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Obiettivi del trattamento - Il dialogo tonico e il dialogo sonoro

L’osservazione e l’interazione con i bambini durante il tirocinio ha fatto emergere quali siano gli obiettivi principali nel trattamento neuro e psicomotorio di cui, indipendentemente dalla diagnosi e dalla patologia del paziente, si cerca di promuovere il raggiungimento.

Quando ho avuto la possibilità di inserirmi direttamente nel trattamento di questi bambini, ho concentrato la mia attenzione sul ‘dialogare con loro’: ho cercato di farlo attraverso il corpo, la postura, la voce, attraverso ciò che mi sembrava più adeguato utilizzare nel rapporto con quello specifico bambino. E’ emerso così che, anche se la corporeità costituisce un canale fondamentale per l’interazione, in alcuni casi non è possibile utilizzare solo il dialogo corporeo e il dialogo tonico per rapportarsi e comunicare con un bambino.

Il tentativo, quindi, è stato quello di valorizzare il canale vocale, e di inserire una comunicazione centrata non tanto sul linguaggio verbale, quanto sui suoni, le altezze, i timbri, la prosodia e la musica. E’ stato così possibile osservare che nei casi in cui il dialogo tonico risultava essere una modalità di interazione ancora immatura e difficilmente accettata, la voce favoriva l’instaurarsi della relazione conservando quella distanza fisica necessaria al bambino per sentirsi più libero, promuovendo un avvicinamento di carattere emotivo.

Attraverso l’unione, l’interscambio, la sovrapposizione delle modalità di comunicazione corporea e vocale, si è potuto avviare il trattamento verso il raggiungimento di obiettivi fondamentali quali:

  • Schema corporeo
  • Comunicazione di bisogni ed emozioni

Qui di seguito si cercherà di illustrare come si possa promuovere il raggiungimento di questi obiettivi attraverso il dialogo tonico e come il dialogo sonoro contribuisca a questo scopo. Si riporteranno alcuni esempi tratti dai casi clinici analizzati per comprendere, in quei casi specifici, come è stata utilizzata la voce quale strumento terapeutico.

Il quesito che sostiene l’analisi è dunque questo: attraverso il dialogo sonoro è possibile promuovere l’instaurarsi di un migliore dialogo tonico?

Dialogo tonico e schema corporeo

La prima fondamentale scoperta che un bambino fa è quella del proprio corpo: nei primi mesi di vita il piccolo svolge dei movimenti caotici, spezzati, involontari, dettati dai riflessi arcaici e non ancora controllabili [45]. Gradualmente iniziano poi a comparire dei movimenti più complessi, all’inizio casuali e poi sempre più volontari: il bambino impara a portare le mani alla bocca e ruotare il capo per osservare con interesse l’ambiente. Dal quarto mese in poi l’esplorazione del proprio corpo diviene più massiccia e il bambino scopre progressivamente la pancia, le gambe e, verso gli otto mesi, anche i piedi [46].

Questa importantissima fase di esplorazione non si limita, però, solo al corpo: il bambino cerca di raggiungere e toccare il viso della mamma, è attratto dalle parti in movimento come bocca e occhi e cerca sempre più frequentemente le sue mani. Ama stare tra le braccia della madre ricercando alternativamente un contatto fusionale e poi uno di diffusione: passa dal rilassamento alla dinamicità, accordandosi e dialogando con il corpo dell’altro. E’ proprio questo atteggiamento che viene definito dialogo tonico.

“Egli è molto attento alle sensazioni che vengono dal suo corpo e da quello delle persone che entrano in contatto con lui, agli stimoli visivi e sensoriali in genere. Queste sensazioni sono vissute dal bambino quale reazione corporea immediata allo stimolo, che gli permette di adattarsi alle situazioni e persone dell’ambiente in una particolare ‘danza tonica’ (risonanza). Il bambino vive tutto al presente: non appena gli stimoli cessano, le reazioni corporee si placano” [47].

Questo processo diviene fondamentale per la progressiva scoperta del proprio corpo e dei propri confini, e si configura come un passaggio necessario per la formazione del ‘modello interno del corpo’: lo schema corporeo. Si tratta di un primitivo senso di unità corporea che si forma grazie all’unione di tutte le sensazioni, prima vissute singolarmente, che ora trovano un filo conduttore capace di unirle. E’ il momento in cui il bambino accede alla rappresentazione mentale del corpo, la quale garantisce l’adeguata sintesi percettiva dei dati provenienti dall’ambiente interno e da quello esterno e, nel contempo, si pone come premessa per l’organizzazione dell’esperienza motoria.

La percezione dei limiti corporei e la rappresentazione mentale del corpo, quindi, si strutturano attraverso una continua e complessa esplorazione che il bambino fa del suo corpo e del corpo dell’altro. La madre ha, soprattutto in questo frangente, la funzione di organizzatore, di contenitore e di base sicura del bambino, che si serve della vicinanza e del corpo dell’altro per imparare a conoscere e ad interiorizzare il proprio.

“Toccare è un gioco continuo tra dentro e fuori: è conoscere, conoscersi e delimitare lo spazio. Gli altri sensi sono una differenziazione specializzata della pelle, del tatto. Essi ci permettono di “toccare” i suoni con l’udito, i colori con la vista, i sapori con il gusto e gli odori con l’olfatto” [48].

L’interiorizzazione e la rappresentazione dello schema corporeo è un processo che continua per molto tempo, soprattutto nei bambini con disabilità.

I., per esempio, svolge ancora dei giochi in merito a ciò, in modo da rafforzare la consapevolezza corporea, soprattutto tramite l’integrazione degli arti inferiori, il distretto più compromesso dalla paralisi.

Ad I. vengono proposti dei momenti in cui ‘ripassare’ le parti del corpo: il ragazzo disteso sul materasso ad occhi chiusi viene toccato dalla terapista in varie zone del corpo. I. deve cercare di capire e percepire dove viene toccato e come si chiama quella parte.

Oppure, in posizione eretta, di svolgono degli esercizi di spostamento di carico da un lato all’altro e I. deve individuare dove si sposta il peso e in che posizione si trova il proprio corpo nello spazio. Questi giochi sono stati molto utili anche per aiutare I. a comprendere in che punto sente dolore o fastidio e a comunicarlo in modo preciso.

Dialogo sonoro e schema corporeo

La progressiva scoperta del corpo passa anche attraverso l’uso della voce.

“Il corpo è strumento della voce, sia perché nella sua tonalità costituisce il mezzo attraverso cui l’uomo stabilisce una relazione sonora con l’ambiente, sia perché offre la materia grazie alla quale prende forma lo strumento musicale vero e proprio” [49]. L’esplorazione corporea e vocale è quindi legata intrinsecamente: l’emissione vocale è frutto di una complessa organizzazione motoria che implica il coinvolgimento di gruppi muscolari diversi e di più funzioni.

Il bambino, quindi, non si limita ad esplorare il corpo attraverso il movimento, ma inserisce molto presto dei giochi di interazione vocale quali gorgheggi e lallazioni. Questi suoni prodotti hanno, inizialmente, un semplice scopo esplorativo e piacevole, in quanto stimolano zone appena scoperte, e provocano delle risonanze e delle vibrazioni dall’interno che aiutano a percepire e a definire i contorni e gli spazi corporei.

La voce prodotta non è però la sola che permette una conoscenza corporea: la percezione dei propri confini è favorita anche dalla voce udita. La voce della mamma, o la voce del terapista, può essere utilizzata per far percepire al bambino lo spazio che intercorre tra un corpo e l’altro. Le vibrazioni provocate dai suoni prodotti generano nel bambino delle sensazioni molto diverse rispetto a quelle che prova quando è egli stesso a produrre i suoni. Le parole che arrivano ‘da fuori’ si fermano nel confine esterno del corpo ed ‘entrano’ grazie al canale uditivo. E’ così che un corpo può prendere forma, sia dall’interno che dall’esterno, modellando gradualmente i propri confini.

“L’esperienza sonora è contemporaneamente interna ed esterna, è fondamentalmente legata ad aspetti cinestesici, è nello stesso tempo attiva e passiva (la propria voce è prodotta e intesa simultaneamente). Questi aspetti rendono difficile un processo di obiettivazione. Tuttavia per Edith Lecourt l’esperienza sonora di imitazione/dialogo, quale si instaura nella relazione madre-bambino, può favorire la delimitazione corporea dell’infante grazie alle differenze esistenti tra suono esterno e suoni interno. Esistono infatti diverse modalità di percezione a seconda che le sonorità siano autoprodotte o vengano prodotte dall’esterno.

Nel primo caso la percezione è cinestesica ed uditiva, nel secondo è uditiva e talvolta vibratoria” [50].

L’importanza di acquisire una consapevolezza del proprio corpo e del fatto che questa consapevolezza porti ad un benessere generale della persona, mi è apparsa chiara durante le terapie di C. Come riportato in precedenza il ragazzo si trovava in grande difficoltà nel capire il meccanismo della respirazione e i miglioramenti del trattamento risultavano essere scarsi. L’approccio tonico è consistito nel tentativo di far percepire al ragazzo il suo torace espandersi e di fargli poi sentire con mano come si espandeva il mio torace; questo ha portato a pochi benefici e ha evidenziato una grande difficoltà da parte di C. nel comprendere come muovere determinati muscoli: “il suo corpo parla ed a volte urla nel disperato bisogno di essere ascoltato e capito” [51].

E’ in quel momento che ho pensato a come il canto potesse essere di aiuto in questa pratica e ho sperimentato direttamente la sua potenzialità: la consapevolezza, l’esercizio e l’utilizzo dei muscoli respiratori si è fatta via via più chiara e la soddisfazione del ragazzo è stata la chiave per comprendere che il percorso era quello più adatto per lui.

C. ha progressivamente manifestato il bisogno di scendere dalla carrozzina per cantare, giungendo alla consapevolezza che il cambio di postura poteva permettergli una respirazione più profonda. In questo modo è stato il ragazzo ad ‘ascoltare’ il suo corpo e a capire che doveva distendere di più il busto e retroporre le spalle. Così la quantità d’aria inspirata è stata maggiore, come il tempo di espirazione: il volume della voce è cresciuto, la capacità di prendere il respiro nelle pause è migliorata.

“Il canto, infatti, implicando l’attivazione della muscolatura fono-articolatoria, respiratoria e posturale, comporta il risveglio di un’ampia sensibilità corporea, di natura soprattutto cinestetica e tattile, e quindi lo sviluppo di quella facoltà propriocettiva, che Oliver Sacks definisce ‘sesto senso’, indispensabile per acquisire coscienza di sé, poiché grazie ad essa ‘noi avvertiamo il nostro corpo come veramente nostro’. Per questo motivo il canto nell’infanzia può dare, insieme ad altre esperienze motorie e sensoriali, un importante contributo al formarsi dello schema corporeo” [52].

Dialogo tonico e comunicazione di bisogni ed emozioni

“La forma che ognuno di noi ha assunto in rapporto alle proprie emozioni origina dal tipo di dialogo corporeo instaurato con i genitori fin dai primi giorni di vita (alfabeto emotivo primario – W. Stern), in quel dialogo tonico, gioco espressivo e comunicativo sotteso all’alternarsi di contrazioni e decontrazioni muscolari, si articola il primo linguaggio dell’affettività” [53].

Il contatto corporeo con la madre e il dialogo tonico non hanno solamente una funzione di contenimento e di separazione tra ambiente esterno e ambiente interno. Questo abbraccio, questa comunicazione corporea, ha anche un valore importante nella trasmissione e nella condivisione della emozioni.

La comunicazione di bisogni ed emozioni passa, soprattutto nei primi periodi di vita, attraverso il tono muscolare: “in ogni caso toccare ha una connotazione emotiva intensa. Il tatto è si il senso dello spazio primordiale, noi siamo là dove giunge il nostro tatto, siamo le cose che tocchiamo o per distinguerci da esse. Essere in contatto con un’altra persona mette in gioco la nostra e l’altrui vulnerabilità” [54].

Il bambino nel dialogo tonico con la propria madre impara a modulare il proprio tono rispetto agli stimoli esterni: si parla di modulazione e non di regolazione. La modulazione è la valenza comunicativa che il tono assume nella relazione, praticamente ha tutto il valore affettivo ed emozionale che il corpo assume nell’interazione con l’altro. La regolazione è invece l’utilizzo e l’organizzazione dell’energia in rapporto ad un movimento o ad un oggetto [55].

Sono stati condotti vari studi sull’interazione tonico-emozionale madre bambino, studi sull’importanza che riveste per un corretto sviluppo della motricità del bambino e della comunicazione, oltre che per delle sane reazioni con l’ambiente primario (Wallon, Spitz, Berges). Attraverso il dialogo tonico con la madre il bambino impara a modulare le proprie risposte toniche, emotive ed affettive rispetto a quelle materne, a seconda dei diversi accadimenti. Egli elabora delle informazioni dalle esperienze vissute e si crea un giudizio (positivo o negativo) attraverso il quale si relazionerà in seguito con il mondo. Ad esempio: un bambino la cui madre ha sempre reagito con un tono elevato a situazioni di rifiuto, quando si ritroverà nelle medesime condizioni reagirà così come ha imparato dalla madre: con ipertono. Il tipo di comunicazione tonica risentirà delle caratteristiche individuali, ma risentirà anche dell’ambiente culturale in cui la diade madre-bambino è stata inserita e delle caratteristiche specifiche della madre stessa.

“La relazione del bambino con il suo ambiente non è semplicemente tonica (attivazione agli stimoli ambientali, cervello rettile, risonanza elementare), ma tonico-emozionale (lo stimolo suscita il ricordo di situazioni simili e il corpo si pre-para): per esempio quando la mamma prepara il biberon, il bambino capisce che è il momento della pappa e si pre-dispone a riceverla (si sviluppa la capacità di anticipare gli eventi). Il piccolo riconosce non solo la persona, ma anche la sua disponibilità alla relazione. Egli ha memorizzato in situazioni precedenti lo stato d’animo della madre corrispondente a quel tipo di tono muscolare, a quel modo di muoversi, ecc. Attraverso gli indicatori fisiologici (le reazioni fisiche ed ormonali che manifestano a livello ‘fisico’ la tensione emotiva) il bambino ‘sente’ quello che il genitore vive durante l’approccio con lui o con l’ambiente. Questa tensione e le sue variazioni sono ‘registrate’ dal bambino attraverso i recettori cutanei e muscolari durante il contatto corporeo (attraverso la sensibilità tattile, le tensioni muscolari, la respirazione, il ritmo cardiaco, ecc.). Queste modificazioni toniche sono memorizzate (cervello mammifero, emozionale) assieme alle risposte motorie e viscerali che hanno suscitato nel bambino. Il piccolo associa al gesto fatto con un certo tono, velocità, ecc., di chi lo accudisce, la connotazione emotiva, sia essa positiva o negativa, che ha sperimentato nelle precedenti esperienze: cioè se quel gesto specifico ha soddisfatto o meno il suo bisogno biologico-psicologico. In questo periodo, quindi, inizia l’apprendimento emotivo e il gesto si carica di affettività. Wallon sostiene, infatti, che l’affettività origina da quel particolare legame tra il gesto, il tono muscolare e il ricordo del benessere fisiologico che esso ha procurato (in seguito il solo gesto è sufficiente a richiamare lo stato di benessere o malessere)” [56].

Nello specifico lavoro del terapista la comprensione e la consapevolezza dei significati che si possono veicolare attraverso il tono muscolare è di grande importanza. Nel rapporto con i bambini diviene primario comprendere quali modalità di interazione tonica si siano sviluppate con le figure di attaccamento, osservare come la madre lo tiene in braccio, come si relaziona attraverso il corpo. Tutto ciò può essere molto utile al fine di creare la giusta empatia con il paziente: “la risonanza tonico muscolare del cervello rettile e quella tonico emozionale dei mammiferi si trasformano in consapevolezza (sentimenti) ed empatia nell’uomo: la capacità di ‘cogliere’ e ‘condividere’ stati emotivi propri e d’altre persone, di ‘sentire ciò che l’altro sente’.(L’empatia sembra, quindi, l’evoluzione consapevole del fenomeno di risonanza: la capacità innata degli organismi viventi di essere attivati e presenti (essere con) agli stimoli ambientali ed interni.)” [57].

Nel corso del tirocinio mi è stato possibile sperimentare il dialogo tonico con C. . Uno degli obiettivi del trattamento del ragazzo consisteva nel recuperare la maggior escursione articolare possibile del gomito destro, che durante l’inverno scorso aveva subito un intervento.

Era per questo necessario svolgere degli esercizi di mobilizzazione attiva e passiva per aiutarlo a raggiungere la bocca ed il viso, con lo scopo di permettergli di mangiare in modo autonomo.

Dopo un paio di sedute di osservazione mi è stato affidato il compito di svolgere la mobilizzazione passiva dell’arto, sostituendomi alla terapista.

La relazione con il ragazzo era ancora alle fasi iniziali e personalmente ero abbastanza timorosa all’idea di intervenire in modo autonomo. Probabilmente C. era, allo stesso modo, intimorito da questo nuovo contatto. L’incontro tonico avvenuto nella prima seduta è stato complesso: C. era molto rigido, il tono muscolare era elevato, e nonostante un’apparente disponibilità a lasciare che fossi io ad intervenire nel trattamento, il tono muscolare comunicava altro. Da parte mia riporto una scarsa fluidità nei movimenti e una rigidità molto condizionata dall’emozione.

Con il progredire delle sedute la conoscenza tra di noi si è intensificata e questo ha permesso anche al tono muscolare di entrambi di rilassarsi. L’accordo tonico diveniva più veloce e naturale e la conoscenza ha permesso di comprendere e riconoscere le variazioni toniche di C. che volevano comunicarmi qualcosa (qualche dolore, la paura di spingersi oltre al limite, oppure al contrario la sua fiducia). Questo ‘rapporto tonico’ ha permesso un lavoro adeguato, al fine del recupero della mobilità articolare e ha progressivamente accompagnato la nostra relazione, permettendo di cogliere tensioni, paure o dubbi senza necessariamente utilizzare le parole.

Un altro esempio di dialogo tonico può essere osservato nelle sedute di N.

Il bambino ha manifestato, da qualche mese, un interesse sempre più evidente per il pianoforte. N. ricerca lo strumento in modo spontaneo durante le sedute, oppure permette alla terapista di prenderlo per mano e di accompagnarlo alla tastiera. Questo è uno dei pochi momenti in cui N. accetta il contatto fisico con la terapista senza fuggire.

Quando giunge a contatto con lo strumento N. si rifiuta di sedersi sullo sgabello e comincia subito a produrre delle piccole melodie costituite da un paio di note, mantenendo un ritmo costante: utilizza solo l’indice e l’anulare e il tono muscolare delle dita e dell’intero arto è molto sostenuto e i suoni prodotti risultano così essere di forte intensità e la melodia poco fluida.

La terapista in questa fase non può intervenire perché N. le toglie fisicamente le mani dalla tastiera e il suo tono si alza sempre di più fino a ‘picchiare’ sui tasti. Il bambino è capace poi di distendere il tono e di produrre così una melodia molto più fluida, legata, armonica.

All’ascolto di questa piccola produzione la mimica di N. passa da ‘inespressiva’ a ‘sorridente’. Tutto il corpo si rilassa e N. si siede e continua a suonare.

Dopo questa fase è N. a prendere la mano della terapista per appoggiarla sulla tastiera: il dialogo così si arricchisce. E’ un dialogo tonico tra la terapista e il bambino ed è un dialogo sonoro strumentale [58].

N. sorride e sembra essere rilassato. A conclusione di questa interazione il bambino appare molto più calmo e si muove in modo più fluido per la stanza.

Dialogo sonoro e comunicazione dei bisogni ed emozioni

“Nel lungo tirocinio di esperienze sensomotorie della prima infanzia il bambino impara a riconoscere i movimenti e lo stato tonico muscolare per adattarsi in modo efficace alle persone e allo spazio circostante. In questa prima fase tattile e corporea l’attenzione e la consapevolezza del bambino sono incentrate sulle sensazioni suscitate dai movimenti del suo corpo nell’impatto con la realtà (contatto con la madre, con gli oggetti, ecc.). Successivamente egli utilizza gli organi di senso a distanza (vista ed udito) per entrare in contatto e quindi controllare lo spazio e gli oggetti” [59].

Come abbiamo visto il tono muscolare e la sua modulazione diviene uno dei primi canali per la condivisione e la comprensione delle emozioni e la trasmissione dei bisogni. Questo dialogo si arricchisce e progredisce con il passare del tempo e si integra con altri aspetti, che concorrono alla trasmissione di queste emozioni come, per esempio, la voce e il dialogo sonoro che si instaura.

Il tono della voce, come il tono muscolare, permette la manifestazione e la condivisione delle emozioni. Le variazioni del tono vocale sono sfumature che permettono di comprendere, non solo il significato, ma anche il sentimento che contiene un messaggio verbale. Il tono vocale ha un’influenza per il neonato fin dalla vita gestazionale, durante la quale la prosodia, il tono, le variazioni dell’eloquio materno vengono ‘colte’ dal feto. Con il procedere dello sviluppo la modalità di parlare al bambino diviene mezzo di relazione efficace nella trasmissione dei messaggi e delle emozioni da madre a figlio.

Allo stesso modo noi terapisti dovremmo essere consapevoli del tono della nostra voce e di quello che essa trasmette, in modo tale da veicolare messaggi verbali-vocali coerenti.

“Nella relazione d’aiuto l’operatore utilizza la voce come espressione delle proprie emozioni, che si adattano empaticamente alle emozioni che la voce del paziente manifesta. Questo presuppone la capacità da parte dell’operatore di utilizzare la propria voce, libera da vincoli inibitori di varia natura, come veicolo dei propri contenuti emozionali e di ascoltare la voce del cliente al di là dei contenuti referenziali” [60].

Il legame esistente tra tono vocale e tono muscolare è profondo: il tono vocale e l’emissione della voce dipendono dalla regolazione tonica dei muscoli della fonazione. Il legame esistente tra movimento e suono potrebbe essere di grande interesse nell’intervenire in quelle situazioni in cui la possibilità di movimento o la capacità di produrre un suono sono deficitarie.

In seguito a questa constatazione sorge una domanda interessante: Si potrebbe pensare di sfruttare uno di questi canali per giungere all’altro?

“Studi effettuati sul canto degli uccelli e successivamente suffragati da ricerche sull’uomo spiegano i modelli secondo cui il SNC percepisce i suoni ed i movimenti. Utilizzando complicate tecniche di elettrofisiologia, che consentono di registrare con dei sottili elettrodi l’attività delle cellule nervose, si è visto che nei soggetti in esame si ha l’immediata attivazione di aree cerebrali arcaiche (in circa 10 millesimi di secondo) e subito dopo (60 millisecondi) si attivano le aree motorie (fonatorie o di movimento) corrispondenti al suono o al gesto osservato.

Il SNC mette in relazione il suono o il movimento che ha appena percepito con lo schema motorio che serve a produrre lo stesso suono, fonema o movimento.” [61]

Nell’osservazione di E. è stato interessante cogliere come le variazioni toniche muscolari e vocali veicolassero la comunicazione.

E. non parla e non aggancia lo sguardo e, per questo, viene descritto come un bambino che non comunica. In realtà E. comunica, non attraverso le parole o attraverso lo sguardo, ma attraverso il tono muscolare e vocale.

In generale i vocalizzi prodotti dal bambino tendono ad avere un mono-tono e la loro intonazione risulta essere piatta. Le note sono sempre le stesse e la produzione è dotata di scarsa variabilità.

In realtà si è visto che quando la terapista interviene per impedire ad E. di mettersi in pericolo, il bambino produce in risposta un suono di volume molto più alto, con un tono più acuto e un’intonazione ascendente. Questa variazione tonica improvvisa si associa ad un ipertono muscolare diffuso, che comunica a chi è presente: ‘allontanati’, ‘sono infastidito’.

Anche le variazioni del tono vocale della terapista sembrano essere colte dal bambino: quando i vocalizzi prodotti dalla terapista (che come abbiamo visto imita il bambino e apporta poi delle variazioni) aumentano di volume e tono per sottolineare un’azione pericolosa del bambino, questo si ferma subito e torna a sedersi tranquillo. Sembra, dunque, che questo scambio tonico vocale venga percepito e utilizzato da E., e quindi potrebbe essere un ‘canale’ da sfruttare in terapia.

Un altro esempio: C.

Le variazioni del tono vocale di C. sono andare di pari passo con le variazioni del tono muscolare. C’è stata un’influenza reciproca di voce e corpo poiché la distensione di un tono ha favorito il distendersi dell’altro.

Il tono vocale flebile, basso, sussurrato di C. nelle prime sedute di canto è divenuto progressivamente di volume più udibile, meno grave, e l’intonazione discendente si è progressivamente modificata.

L’ascolto e l’imitazione del mio tono e della mia intonazione hanno sostenuto C. nel modificare i propri parametri e l’instaurarsi di una relazione più profonda ha permesso al ragazzo di esprimere i propri sentimenti esponendosi e rendendosi più vulnerabile.

Il tono di A.:                        

Il tono vocale di A. e i suoni prodotti sono di una frequenza talmente acuta da poter essere difficilmente riprodotti a voce. Questa sua caratteristica mina la relazione basata sull’imitazione, poiché i campi di produzione dei suoni di terapista e bambino sono molto distanti.

Nonostante ciò è possibile un lavoro di dialogo sonoro vocale con il bambino: all’inizio della seduta A. è sempre molto agitato, il tono muscolare è alto e quello vocale acuto e di volume elevato. A. prende gli strumenti e li lancia e produce dei suoni acutissimi, di intensità sempre maggiore e con intonazione ascendente. Quando la terapista riesce ad ‘agganciare’ A., imitando le sue produzioni, il bambino sembra riuscire progressivamente a rilassarsi, e le sua produzioni appaiono meno ‘violente’. L’ascolto di A. delle note prodotte dalla terapista con il piano o con la voce si fa più acuto, tanto da riuscire a cogliere ogni piccola variazione apportata. Questa distensione del tono vocale porta A. a distendere progressivamente anche quello muscolare e l’irrequietezza motoria diminuisce in modo considerevole. Il bambino accetta, così, l’avvicinamento fisico della terapista, tanto da permetterle di entrare in contatto corporeo per applicare gli esercizi di chirofonetica.

 

 


[45]A. Converti, Il Tono Muscolare, http://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/125-tesi-di-laurea/medium-sonoro-125/437-qmedium-sonoroq-supporto-nella-pratica-neuro-psicomotoria.html

[46] J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi Ed., Milano 2001, p. 16-24.

Riflessi innati: dalla nascita al primo mese. Modalità reattive innate: pianto, suzione, vocalizzo ecc., che il bambino utilizza per comunicare col mondo esterno. L'esercizio frequente di questi riflessi, in risposta a stimoli provenienti dal suo organismo o dall'ambiente, porta all'instaurarsi di "abitudini". Ad es. dopo i primi giorni di vita il neonato trova il capezzolo molto più rapidamente; pur succhiando sempre il dito, lo discrimina dal capezzolo o dal ciuccio, e smette di succhiare il dito se gli viene dato il cibo.

Reazioni circolari primarie: dal secondo al quarto mese. Per "reazione circolare" s'intende la ripetizione di un'azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per ritrovarne gli interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l'azione originaria si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circostanze. In questo stadio il bambino, che pur ancora non riesce a distinguere tra un "sé" e un "qualcosa al di fuori", cerca di acquisire schemi nuovi: ad es. toccandogli il palmo della mano, reagisce volontariamente chiudendo il pugno, come per afferrare l'oggetto; oppure gira il capo per guardare nella direzione da cui proviene il suono.

Reazioni circolari secondarie: dal quarto all'ottavo mese. Qui il bambino dirige la sua attenzione al mondo esterno, oltre che al proprio corpo. Ora cerca di afferrare, tirare, scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che rapporto c'è tra queste azioni e i risultati che derivano sull'ambiente. Ad es. scopre il cordone della campanella attaccata alla culla e la tira per sentire il suono. Ancora non sa perché le sue azioni provocano determinati effetti, ma capisce che i suoi sforzi sono efficaci quando cerca di ricreare taluni eventi piacevoli, visivi o sonori.

[47] G. Molè, L’approccio tonico-emozionale in terapia, http://www.casarosetta.it/documenti/LIBRO%20COMPLETO.pdf, p.24

[48] Ibid p. 73.

[49] I. M. Tosto, La voce musicale, EDT ed., Torino 2009, p. 92.

[50] G. Manarolo, L’angelo della musica, Omega Ed., s.l. 2002, p. 52.

[51] G. Molè, L’approccio tonico-emozionale in terapia, http://www.casarosetta.it/documenti/LIBRO%20COMPLETO.pdf, p.10.

[52] I. M. Tosto, La voce musicale, EDT ed., Torino 2009, p. 93.

[53] G. Molè, L’approccio tonico-emozionale in terapia,

http://www.casarosetta.it/documenti/LIBRO%20COMPLETO.pdf, p. 45.

[54] Ibid, p. 75.

[55] A. Converti, Il Tono Muscolare http://www.neuropsicomotricista.it/la-comunicazione-non-verbale/1279-il-tono-muscolare.html

[56]G. Molè, L’approccio tonico-emozionale in terapia,

  http://www.casarosetta.it/documenti/LIBRO%20COMPLETO.pdf, p. 26-28.

[57] Ibid, p. 30.

[58] Un interessante esempio di una dinamica simile ci viene offerto dal cinema: in una famosa scena del film “La leggenda del pianista sull’oceano” di G. Tornatore, assistiamo ad un duello musicale tra il protagonista, chiamato Novecento, e un altro pianista che viene considerato l’inventore del Jazz. Il duello è una specie di dialogo in cui i due contendenti si alternano alla tastiera producendo delle melodie sempre più complesse. Nel susseguirsi delle produzioni il tono si innalza sempre più, la velocità cresce e il volume si intensifica, consentendoci di cogliere in modo chiaro le emozioni dei protagonisti. Questa sfida non è che un dialogo: un dialogo sonoro strumentale, un’imitazione reciproca, un dialogo tonico.  L’alternarsi delle mani della terapista e di quelle di Nicola sulla tastiera mi ha fatto ricordare questa scena, grazie alla consonanza creatasi tra i due “musicisti” e grazie alle emozioni che N. ha manifestato attraverso questa esperienza. 

[59] Ibid, p. 73.

[60] A. Amitrano, La voce: Uno strumento dei professionisti che promuovono la salute, Springer Ed., Roma 2010, p. 40.

[61]G. Molè, L’approccio tonico-emozionale in terapia, http://www.casarosetta.it/documenti/LIBRO%20COMPLETO.pdf, p. 60.

 

Indice

INTRODUZIONE
 
 
  1. PRIMA PARTE: LO SVILUPPO DELLA VOCE
    1. Dalla voce udita alla voce prodotta
      1. "In principio era il suono": la voce udita nella vita fetale 
      2. Lo sviluppo della voce nel primo anno di vita: la voce prodotta
    2. La voce e le categorie psicomotorie
      1. La voce e lo spazio
      2. La voce e il tempo
      3. La voce e il tono muscolare
      4. La voce e la postura
      5. La voce e gli oggetti
    3. La voce parlata e la voce cantata
  2. SECONDA PARTE: LA VOCE IN TERAPIA
    1. Il Dialogo tonico e sonoro
      1. Il dialogo tonico
      2. Il dialogo sonoro
    2. In Dialogo con bambini "Speciali"
      1. Casi Clinici
      2. Area Neuromotoria
        1. C.
        2. I.
      3. Tirocinio in Musicoterapia
        1. N.
        2. A.
        3. E.
    3. Dal Dialogo Tonico al Dialogo Sonoro
      1. E' sufficiente il dialogo tonico?
    4. Obiettivi del trattamento
      1. Dialogo tonico e schema corporeo
      2. Dialogo sonoro e schema corporeo
      3. Dialogo tonico e comunicazione di bisogni ed emozioni
      4. Dialogo sonoro e comunicazione di bisogni ed emozioni
    5. Dialogo Tonico e Sonoro: semplicemente Ninna-nanna
 
CONCLUSIONI
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
 

Tesi di Laurea di: Maria Vittoria BERNO

Sito internet: http://dialogoconbambinispeciali.blogspot.it/

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