attenzione congiunta non verbale o di attenzione condivisa che può essere la base per migliorare i comportamenti e le abilità di comunicazione sociale nei bambini con ASD. Una seconda ipotesi è che l'esperienza uomo-equino (cioè il calore del corpo del cavallo e il movimento ritmico della cavalcata) promuova un contesto rilassante, che può avere un effetto calmante sui bambini con ASD e che, quindi, vada a ridurre i sintomi del disturbo 164.

Oltre agli interventi assistiti dagli animali son state sperimentate altre pratiche sportive che hanno migliorato la comunicazione e l’interazione sociale nei bambini con disturbo dello spettro autistico.

Nel 2016 Malin K. Hildebrandt e colleghi hanno studiato gli effetti che aveva la danza nei bambini con disturbo dello spettro autistico. In questo studio le sessioni di allenamento si sono svolte principalmente basandosi sul deficit dell’interazione e comunicazione nei bambini affetti da ASD, per cui in ogni occasione i bambini sono stati incoraggiati a comunicare. Gli studiosi si sono focalizzati principalmente sulla filosofia del corpo, ovvero sul fatto che l’esperienza del mondo avviene attraverso la percezione e il movimento. I risultati ottenuti hanno dimostrato che la danza apporta benefici alla comunicazione e all’interazione sociale, in quanto i bambini prendono maggiore consapevolezza dell’altro. Inoltre, la danza ha affetti positivi anche sul contatto oculare, sulla consapevolezza del sé e del proprio corpo 165.

Successivamente nel 2018 Mengxian Zhao e Shihui Chen in Cina hanno sperimentato gli effetti positivi ottenuti da un programma di attività fisica strutturata in bambini affetti da disturbo dello spettro autistico. I risultati dello studio hanno indicato che il programma strutturato di attività fisica ha avuto un'influenza positiva sulle abilità sociali, sulla cooperazione e sull’autocontrollo dei bambini con ASD e ha migliorato i loro punteggi di abilità sociali complessivi nei test. Una possibile spiegazione dell'efficacia del programma di attività fisica sull'interazione sociale è stata che l'attività fisica è stata considerata il contesto naturale per promuovere interazioni sociali positive per i bambini con ASD. Potrebbe fornire un ambiente naturale per costruire relazioni tra i partecipanti, aumentare le opportunità di interazione e offrire un buon approccio per impegnarsi in giochi cooperativi o collaborazioni per il lavoro di squadra e presentare maggiori opportunità di comunicare con gli altri, tutti vantaggiosi per l'interazione sociale 166.

INDICE

Inclusione

Fino ad ora si è affrontato l’aspetto dell’inclusione del bambino con disabilità principalmente in ambito scolastico e sociale, sottolineando spesso come tale aspetto possa essere esteso anche in ambiente sportivo: non c’è dubbio, infatti, che lo sport abbia una valenza formativa per ogni persona di ogni età e in ogni condizione. Ridurre lo sport a mera pratica agonistica costituisce un pregiudizio che lo confina solo a professionisti o ad agonisti e lo allontana da tutti gli altri: o sei un atleta o resti uno spettatore. A maggior ragione, considerare lo sport solo come agonismo lo priva delle potenzialità formative: in quest’ottica bisognerebbe allora escludere non solo le persone diversamente abili, ma gran parte della popolazione, a cui resta solo la pratica sportiva di tipo preventivo o riabilitativo.

Negli ultimi decenni si è assistito ad una progressiva modifica del significato di sport facendone emergere sempre più il valore educativo-sociale, oltre che quello preventivo e riabilitativo, e ridimensionandone l’aspetto agonistico: tale modifica ha permesso l’accesso alla pratica sportiva a tutte le categorie sociali e a tutte le fasce di età. In questo panorama “lo sport, partendo da ciò che una persona è in grado di fare o dare, stimola la considerazione di sé e della propria esistenza”167.

È importante sottolineare cosa significa il termine “inclusione”: l’UNESCO che nel 2005 ha pubblicato il documento “Guidelines for Inclusion: Ensuring Access to Education for All” in cui viene chiarita la differenza tra integrazione ed inclusione nei sistemi educativi:

  • Il termine “integrazione” indica una situazione nella quale persone con bisogni diversi vengono inserite nello stesso sistema, senza che però venga apportato alcun cambiamento o adottato alcun accorgimento nell’organizzazione e nelle strategie di insegnamento.
  • L’“inclusione” invece è un approccio dinamico che mira a rispondere alle diversità e ai bisogni individuali di tutte le persone di qualsiasi età, individuando nelle differenze una ricchezza e non un ostacolo.

La partecipazione ad un’attività motoria e sportiva inclusiva consente di mettere in risalto le capacità di fare della persona con disabilità rendendola protagonista consapevole delle competenze motorie acquisite. Permette inoltre a ciascuno la più ampia forma di partecipazione ed inclusione, nel rispetto delle diversità altrui e senza forme di discriminazione. La possibilità di svolgere un’attività fisica o sportiva calibrata sulle loro esigenze permette alle persone con disabilità di partecipare attivamente ed essere incluse nella comunità, potendo godere a pieno del diritto di autodeterminazione, libertà di scelta, partecipazione ed inclusione, oltre ad abbattere gli stereotipi associati alla disabilità 168.

Sono ancora esigue le ricerche scientifiche che testimoniano l’importanza di un intervento sportivo per promuovere una maggiore inclusione sociale nei bambini con disturbo dello spettro autistico. Molto spesso capita che i limiti sociali, fisici, cognitivi o comportamentali portano le persone ad escludere coloro che soffrono di autismo da attività sportive o fisiche inclusive dalle quali potrebbero trarre benefici. Grazie all’interazione con bambini a sviluppo normotipico, i bambini con autismo possono avere forti miglioramenti nell’ambito relazionale e sociale: i bambini con autismo hanno il bisogno di creare amicizie e relazioni, ed è per questo che un maggior numero di interazioni con coetanei a sviluppo normotipico porta ad un maggiore coinvolgimento sociale; è un aspetto importante perché i progressi sociali ottenuti grazie all’attività inclusiva vengono mantenuti nel tempo. Inoltre, attraverso l’inclusione viene promosso un nuovo tipo di comunicazione nel quale il bambino con autismo deve imparare ad inserirsi.

Inoltre, le attività sportive favoriscono lo sviluppo armonico delle abilità motorie ed una maggiore consapevolezza del proprio corpo in relazione all’ambiente e in relazione agli altri, il che favorisce, in prima istanza, uno stile di vita salutare, ma anche una maggiore opportunità di inclusione nel gruppo dei pari e di un più efficace scambio relazionale, con conseguente acquisizione di competenze comunicative 169.

Di seguito è riportata una tabella con tutti gli studi presi in considerazione per questa revisione.

Riferimento autori

Teri Todd & Greg Reid

Christopher Petrus, Sarah R. Adamson, Laurie Block et al.

Russell Lang, Lynn Kern Koegel, Kristen Ashbaugh et al.

Lucy E. Rosenblatt, Sasikanth Gorantla, Jodi A. Torres et al.

Titolo

Increasing physical activity in individuals with Autism.

Effects of exercise interventions on stereotypic behaviours in children with autism spectrum disorder.

Physical exercise and individual with autism spectrum disorder: a systematic review.

Relaxation Response– Based Yoga Improves Functioning in Young Children with Autism: A Pilot Study.

Anno

2006

2009

2010

2011

Campione (età in anni)

15-20 anni. Terapia TEACCH

< 19 anni di età.

18 studi con 64 partecipanti con ASD.

24 bambini, 3-16 anni con ASD.

Frequenza e durata dell’intervento

Durata: 6 mesi (2 volte a settimana, 1 ora)

Sono stati analizzati gli studi pubblicati dal 1980 al 2007.

Analisi degli studi pubblicati dal 1974 al 2006.

Durata: 8 settimane.

Strumento e criterio considerato

Intervento: 3 steps: a. tabella di automonitoraggio, b. guida verbale c. rinforzo edibile. + fading. Programma: ciaspolate o passeggiate/jogging. I ricercatori e gli insegnanti aiutavano i partecipanti.

Criteri di inclusione: V.I.: Attività fisica V.D.: freq. Stereotipie < 19 anni con ASD. Per la valutazione qualità dello studio sono state utilizzate: - Scala di qualità AACPDM - Strumento di rilevanza clinica per i casi studio - Criteri di qualità, rigore e valutazione.

Criteri di inclusione: almeno 1 partec. con ASD V.D./V.I.: esercizio fisico, definito come movimento grosso- motorio ripetitivo che richiede uno sforzo fisico.

Design: Analisi che confrontava i punteggi pre e post trattamento su due misure standard dei problemi comportamentali dell'infanzia. Il risultato dello studio è stato misurato utilizzando The Behavioral Assessment System for Children, Second Edition (BASC-2) e Aberrant Behavioral Checklist (ABC).

Paese in cui è stato condotto lo studio

Canada

USA

 

USA

Risultati

Una maggiore attività fisica in individui con ASD comporta una migliore forma fisica e un migliore funzionamento generale.

Da questa revisione si evince che il comportamento stereotipato dei bambini con ASD diminuisce in seguito ad esercizio fisico, ma il calo non è permanente.

Miglioramenti nel comportamento (< aggressività/autolesi onismo e stereotipie) accademici (> quantità di tempo in attività), la forma fisica o aumento dell’esercizio fisico.

Lo yoga ha apportato significativi miglioramenti nel funzionamento globale dei bambini con ASD.

Riferimento

Autori

Michelle Sowa, Ruud Meulenbroek

M.P. Riccio, L. Croce et al.

Malin K. Hildebrandt, Sabine C. Koch, Thomas Fuchs.

Robin L. Gabriels, Zhaoxing Pan et al.

Titolo

Effects of physical exercise on Autism Spectrum Disorders: A meta-analysis.

Autism Spectrum Disorders and sports activity: swimming to rescue as implementation of skills.

“We Dance and Find Each Other”: Effects of Dance/Movement Therapy on Negative Symptoms in Autism Spectrum Disorder.

Randomized Controlled Trial of Therapeutic Horseback Riding in Children and Adolescents With Autism Spectrum Disorder.

Anno

2012

2016

2016

2016

Campione (età inanni)

133 persone con ASD.

18 bambini e adolescenti, 5-25 anni con ASD.

78 persone, 14-65 anni con ASD.

Bambini e adolescenti, 6-16 anni con ASD.

Frequenza e durata dell’intervento

Analisi degli studi pubblicati tra il 1991 e il 2011.

Il trattamento ha avuto inizio a ottobre 2015 ed è terminato a maggio 2016. Il corso è stato svolto con incontri settimanali della durata di 60 minuti.

Durata: 2 anni suddivisi in tre cicli di terapia.

I bambini sono stati sottoposti ad un intervento settimanale della durata di 45 minuti per 10 settimane consecutive.

Strumento e criterio considerato

Criterio di inclusione: (1) gli studi pubblicati tra il 1991 e il 2011; (2) bambini o adulti con ASD; (3) sperimentare l’esercizio fisico; (4) gli effetti comportamentali quantitativi Gli effetti delle attività sono stati per lo più misurati nelle tre aree principali dei sintomi dell'ASD. V.D. valutata mediante test Mann- Whitney U per valutare gli effetti differenziali degli interventi.

Outcome valutati: • parametri clinici • profili sensoriali, • abilità motorie e natatorie. Le suddette misurazioni sono state condotte al tempo T0, corrispondente all’inizio del progetto, e al tempo T1, ovvero dopo sei mesi di attività sportiva.

Lo scopo dello studio in esame è esaminare l'effetto di questa terapia sui sintomi negativi nei partecipanti con ASD. È stato applicato un disegno in doppio cieco a due fattoriali comprendente i fattori Gruppo (tratta mento contro gruppo di controllo) e Tempo (prima rispetto a dopo il trattamento).

I partecipanti randomizzati in uno dei due gruppi (THR o BA), utilizzando una randomizzazione a blocchi di dimensione quattro stratificata per NVIQ. Lo Student t- test e test Chi quadrato utilizzati per confrontare i partecipanti nel gruppo BA con i partecipanti THR per dati demografici continui e categoriali insieme alle variabili di risultato cliniche e di base.

Paese in cui è stato condotto lo studio

 

Italia

Germania

Colorado

Risultati

L’esercizio fisico ha prodotto effetti positivi in tutti gli studi. L’esercizio fisico individuale ha prodotto maggiori risultati.

Grazie all’attività fisica il bambino diventa maggiormente in grado di utilizzare il proprio corpo in rapporto all’ambiente e fornisce uno stile di vita più salutare e una maggiore inclusione nel gruppo dei pari, riduce la tendenza all’isolamento, riduce gli episodi di irritabilità e agitazione psicomotoria.

La riduzione dei sintomi negativi dell’ASD è stata maggiore nel gruppo di trattamento rispetto a quello di controllo. Altri miglioramenti rilevati con questo trattamento: contatto oculare, verbalizzazione, consapevolezza del sé e del proprio corpo, interazione ed empatia.

Questo studio si focalizza sul lavoro di squadra che si ha tra cavallo e cavaliere. In seguito a questo tipo di trattamento si sono riscontranti miglioramenti nell’ambito dell’irritabilità e dell’iperattività, della socialità e della comunicazione.

Riferimento Autori

Emily Bremer, Michael Crozier e Meghann Lloyd.

Roslyn Malcolm, Stefan Ecks, Martyn Pickersgill.

Mengxian Zhao, Shihui Chen.

Josè Pedro Ferreira, Thaysa Ghiarone, Cyro Rego Cabral Junior et al.

Titolo

A systematic review of the behavioural outcomes following exercise interventions for children and youth with autism spectrum disorder.

It just opens up their world’: autism, empathy, and the therapeutic effects of equine interactions.

The Effects of Structured Physical Activity Program on Social Interaction and Communication for Children with Autism.

Effects of Physical Exercise on the Stereotyped Behavior of Children with Autism Spectrum Disorders.

Anno

2016

2017

2018

2019

Campione (età in anni)

Bambini e adolescenti, 0-16 anni con ASD.

 

50 bambini, 5-8 anni con ASD.

Bambini e ragazzi < 16 anni con ASD.

Frequenza e durata dell’intervento

Le ricerche sono state condotte da luglio a settembre 2014.

La ricerca si basa anche sull'esperienza di Malcolm come volontario e dipendente dal 2007 al 2012.

L’intervento è durato 12 settimane nelle quali si sono svolte 24 sessioni di allenamento della durata di 60 minuti ciascuna.

Le procedure di ricerca si sono svolte tra il 1° marzo e il 31 dicembre 2017.

Strumento e criterio considerato

Revisione limitata agli studi che hanno esaminato l'efficacia degli interventi di esercizio. Esercizio = "attività fisica pianificata, strutturata, ripetitiva e mirata". Gruppi di confronto: studi con e senza un gruppo di confronto.

In questo studio sono state raccolte le esperienze di Malcolm durante il suo lavoro presso un centro equestre con i bambini autistici. Utilizzate interviste informali e interviste semi- strutturate.

Il presente studio ha adottato il disegno pre-test, test intermedio e post- test e ha condotto test a tre intervalli di tempo per monitorare i cambiamenti progressivi nell'interazione sociale e nella comunicazione. Il metodo quantitativo era il metodo principale utilizzato.

Le strategie di ricerca seguivano le linee guida PRISMA I criteri di inclusione: (a) campioni: bambini e ragazzi con ASD <16 anni; (b) utilizzare l'esercizio fisico come strumento di intervento o senza animali come risorsa terapeutica complementare; (c) V.D. comportamenti stereotipati o auto- stimolatori; e (d) pubblicato tra gli anni 1970 e 2017.

Paese in cui è stato condotto lo studio

Canada

Regno Unito

Cina

 

Risultati

Sono state affrontate 3 categorie principali di comportamento: (1) comportamento stereotipato (che è diminuito dopo il jogging, le arti marziali e l’equitazione), (2) cognizione e attenzione (che sono migliorati dopo il jogging) (3) il comportamento socio-emotivo (che è migliorato dopo l’equitazione, le arti marziali, il nuoto, la danza e lo yoga).

Il cavallo è il tramite che apre il mondo dei bambini autistici, in quanto con lui non c’è bisogno di linguaggio verbale per capirsi, è quindi più facile entrare in empatia col cavallo. A seguito di questo trattamento si sono riscontrati i seguenti miglioramenti: migliore funzionamento sociale e abilità a parlare, più consapevolezza del sé e dell’altro, maggiore contatto oculare, maggiore consapevolezza empatica.

I risultati dello studio hanno indicato che il programma strutturato di attività fisica ha avuto un'influenza positiva sulle abilità sociali, sulla cooperazione e sull’autocontrollo dei bambini con ASD e ha migliorato i loro punteggi di abilità sociali complessivi nella SSIS.

8 sudi analizzati hanno mostrato l'esistenza di una relazione positiva tra l'esercizio fisico e la riduzione dei comportamenti stereotipati nei bambini con ASD. Solo uno non ha riscontrato una riduzione dei comportamenti stereotipati dopo l'esercizio fisico. Maggiore repertorio di comportamenti stereotipati = minore sono le possibilità di comprendere ed esplorare l'ambiente e di conseguenza sviluppare nuove capacità di apprendimento.

 


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  • 3 G. VIVANTI, La Mente Autistica. Le risposte della ricerca scientifica al mistero dell’autismo, Omega edizioni, 2010.
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