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La voce udita nella vita fetale, in principio era il suono

In passato si pensava che il feto non fosse in grado di utilizzare i propri organi di senso e che questi potessero funzionare solo dopo la nascita. Il feto era visto come un essere psichicamente indifferenziato, incapace di vivere esperienze sensoriali proprie [2].

Questo tipo di concezione statica è stata poi sostituita da una più dinamica: grazie al progresso tecnologico e agli studi svolti sulla vita fetale, è stato possibile certificare la fase intrauterina come un mondo ricco di esperienze e di possibilità.

L’utero, infatti, è un luogo sonoro [3], nel quale progressivamente il feto matura la capacità di udire, interagire e anche di rispondere.

I primi organi di senso che il feto sviluppa sono il tatto e l’udito.

Il primo senso che si sviluppa è quello tattile: a otto settimane c’è già tale percezione tattile e alla 32° settimana la percezione sensoriale è completa. Attraverso la parete addominale e uterina il feto sente le carezze dei genitori e i movimenti della madre.

L’apparato uditivo si forma tra l’ottava e la decima settimana: in questo periodo la coclea si sviluppa fino a divenire completa. L’ambiente uterino diviene così per il piccolo un ricco luogo di rumori provenienti dall’esterno e dall’interno e funziona come una cassa di risonanza.

La stimolazione di questi due sensi sembra molto importante in quanto, come afferma M. Micelli “la stimolazione uditiva e tattile del feto determina un aumento delle sinapsi” [4].

Lo sviluppo dell’apparato uditivo procede dal 2° al 5° mese di gravidanza, fino a divenire completo intorno al 6° mese: da questo momento in poi il feto è in grado di sentire.

Per almeno un terzo della gravidanza, quindi, il feto vive in un ambiente sonoro, e questa stimolazione uditiva ed esercizio di ascolto producono una veloce maturazione dell’udito. Alla nascita l’apparato uditivo apparirà come l’unico organo completamente mielinizzato.

Ma cosa ascolta il feto?

Il feto ascolta sia i suoni interni del corpo materno, sia i suoni esterni ovvero quelli provenienti dall’ambiente. Ciò che ascolta con maggior attenzione, comunque, è la madre, che per lui è proprio un ‘suono’: è attraverso di esso che il bambino può fare esperienza diretta della madre. Tra i suoni interni emerge con forza il battito cardiaco che viene percepito dal feto a 72 decibel (valore che acquista un notevole significato se si pensa che il traffico cittadino viene percepito normalmente a 70 decibel). Molti studi sono stati svolti a riguardo del battito cardiaco materno, la maggior parte dei quali ne sottolinea gli effetti benefici per la crescita e lo sviluppo del bambino. Infatti, dopo la nascita, il bambino segnala di essere rassicurato dai suoni ritmici che ricordano il battito, o dalle registrazioni del battito materno stesso, in seguito ai quali gli studi registrano la riduzione del pianto e l’incremento del peso del neonato.

“In uno studio condotto da L. Salk, ad un gruppo di neonati venne fatto sentire il battito cardiaco materno a 72 battiti al minuto. Furono registrate le loro urla, misurate le quantità di latte che succhiavano e l’incremento del peso corporeo, quindi i risultati vennero confrontati con un gruppo di neonati che non potevano avvalersi di tale ascolto. Questi ultimi urlavano quasi il doppio rispetto ai primi e nonostante la quantità di latte fosse uguale per tutti l’aumento di peso era inferiore. Quando il battito cardiaco fu accelerato a 128 battiti al minuto, tutti i neonati iniziarono a urlare, dunque a funzionare non era un suono qualsiasi, ma quello che il bimbo si era abituato ad ascoltare nell’utero materno. Questa esperienza costituisce una prova della sensorialità fetale: infatti, se il feto non avesse percepito il battito cardiaco quando era nell’utero, e se questa esperienza non fosse significativa, una volta nato non avrebbe reagito a tale ascolto con evidenti segni di benessere” [5].

Ci sono inoltre, altri suoni molto interessanti per il feto:

  • il rumore del respiro materno con le sue continue variazioni.
  • Rumori causati dall’alimentazione, digestione ed evacuazione. Soprattutto nelle ultime settimane, infatti, il feto è separato dalla vescica e dall’ampolla rettale soltanto dalla sottile parete uterina.

Tutto questo può essere visto come un ricco sfondo sonoro. Ma il suono principale e più importante è rappresentato da altro, è la voce materna: “in principio era il suono, e il suono era presso la madre, e il suono era la madre” [6].

La voce materna si colloca a metà tra un suono interno e uno esterno, poiché viene percepita sia come suono esogeno che come suono endogeno. Si può dire che il feto percepisce contemporaneamente la voce della mamma dal ‘di dentro’ e dal ‘di fuori’, e che queste componenti si integrano continuamente dando al feto una percezione unitaria e riconoscibile della voce materna. La trasmissione endogena della voce materna avviene tramite la propagazione attraverso gli organi, in particolare l’apparato scheletrico: dalla laringe la voce scende lungo la colonna vertebrale e giunge al bacino che funge da cassa di risonanza. Anche il diaframma materno, collegato all’emissione del suono, in particolare durante il canto, può produrre delle variazioni pressorie addominali percepibili dal feto.  

La voce materna arriva più deformata rispetto alle altre voci e questo la rende per il feto ancor più riconoscibile. Il feto non riesce a discriminare le singole parole, ma percepisce i tratti prosodici della voce (l’altezza, l’intensità e il timbro) e la durata dei suoni emessi. Questo significa che non è tanto la singola parola a caratterizzare il significato di una frase, ma la ‘musica del linguaggio’. Per il bambino, infatti, la voce materna è innanzitutto musica e ritmo e quello che lo stimola e lo coinvolge è la melodia e il tono dell’eloquio.

Per quanto riguarda il tono, le variazioni acute e gravi vengono percepite in modo molto differente nell’ambiente dell’utero. Il liquido amniotico filtra i suoni e li trasforma in vibrazione: in questo modo vengono mantenuti pressoché inalterati i suoni gravi (< 500Hz), mentre quelli acuti vengono maggiormente filtrati, e percepiti in modo distorto rispetto al suono ‘reale’. La voce materna, essendo prodotta internamente, è l’unica voce di cui il bimbo riesce a percepire i toni acuti, mentre le voci femminili delle altre donne vengono trasformate in suoni più gravi, tanto da assomigliare alle tonalità maschili. La voce della mamma è anche la prima che il bambino è in grado di percepire, in quanto nell’organo del Corti[7] si sviluppano prima le cellule ciliate che sono deputate alla percezione delle frequenze più acute. Si evidenzia così come la voce della propria madre sia per il feto la più riconoscibile e distinguibile. In generale, comunque, le frequenze basse sono quelle per cui il feto dimostra maggior interesse: la voce del padre è uno stimolo molto importante per il bambino. La riconosce in quanto voce esterna frequentemente udita e con una sonorità molto più grave rispetto a quelle della mamma e con un timbro più caldo. Vari esperimenti hanno sottolineato che la voce del padre ha un potere tranquillizzante sul feto[8].

Attraverso le voci, quindi, si può stabilire una primordiale comunicazione tra madre e feto e tra padre e feto, permettendo così che questo legame si strutturi durante la gravidanza e che sia l’aspetto di continuità che il bambino ritroverà dopo la nascita.

Un esperimento di M. L. Aucher [9], ha inoltre dimostrato una diversa risonanza provocata dalla voce della madre e del padre sul corpo del feto. La voce materna, più acuta, sembra risuonare principalmente nella metà superiore del corpo del nascituro, promuovendo così la sua coordinazione senso-motoria. La voce paterna invece, con i suoi toni più gravi, stimola la parte inferiore del corpo, promuovendo il cammino precoce e rendendolo instancabile. “Il nostro corpo può essere considerato come una grossa cassa di risonanza che risponde ai toni bassi con sensazioni di vibrazione localizzabili a livello della cassa toracica, ai toni acuti con delle sensazioni di vibrazione localizzabili nella parti alte del corpo, come per esempio la testa” [10].

Analizzando più nello specifico ciò che accade durante i diversi trimestri della gravidanza, è possibile comprendere come procede lo sviluppo dell’apparato uditivo e delle capacità responsive del feto; questo consente di individuare i comportamenti più efficaci per l’interazione.

  1. Il I trimestre di gravidanza corrisponde alla fase preuditiva [11]: il feto non percepisce i suoni attraverso l’udito, che è ancora in via di formazione, ma li percepisce a livello epidermico perché si diffondono tramite vibrazioni tattili. Queste vibrazioni sono a ‘doppio senso’ perché anche la mamma coglie le vibrazioni che il bambino a sua volta provoca con i piccoli movimenti, che causano minime variazioni del tono muscolare materno. E’ importante che già in questa fase la mamma provi ad ascoltare il piccolo e ad identificarsi con lui. Come prime interazioni tramite la voce la mamma può ‘ninnarsi’ canticchiando a bassa voce qualche canzoncina o qualche melodia, anche senza l’utilizzo di parole. Un’altra possibilità è quella di imparare a rispondere, e a sottolineare con la voce, ogni minimo movimento del feto che porterà alla costruzione di un prototipo di ‘dialogo’ che spingerà anche il bimbo a rispondere a sua volta.
  2. Il II trimestre corrisponde alla fase uditiva: come detto in precedenza il bambino comincia a percepire e a discriminare i suoni. Attraverso le modificazioni dell’intonazione può percepire se una voce è indirizzata a lui o meno. E’ il momento in cui è possibile approfondire il dialogo: la mamma può parlare o cantare con il bimbo, accompagnando ogni suono con un tocco sulla pancia più o meno ampio, più o meno ritmico. Questo favorisce l’organizzarsi del movimento del bambino che potrebbe rispondere sia ad un suono che ad un tocco preciso da parte della mamma.
  3. Il III trimestre corrisponde alla fase della comunicazione: la relazione diviene sempre più complessa e raffinata. I suoni che vengono trasmessi al feto in questa fase verranno con buone probabilità ricordati, per cui è possibile iniziare ad associare una canzoncina a momenti di benessere e di gioia. Questo potrà aiutarlo dopo la nascita a calmarsi nel momento in cui sarà inquieto, poiché rivivrà esperienze già note e per questo rassicuranti.

In tutto questo non può essere dimenticata la dimensione più profonda della voce, che si inserisce in modo spontaneo nella relazione tra madre e feto: l’emozione. Come sottolineato in precedenza, il bambino non coglie le parole della lingua, ma la componente prosodica della voce materna: questa è quindi da considerare come una vera forma di contatto emozionale, una specie di ‘abbraccio non corporeo’. “Le localizzazioni prosodiche prelinguistiche (prive quindi di significati simbolici e astratti) sono da considerare delle vere e proprie forme di contatto emozionale; la voce diventa una sorta di estensione non corporea dell’abbraccio e del contatto materno (…). Si può pensare che lo stimolo uditivo sia quindi al contempo anche uno stimolo tattile e la madre attraverso la voce possa in un certo qual modo “massaggiare” il bambino; le ninnenanne infatti sono vere e proprie forme di cullamento vocale che si sono selezionate nel corso di migliaia di anni”[12].

Nel corso dei vari studi su questo argomento, si è inoltre individuata una modalità di parlare al feto e al neonato comune alla maggior parte delle madri, tanto da attribuire a questa modalità un nome: ‘motherese’ o mammese. Con questo termine si intende la modalità cantilenante tipica della madre che dialoga con il proprio piccolo, in cui in maniera non consapevole viene rallentato il ritmo, le pause sono maggiori, le ripetizioni e le sottolineature più marcate, il tono più dolce. Il contenuto del messaggio è sempre veicolato dalla melodia e non dal linguaggio, e in questo modo diventano leggibili i sentimenti e le intenzioni di chi comunica. Attraverso la musicalità di tale espressione il feto (e il neonato) inizia a conoscersi e a ‘sentirsi sentito’. “Questo tipo di comunicazione viene considerata come una profonda modalità di rispecchiamento tra la mamma e il bambino” [13].

In considerazione di queste affermazioni sorge spontanea la domanda: se il rapporto con la voce materna è di così fondamentale importanza nei mesi di gravidanza, e progredisce mano a mano che la gestazione procede, cosa accade se questo contatto viene disturbato o interrotto precocemente?

Secondo Alfred Tomatis [14] “per un bambino perdere la voce della madre significa perdere l’immagine del proprio corpo”, perché questo suono, soprattutto nelle fasi iniziali, è una parte stessa del feto e possiede quindi un valore d’identità.

Si è visto, infatti, che i nati prematuri possono trarre benefici se viene utilizzato il cosiddetto cordone ombelicale sonoro. I piccoli prematuri a cui venivano fatte sentire delle registrazioni della voce dei genitori o di musiche che gli stessi avevano ascoltato durante la gravidanza, traevano un beneficio tale da permettere l’aumento del peso, la comparsa di abbozzi di sorrisi, la distensione degli arti fino ad addormentarsi tranquillamente. Il distacco forzato subito da questi piccoli, può essere reso meno traumatico, dalla continuità che il neonato può sperimentare almeno attraverso la voce dei genitori. Questo cordone ombelicale sonoro può quindi essere una forma complementare di contenimento del piccolo, al di là del contatto fisico e tonico vero e proprio.

A tal proposito riporto qui di seguito il caso, incontrato durante il tirocinio, di un bambino prematuro, con uno spiccato interesse per il canto come unico mezzo di rassicurazione in assenza della mamma o in situazioni di difficoltà.

 

A. è un bambino nato prematuro alla  26° settimana. Il piccolo viene seguito fin dalla nascita. Inizialmente viene trattato in fisioterapia per il ritardo nello sviluppo motorio, ora invece viene seguito da una neuro e psicomotricista. Il bambino presenta un deficit visivo, un linguaggio minimamente sviluppato e un’instabilità motoria nella deambulazione.

L’età di sviluppo è molto inferiore rispetto a quella cronologica e viene stimata sui 18 mesi.

A. fa molta fatica a separarsi dalla mamma o dalla nonna per entrare in stanza da solo. Spesso viene portato in braccio, ma il bambino piange e non è facile rassicurarlo nemmeno con il contenimento fisico e con un dialogo tonico adeguato. L’unico modo per calmare A. è cantare.

Appena il bambino sente una voce (soprattutto femminile) cantare, smette di piangere, interrompe l’agitazione motoria e diminuisce improvvisamente l’irrequietezza. Solitamente cerca di farsi abbracciare o contenere in braccio, appoggia la testa sul petto della terapista e resta in ascolto. Il tono si distende in modo progressivo e A. sembra ritrovare la sua dimensione. Nel momento in cui la canzone finisce il bambino chiede “Ancora”, fino a quando non ha raggiunto la completa stabilità e allora si permette di esplorare la stanza per iniziare a giocare.

 

Questo modo di A. di tranquillizzarsi mi ha molto colpito e ho cercato di comprendere che tipo di relazione vivesse il bambino con la propria madre. La madre, molto presente e molto attenta alle esigenze di A., stimola considerevolmente il bambino con attività, giochi e anche con musichette. Ma l’aspetto più particolare è proprio la sua voce e il suo modo di esprimersi: la mamma comunica attraverso ‘il mammese’, poiché la sua prosodia tende ad avere un ritmo cadenzale, ripetitivo, melodico, che ricorda molto di più un dialogo cantato rispetto ad uno parlato. Quindi per A. la rassicurazione probabilmente deriva proprio dal fatto che nella musica e nel canto percepisce delle variazioni simili a quelle dell’eloquio della madre e si può inoltre ipotizzare che questo contatto sonoro lo riporti ai mesi della gravidanza. “La musica inoltre rimanda al “parlar materno”, costituisce una raffinata elaborazione simbolica delle voci e dei suoni che articolano le prime forme di comunicazione, ci parla quindi di un tempo lontano, passato, di un tempo assente che può tornare solo nell’evocazione nostalgica” [15].

Lo stato di benessere del feto nell’utero è stato interrotto precocemente, ma la voce è perdurata anche dopo la nascita e questo forse può essere l’elemento di continuità che porta A. a ricercare questa rassicurazione ogni qual volta ci sia una situazione di difficoltà.

Le ricerche inerenti la vita del feto sono però ancora poco numerose e sicuramente non esaustive rispetto alla quantità di nozioni la cui conoscenza potrebbe essere utile.

Per quanto concerne il rapporto del feto con i suoni è necessario sottolineare che non si fa riferimento ad una consapevolezza del piccolo rispetto a ciò che sente, ma si fa riferimento alla sua “vita sensoriale” poiché i suoni, come gli altri stimoli, vengono in questa fase sentiti e non ancora elaborati. L’inizio dello sviluppo della consapevolezza e la successiva nascita dell’Io non possono essere collocati nella fase intrauterina, ma in una fase successiva, mesi dopo la nascita fisica del neonato.

Allo stesso tempo non si è a conoscenza, però, di tutti i proto-passaggi che portano alla nascita dell’Io e di quanto le sensazioni vissute dal feto possano essere importanti al fine della costituzione successiva dell’Io stesso.

A fronte di queste riflessioni credo che sia importante considerare che la voce e i suoni vengono uditi dal feto durante la fase gestazionale e che potrebbero essere, dunque, delle stimolazioni importanti e influenti per quella che sarà la nascita psicologica del bambino.

 


[2] Per le note di questo paragrafo cfr.: I. M. Tosto, La voce musicale, EDT ed., Torino 2009.

E. Zamberlan, Nel pancione il piccolo sente la tua voce, http://www.ioeilmiobambino.it/gravidanza/psicologia/nel-pancione-il-piccolo-ti-sente-5980; A. Volta, In principio era il suono, http://mums4mums.wordpress.com/tag/voce-materna/; C. Piccinini, Madre ed estranei: uno studio elettrofisiologico sull’analisi della voce dei neonati, http://www.tomatismodena.it/madre-ed-estraneo-uno-studio-elettrofisiologico-sullanalisi-della-voce-nei-neonati/; A. Sammartino, Influenza della madre sul feto,http://www.antoniosammartino.it/ebook/Default.aspx?Id=485.

[3] L’espressione “luogo sonoro” viene usati in articoli inerenti l’argomento cfr. per esempio C. Paganotti e A. Caraffini. Il suono e la vita prenatale, http://www.filarmonicacapitanio.it/articolo%20N53P10.htm

[4] Citazione e concetti sopra descritti tratti da: M. Micelli, La relazione madre-feto e lo sviluppo esistenziale della persona, Armando Ed., Roma 2011, p. 26.

[5] Articolo di C. Paganotti e A. Caraffini, Il suono e la vita prenatale, http://www.filarmonicacapitanio.it/articolo%20N53P10.htm

[6] F. Fornari, psicanalista, psicologo e medico italiano.

Citazione tratta dal sito http://mums4mums.wordpress.com/tag/voce-materna/

[7] Organo del Corti: Apparato recettore degli stimoli uditivi, situato nell'orecchio interno e contenuto nella coclea membranosa. È costituito da cellule sensoriali ciliate, appoggiate su una membrana basilare ricoperta da un'altra membrana; è sede della trasformazione delle vibrazioni sonore in sensazioni uditive. (http://www.ok-salute.it/dizionario/medico/corti-organo-del.shtml).

[8] F. Fornari, Psicoanalisi della musica, Longaresi & C., Milano 1984, p. 13.

[9] M.L Aucher : Cantante professionista, nel 1960 ha analizzato la corrispondenza tra le vibrazioni dei suoni e il corpo umano, fondando così un nuovo tipo di psicofonia, approccio innovativo nella didattica dell'emissione della voce, soprattutto legato all'aspetto del canto; il metodo è stato riconosciuto dall'Académie des Sciences di Parigi. http://it.wikipedia.org/wiki/Marie-Louise_Aucher

[10] G. Buffoli - S. Airaghi, Musicoterapia e le sue possibilità in foniatria e logopedia, estratto da Acta Phoniatrica Latina - Anno I, n. 3, 1979, Edizioni medico scientifiche Torino.

[11] Concetti tratti dall’articolo di E. Zamberlan, Nel pancione il piccolo sente la tua voce, http://www.ioeilmiobambino.it/gravidanza/psicologia/nel-pancione-il-piccolo-ti-sente-5980

[12] A. Volta, In principio era il suono, Quaderni Acp, 2010, http://mums4mums.wordpress.com/tag/voce-materna/

[13] Ibid.

[14] Alfred Tomatis: medico otorinolaringoiatra e psicologo francese, ha elaborato un metodo partendo dalle basi neurofisiologiche dell’ascolto e ha affermato che “La voce contiene solamente i suoni che l’orecchio può percepire”. Il metodo Tomatis è, di fatto, una pedagogia dell'ascolto che si avvale di un’apparecchiatura sofisticata chiamata Orecchio Elettronico. Lo scopo di questa educazione uditiva è risvegliare il desiderio di ascoltare, liberando le potenzialità della persona, condizionate da blocchi di varia natura. http://www.guidawellness.com/musicoterapia.html

[15] G. Manarolo, L’angelo della musica, Omega Ed., s.l. 2002, p. 64.

 

Indice

INTRODUZIONE
 
 
  1. PRIMA PARTE: LO SVILUPPO DELLA VOCE
    1. Dalla voce udita alla voce prodotta
      1. "In principio era il suono": la voce udita nella vita fetale 
      2. Lo sviluppo della voce nel primo anno di vita: la voce prodotta
    2. La voce e le categorie psicomotorie
      1. La voce e lo spazio
      2. La voce e il tempo
      3. La voce e il tono muscolare
      4. La voce e la postura
      5. La voce e gli oggetti
    3. La voce parlata e la voce cantata
  2. SECONDA PARTE: LA VOCE IN TERAPIA
    1. Il Dialogo tonico e sonoro
      1. Il dialogo tonico
      2. Il dialogo sonoro
    2. In Dialogo con bambini "Speciali"
      1. Casi Clinici
      2. Area Neuromotoria
        1. C.
        2. I.
      3. Tirocinio in Musicoterapia
        1. N.
        2. A.
        3. E.
    3. Dal Dialogo Tonico al Dialogo Sonoro
      1. E' sufficiente il dialogo tonico?
    4. Obiettivi del trattamento
      1. Dialogo tonico e schema corporeo
      2. Dialogo sonoro e schema corporeo
      3. Dialogo tonico e comunicazione di bisogni ed emozioni
      4. Dialogo sonoro e comunicazione di bisogni ed emozioni
    5. Dialogo Tonico e Sonoro: semplicemente Ninna-nanna
 
CONCLUSIONI
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
 

Tesi di Laurea di: Maria Vittoria BERNO

Sito internet: http://dialogoconbambinispeciali.blogspot.it/

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